Chi legge "esamini tutto, ma ritenga solo ciò che è giusto".

La mente non è un vessillo da riempire, ma un fuoco da accendere.

martedì 8 novembre 2011

IL MULINO DELLE OMBRE



Una mattina estiva, Scandurra ed io ci recammo presso una vecchia masseria abbandonata, nelle vicinanze di Tuscania. Il caldo si faceva sempre più insistente e quel rettangolo ondulato di terra brulla, senza alberi nemmeno a pagarli, sembrava un suo alleato. Il maestro spinse il portone principale e questo cadde verso l'interno alzando un muro di polvere. Tossii e cercai di scuotermi con le mani. Il maestro rise divertito.
  • Che vizziaccio c'hai. Respiri quando non dovresti.
  • Ma cavolo, c'era bisogno di spingerla così forte quella cacchio di porta?
  • Impara ad aprirle. In qualsiasi modo. Anche a costo di usare la maniglia – e continuò a ridere sfacciatamente.
  • Vabbè, questa è un altra lezione?
  • No, è un consiglio.
Quel dialogo mi sembrava surreale. Comunque entrammo. Una grande cucina ci accolse con una imprevista ospitalità. Già, un'arietta fresca, insolita, ci diede un certo ristoro. Notai pure che le credenze di tipica foggia rurale, le seggiole, le cassapanche e il tavolo erano in ottimo stato. Chiesi subito a Scandurra il perché di questo paradosso. Fuori diroccata e dentro impeccabile.
  • Il nostro ospite ci tiene a tenerla pulita e ordinata. Ha così poche visite all'anno...
  • Ospite? Quale ospite vive qui dentro?
  • Eh, è una vecchia storia, ma te la racconterò in seguito. Ora statti zitto e aspetta.
Attesi che entrasse di lì a poco un vecchio barbone un po' matto. Non so perché, ma Scandurra aveva strani conoscenti, insospettabili. Da sovrani galattici a pezzenti stasciconi, piloti stellari e mercenari di altri universi. La varietà delle amicizie del mio maestro, spostava e di molto le convenzioni sociali, le classi, i rapporti tra persone. Era decisamente un uomo universale. Un po' matto anche lui.
Non ci avevo fatto caso subito, ma una grossa botola occupava la parte nord della cucina. Circolare e di ferro, aveva degli strani segni rossi incisi verso il suo centro. Chiesi, ovviamente, cosa significassero e lui, di nuovo, mi fece segno di tacere. In quell'attimo la botola si alzò, lentamente. Qualcuno la stava spingendo con fatica. Una mano piena di vene violacee si intravide controluce. Un vecchio, magrissimo e calvo, uscì e scatarrò per terra una poltiglia color tabacco (forse era proprio tabacco). Era alto e vestiva pantalonacci consumati di velluto marrone, camicia rossa e gilet nero. Il volto era scavato, naso aquilino, come suol dirsi. Si girò verso di noi che stavamo appoggiati al piano cottura centrale della cucina. Con un sorriso sdendato ci diede il benvenuto.
  • Vecchio bastardo, ti sei fatto vedè eh? Dove cacchio sei stato? Là pè quarche sprofondo della Via Lattea o cosa? - Il vecchio con voce catarrosa aprì le danze.
  • C'hai coraggio a parlà. Tiri l'anima coi denti, scatamarri come una bestia, puzzi che accoleri e mi cazzi pure? Ma nun ce l'hai l'acqua? Eppure il pozzo te funzionava 'na vorta.
  • Me cojoni, Scandù. Ce lo sai che me piace il vino, quello bbono rosso frizzantino. Lo compro da Peppe lo Stronzo, nun ti arricordi?
  • A seccaro', Peppe è morto negli anni trenta a Montefiascone.
  • Te credo, era 'no stronzo. E poi conservo diverse botti di sotto. La temperatura è quella regolare. Ma tu hai finito di fa' quei sughetti strani. Quelli, insomma, che te porteno via de qui?
  • C'è così tanto bisogno di viaggià su e giù.
  • Mah, io che te dico... sto me qui a fa' da custode e te dovessi dì... me so rotto le cojone. Chi viaggia de su chi de giù, chi se diverte e chi se arrazza. Io inchiodato quine. Tu me poi dà 'na mano. Tu ce l'hai 'sto potere.
  • Sì, è giunto il momento di liberarti da questo compito pesantissimo. Son venuto col mio apprendista, Angelo. È in gamba, sai?
  • Te credo. Salve Angiolè. Te credo che adè in gamba. A sta' con te c'è da diventà gojo [strano, un po' matto]. Ha viaggiato? Si è immerso?
  • Certo, è dei nostri ormai.
  • Eh bello mio, c'avrai tante avventure, sì sì, tante... ma le tribole dove le metti? Ah, scuseme, me chiamo... lo sai che nun me arricordo il nome... quello scritto su pel commune. Beh, che voi a furia de fa' il custode me so' rincojonito... un po'.
  • Digli il tuo soprannome, quello te lo ricordi per forza.
  • Sì, già... me chiameno tutti Meco il Chiavaro... no che hai capito?... non quello che... se c'ho due de pressione. Chiavaro perché costruisco le chiave e poi apro e chiudo le serrature delle porte. Il mio, sai, è un lavoro tosto. Di quelli indispensabili, che te credi? Da quine passano e vanno altrove i viaggiatori. Sì, quelli come voi, però diversi.
Feci per chiedergli ragione di quella curiosa affermazione contraddittoria. Scandurra mi anticipò.
  • Spiegati meglio, Meco.
  • Intendo quei viaggiatori di altri mondi, insomma, sì de Giove Martedì Deren...
  • E mercoledì... Ma Giove è disabitato da millenni come Marte. Meco, spiegati.
  • Sì, già, ce so' gente che sopravviveno a tutto. Passeno l'anne, le secole, le mille secole, è uguale. Passeno sempre. So' de Giove Martedì Deren...
  • L'hai già detto. Te ripeti Meco – fece Scandurra ridendo.
  • Eh sì, me so' rincojonito, ma sai sto sempre da solo che me so' rotto le cojone pure de parlà con me da solo. Ripeto ripeto chissà che c**** me ripeterò mai.
  • Non fa niente. Hai fatto un lavoro benedetto, un lavoro prezioso per tutti questi anni. Ora puoi tornartene a casa. Il Mulino delle Ombre lo chiudo, il suo compito è esaurito.
  • Oh sto in pensione... sì già e mo' che c**** faccio?
  • C'è un posticino con un buon clima per la tua artrite. Rand è una favola. Ti porterai le tue botti, ma ti consiglio di gustare pure il vinello locale.
  • Me ne hanno parlato … sì già venti anni fa uno che c'era stato. Però lì il vino è troppo aspro, lo voi mette col frizzantino mio che pija forza da 'sta terra da 'sto lago da 'st'aria. Qui sotto c'è il tufo. Lo voi mette?
  • Io te l'ho consigliato. Poi fa come te pare.
Si abbracciarono. Meco il Chiavaro portava con sé polvere anni ed esperienze incredibili. Una persona a suo modo simpatica e strana. Dal linguaggio pareva un grezzo uomo di campagna. Pareva.
Poi, il vecchio custode alzò un braccio e mi salutò.
  • Te lascio 'na cosa, Angiolè. Quando la viperà te mozzicherà, guardala nell'occhie e il suo veleno nun te farà gniente. E diglie: me manda Meco il Chiavaro, mica 'no stronzo.


Vidi i suoi occhi luccicare e trascinando i piedi sparì nella sua botola, richiudendola pesantemente dietro di sé.
Ci affrettammo ad uscire e non capii perché. Mentre ci allontanavamo, un forte rumore ci raggiunse. Mi girai e di quella vecchia casa rimasero pochi detriti e una colonna di polvere che man mano si disperse al vento.
Rispettai il silenzio di Scandurra. Ormai capivo al volo (o quasi) quando bisognava star zitti. Ritornando verso la strada sterrata dove avevamo accostato l'autovettura, notai che Scandurra era teso in volto. Raramente lo avevo visto così. Tacqui.
Di ritorno verso casa, Scandurra, forse per farmi uscire dall'imbarazzo dell'incomprensione, mi ragguagliò a modo suo.
  • Impara, Angelo, da questo incontro: un uomo semplicemente eccezionale come Meco, rimane al suo posto per decenni, quasi un secolo, a custodire un portale tra dimensioni. Come una sentinella di guardia alla polveriera. Lavoro pesante, frustrante, che da principio sembrerebbe interessante, ma che poi scopri difficile, pericoloso, schiacciante. Lui governa gli effetti magnetici e i morbi provenienti dalle fogne dei sottomondi che dai passaggi possono irrompere qui da noi, e quando non li può gestire con la macchina che c'ha, il Mulino delle Ombre, li assorbe su di sé per evitare pericolose interferenze ed epidemie. Ci si scorda che esistono persone che svolgono un lavoro prezioso ma nascosto, lontano dai riflettori. Come chi prega nella sua celletta da un monastero sperduto tra le montagne. Come chi ascolta le pene della gente e cerca di alleviarle. Come il padre di famiglia che torna a casa, stracco dal lavoro pesante e che riesce ancora a sorridere quando i figli gli si fanno incontro. Madri che accudiscono i propri figli malati e che magari soffrono in silenzio per non spaventarli e pregano un dio che non conoscono, ma che è accanto a loro. Santi senza altari. Donne e uomini grandi nella loro umiltà e modestia, vere colonne del firmamento. È destino dell'uomo. Le scelte più alte sono anche le più misconosciute. Forse è giusto così... chissà.
  • Scandurra mi stai insegnando l'umiltà, il senso di responsabilità che va oltre l'acquisizione di potere e conoscenza. Quello che facciamo, lo facciamo per gli altri. Però anche tu in molte occasioni hai operato come il Chiavaro. In certi contesti metapsichici, in presenza di entità spiriti fantasmi.
  • Io vedo queste cose da quando ho coscienza. Ti riferisci ai fenomeni spiritici a cui hai assistito le prime volte. Le presenze medianiche sono come i gusci rotti di una noce, i resti di uomini che hanno vissuto in questa incarnazione, in questa esperienza della Vita, una delle tante. Sono solo i loro resti, i resti della coscienza vitale, delle passioni del loro cuore, l’Anima è già libera e rinata in un altro stato. I gusci sono legati ai luoghi, casa lavoro paese. Una colpa che non si può dimenticare, un incidente improvviso, un grande dolore, odio, amore li agganciano alla dimensionae terrena. Bisogna ascoltare, guardare, allora tutto si dissolve in quel ciuffo di luce che si crea e i luoghi sono liberi. È una forma di giustizia, di liberazione, un lavoro che pochi possono o vogliono compiere ma che va compiuto.
  • È un compito importantissimo. Ma come fai tecnicamente, se me lo puoi dire?
  • Evoco, dò corpo alle presenze, a quei poveri resti, l'etere ne è pregno. Rilascio la mia energia vitale perché esse possano svelarsi completamente. È una piccola magia, ma che va fatta. I bambini, prima che li mandiamo a scuola, vedono il mondo in un unico flusso di eventi, alto basso e laterale. Oltre il tempo e lo spazio. Loro non dividono, non distinguono la differenza tra piani e così possono vedere i resti, ma anche gli esseri del sottomondo e del mondo mezzano. A volte ne sono impauriti, in altre occasioni fanno amicizia volentieri con quelle forme, quelle ombre. Mio compito è di assorbire i gusci e di impedire alle creature di sotto di spaventare i cuccioli d'uomo. Che vi sia una barriera tra questi livelli sarà anche necessario, perché viviamo tempi senza fede e credenza e allora è meglio non sapere e non vedere. L'uomo comune non vede più oltre il visibile. Il velo divide tutto. In pratica non vi sono tante realtà. Ce ne è una sola, un flusso costante che però è frammentato dalla mente divisa dell'uomo. Per riconquistare l'antica visione dobbiamo recuperare la capacità di leggere i segni, che sono copiosi ma non infiniti. Li incontriamo ogni volta che ne abbiamo bisogno, ma non li sappiamo leggere, parlano in una lingua strana, per immagini, e la nostra testa parla con le parole. Il pensiero è una catena di parole. Crediamo che le forme, le figure, le immagini siano infantili, per 'figliarelli', invece sono la chiave per collegarci con i livelli. I simboli sono schemi elettrici, basta attivarli, accenderli e ci portano su altri piani.
Stavamo giungendo a Viterbo. Poche automobili giravano in quella afosa giornata d'estate. E noi parlavamo di Vita, di Morte, di Visioni, di Stati Multipli.
  • Scandurra, che cos'è la morte?
  • Vidi morire tra le mie braccia uno zio a cui tenevo tanto. Io avevo 12anni. Un cancro ai polmoni lo stava uccidendo. Dall'Ospedale Grande degli Infermi lo avevano rimandato a casa a morire tra i suoi familiari perché non c'era più nulla da fare. Mi disse ad un certo momento che gli mancava l'aria, non riusciva più a prenderla. Mi strinse la mano fino a farmi male... poi se ne andò. E allora vidi la sua Anima ovoidale scivolare, gocciolare via verso il soffitto e altre forme eteriche che lo affiancarono. Oh, se la gente sapesse esattamente cosa accade in quel momento, proverebbe meno terrore della morte. Nemmeno le religioni oggi sanno dare risposte o indicazioni, e questo perché sono concentrate sul vivere quaggiù, che rappresenta solo un breve tratto della strada che compie l'Anima. Qualcuno ha detto che il mio è materialismo divino. Mah, sono un uomo concreto che con le mani apro i cancelli, con le mani scavo buchi attraverso cui passare in altri universi e tutto ciò lo faccio con fulcri, leve, talismani, cose visibili e meno visibili. Le spolette le hai viste, le hai usate, sono cose, magiche sì, ma di materia tenue magari, fluttuano in certe condizioni e sembrano molli, svanenti, basta saperle prendere e comunque le tocchi, fai presa. L'immaginazione è fondamentale, è forma che cerca materia per plasmarla. Certo, ci vuole comunque una certa materia, porosa per assorbire le energie planetarie, porosa per trattenere e poi rilasciare essenze, frequenze, parvenze eteriche. Insomma, Angelo, sempre materia, luce confusa e depositata. Noi le restituiamo la sua antica potenza, ne risvegliamo l'energia addormentata, la carichiamo. È di nuovo luce su di un altro piano. Frequenze, come i nostri corpi sottili, la coda del pavone che si apre e si chiude, ogni colore un raggio della nostra anima.
Si interruppe. Sembrava un fiume in piena. Tuttavia mostrava sempre il suo proverbiale controllo.
  • Quando mamme e padri mi chiedono notizie sui loro figli morti a causa di malattie terribili, di incidenti strazianti, catturo voci odori cose che appartengono a quel piano. Le anime trasmigrano ma i residui permangono. Frequenze. Allora divento una radio, un montacarichi tra livelli, una canalina passacavi. Le donne allora si rasserenano, trovano una certa conoscenza e i padri non si chiudono, i loro cuori si aprono. È importante sapere la verità, l'ignoranza che la scienza e la religione hanno in questo ambito è grave. Parlano parlano e poi? Noi non parliamo, facciamo, non vendiamo speranze, apriamo porte sulla Vita sterminata, fatta di cadute e rinascite. Cristo insegnava e faceva, dimostrava coi fatti che le leve della potenza si trovano dentro di noi. Soprattutto ci consigliava di adottare l'umiltà e la benevolenza, lì sono nascosti i segreti dell'universo. Quando incontri una persona umile e buona, quella salva 'sto mondo dalla fine totale. La sua anima trattiene il caos.
  • Ma qual'è il destino dell’Anima?
  • La Luce chiama l'Anima per compiti ben maggiori rispetto a quelli già svolti in terra. L'Anima abbandona il corpo che l’ha ospitata e non ne soffre. La vedo sorridere sempre ad ogni trasferimento. È un sorriso che pervade la sua estensione ad uovo, perché il corpo le è stato intimo. Il corpo possiede una sua coscienza, semplice e pura che accetta questo destino: dopo pochi giorni si scioglierà nella terra, pronto ad aiutare lo sviluppo di altro. Il Grande Tempo trituterà anche le ossa, fino a farle diventare sale fine, da spargere sulle cose che nasceranno domani. Ma tutto ciò che Dio ha posto tra l’Anima e il corpo quando stabilì cosa dovesse essere l’uomo, la mente, il vitale, il nervoso, il cuore e le sue passioni, precipita nel nulla sapendo di morire davvero, di non potere seguire né l’Anima nel suo destino di luce, né il corpo nella terra. Così si ribella, raccoglie ogni forza che le resta e prova ad aderire alle cose, a trovare una sua permanenza, un suo luogo. Allora i morti, le loro voci, restano là dove vissero uomini e passioni. Restano settimane, o secoli. Gusci rotti di una noce. Nastrini magnetici di suoni confusi a rumori di fondo. Da loro viene disperazione, possono contaminarci, piegare il nostro sentire verso il male, il nulla dissolutore, la loro energia è imprigionata, sottratta al mondo e non usata per lo spirito, come dovrebbe essere. Così la liberazione dei luoghi, la loro pacificazione è, per chi possa compierlo, un atto sacro.
Ormai stavamo davanti alla sua bottega. Vi era un piccolo gruppo di persone ad aspettare nei pressi della soglia. Scandurra ammiccò. Non ebbe difficoltà a parcheggiare nella piazzetta antistante. D'estate a Viterbo c'è posto per tutti, così come alla bottega del mago.