Chi legge "esamini tutto, ma ritenga solo ciò che è giusto".

La mente non è un vessillo da riempire, ma un fuoco da accendere.

sabato 24 aprile 2010

I.U.S. - 10

Agur-Ntà mi aveva accennato all'abisso senza fondo, dal quale avrei potuto mettermi in contatto con lui. Ma che cos'era? Intanto, mi sorrise e salutò Scandurra col segno atlantideo, si girò lentamente e si diresse verso l'astronave. Forse non andò proprio così. Fu come inghiottito da quel vascello fluttuante; vi entrò alla maniera di un atleta di salto con l'asta che, dopo aver superata l'asticella, cade pesantemente sul materasso, sparendoci dentro. Quel gigante frutto di una ingegneria esotica quanto impossibile per le nostre cognizioni, mutò in un caleidoscopio di colori, fortissimi di intensità da nascondere il resto del paesaggio. L'odore di officina meccanicà sparì, l'astronave fu fagocitata dal campo azzurrino spiraliforme, vorticoso. Dopodiché sparì anch'esso nel nulla da dove era venuto. Rimasi impietrito. Guardavo avanti a me non so più che cosa. Ci pensò il maestro a scuotermi dal torpore, dandomi una pacca dietro la testa. “E che sarà mai, Angelo. Manco avessi visto un fantasma”. Sorrisi, non avevo nemmeno la forza di chiedere il centinaio di chiarimenti a Scandurra. Il ritorno fu all'insegna del silenzio, rotto solo da un suo pensiero a voce alta: “ Debbo chiamare Duilio, la radietta non me funziona, piglia solo 'na stazione, non so proprio dove sò finite quell'altre”. Mi accompagnò a casa, dandomi l'appuntamento per la sera. Ma mi svegliai il giorno dopo, verso l'ora di pranzo. Mia madre mi aveva lasciato riposare. Le chiesi se Scandurra fosse passato la sera prima: non era passato nessuno.

Il pomeriggio mi recai alla bottega magica. Scandurra era impegnato a sistemare le bottiglie di vino del consorzio. Tutto pacioso mi chiese come stavo. “Te sei fatto un sonnarello, pupone della mamma”. Sapeva del mio crollo fisico e mi invitò a prendere un 'beverone' a base di succo di frutta, latte e rum. Benché abitualmente bevevo solo un bicchier di vino a pasto, presi lo stesso quel mix. Lo trangugiai in un sorso. Me lo aveva messo in una tazza da latte color marrone. Il sapore era forte ma buono. Mi sentii subito come rinforzato. Il retrogusto però non sapeva di succo, sviluppava un prolungato calore in gola e poi... riconobbi quell'odore mischiato al sapore di officina, lo stesso del campo che si era sviluppato intorno all'astronave. Che cosa era successo? Cosa mi aveva fatto ingerire Scandurra? Glielo chiesi.
“È il gusto dell'abisso senza fondo. Ora dovunque ti troverai, starai sempre sull'orlo. È un grosso peso e da questo momento rammentati una cosa. La vita è come un albero di Natale, c'è sempre qualcuno che rompe le palle”. Ridacchiava e questo farmi fesso da parte sua, mi indispettiva alquanto. Era mai possibile che prima disponeva e poi mi spiegava? Ebbi pure un certo timore a quel punto. Adesso cosa mi sarebbe successo? La testa mi girava: il rum, la preoccupazione, la presa in giro. Piano piano tutto passò. Ero libero, pacificato; dapprima pensai che fosse l'effetto dell'alcol. Poi, i miei occhi incominciarono a vedere e allo stesso tempo a sentire. Sentire con gli occhi. Mi mancava proprio questa esperienza. Ma cosa si profilava davanti a me?

Il sovrannaturale, il sacro, il mistico erano ambiti prettamente legati a categorie teologiche. Piani dissimili da quelli puramente fisici. Così credevo prima di conoscere Scandurra. Pensavo che il mondo interiore fosse, appunto, interno, collocato in un qualche stato dell'essere che la metafisica indù aveva indagato e descritto meglio della filosofia occidentale. Insomma il naturale e il sovrannaturale erano domini differenti, livelli non sovrapponibili. Eppure una fessura, una qualche interfaccia doveva pur esserci tra i piani. Il maestro mi fece sperimentare che noi viviamo come pesci in uno stagno, bersagliati da forze sconosciute in mondi paralleli che noi capiamo tanto poco quanto i pesci capiscono il mondo sopra la superficie del loro bacino idrico. Scandurra proponeva questo: se l'ipersfera (o come dicono i fisici, l'iperspazio) semplifica le osservazioni del mondo fisico, si può trovare in quello le fonti delle arti metafisiche come la magia, l'astrologia e il misticismo. L'ipersfera è l'abisso senza fondo, anzi, la fossa cosmica intorno alla quale orbitano dalla materia stellare a quella sottile, eterica. E non solo. Gli stessi eventi, trovano la loro origine da quell'abisso. Il tempo ci abita e si manifesta prima a lento rilascio, poi sempre più veloce. Tutto è pensiero, amava ripetere, ma un pensiero di cui pochi son capaci di averne coscienza. Un pensiero fatto di essere+energia. Dentro ogni cosa, c'era la botola attraverso la quale ci si poteva affacciare sull'abisso senza fondo. Scandurra mi aveva aperto i rubinetti mentali collegati direttamente alla fossa. Finché sono chiusi, nessun uomo può percepire tutta la realtà e forse, è un limite necessario.

Come mai prima di allora, compresi la potenza di cui era depositario Scandurra. Una potenza debordante che avrebbe fatto commettere qualsiasi crimine ai potenti della terra per ottenerla. Oggi ne parlo, perché il maestro non è più tra noi, o meglio, probabilmente è più qui di un tempo, solo fuori portata per chiunque cercasse di carpirne i segreti con intenti meschini. Qualcuno sorriderà, ritenendo che sia la solita menata sui buoni propositi, il fine elevato quale condizione necessaria per acquisire l'arcano. Quando menti folli sono in sincronia creano una realtà alternativa, uccidono per ragioni inventate, trovano ragioni per agire facendo di se stessi un punto fermo nell'universo. È contro tali uomini che Scandurra si batteva e lo faceva a modo suo. All'inizio della mia avventura, a Viterbo la gente conosceva il mio maestro semplicemente come mago di quartiere, uno dei tanti occultisti, rispetto alla media ci indovinava, questo lo rendeva unico, però rientrava comunque nella sociologia di una società frammentata, dissociata, nevrotica. Il suo camuffamento era efficace, un guaritore semianalfabeta, magari sui generis in quanto non si faceva pagare e viveva dell'attività commerciale di frutta e verdura, ma pur sempre una persona dal basso profilo, restio ad una vita di relazione normale. Un sociopatico come ce ne sono tanti. Da evitare, certo, secondo cattolici borghesi democristiani comunisti cartesiani. In pratica, ma di nascosto, ci andavano pure loro. Scandurra possedeva segreti.

I suoi segreti appartenevano ad un pensiero antico, no, nemmeno, un pensiero senza tempo e sfaccettato, trascolorante verso forme mediate, elusive, volutamente sincretistiche. È giunto il tempo: ho ricevuto una vecchia consegna, ossia quella di portarli di nuovo alla luce. Per millenni, l'arte dannata e oscura era retaggio di pochi iniziati, spesso reietti e perseguitati dalle chiese e dai mercanti, oggi è svelata attraverso il mio raccontare, senza veli, dando le coordinate per chi volesse seguire il medesimo cammino. Non crediate però, amici, che per il solo fatto di divulgare un segreto, esso sia utilizzabile come una formula matematica – anche se a volte, lui me lo faceva credere. Per far sì che sia attivata la potenza ci vuole qualcosa che è nascosta dentro di noi, la chiave, poi trovatala bisogna cercare e trovare la porta. Solo chi ha già aperto la porta può insegnare ad altri come fare, così, un anello si aggancia al precedente fino a formare una catena che regge i mondi.

4 commenti:

  1. semplicemente stupendo..voglio trovare quella chiave dentro di me..un GRAZIE a Scandurra per quello che ha fatto e sta facendo. E un grazie a te Angelo..

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  2. Sono affascinato, curioso,desideroso di sapere altro... senza nemmeno sapere cosa sia questo "altro"...
    Grazie

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  3. Aspetto con impazienza da anni di trovare chiavi e porta ... no mi arrendo, e le tue parole mi danno conforto e luce ... grazie

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  4. pdf scaricabile qui http://www.scribd.com/doc/34361073/Incontro-Con-Un-Uomo-Straordinario-10

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