Chi legge "esamini tutto, ma ritenga solo ciò che è giusto".

La mente non è un vessillo da riempire, ma un fuoco da accendere.

mercoledì 26 novembre 2014

IL BIANCO SOLE DEI VINTI




In tempi considerati preistorici, ci furono spaventose conseguenze del passaggio di un Corpo Celeste. Secondo Michanowsky, invece, l’esplosione della supernova Vela X originò la prima civiltà umana. Altri ancora riferiscono di un onda galattica di grandezza astronomica che provocò disastri inimmaginabili. Comunque lo si voglia classificare, un evento cosmico avvenne all’alba dei tempi provocando un cambiamento geofisico di proporzioni globali. Mi domando: si trattava di un corpo celeste o si manifestò un evento sovrasensibile? Intanto l’effetto più appariscente del fenomeno fu la glaciazione del nostro pianeta. Non finisce qui. Esistono prove (ma tenute ai margini dell’informazione ufficiale) secondo cui il nostro sistema solare sta attualmente transitando in una regione dello spazio che contiene polvere e grandi masse ghiacciate in quantità sufficienti ad incidere seriamente sul clima terrestre, si tratta di detriti di supernova insieme ad intense scariche di particelle di raggi cosmici. Un ciclo si ripete? Un altro effetto non meno drammatico riguarderà un periodo di oscurità che avvolgerà il pianeta, come anticipato da antiche profezie religiose e che già caratterizzò un frangente dimenticato del medioevo. Lo stesso Giordano Bruno preconizzò la fine del sistema solare ad opera di un astro nero. Che si riferisse proprio ai nostri tempi?
“L’uomo viaggerà nel cosmo e dal cosmo apprenderà il giorno della sua fine [...] proprio quando l’uomo si crederà padrone del cosmo molte ricche città faranno la fine di Sodoma e Gomorra [...] un Sole Nero inghiottirà nello spazio il sole, la luna, e tutti pianeti che ruotano intorno al sole” (De linfinito Universo et mondi di Giordano Bruno)
La materia collasserà e la fine di un mondo così come lo conosciamo sarà prossima. E non c’è bisogno di citare Nostradamus e le sue quartine.  Per inciso, le Centurie non sono opera dell’astrologo di corte da cui prendono il nome e, quindi, non sono nemmeno da intendersi come una sequenza profetica filologica-simbolica e anagrammatica; furono stilate il 1268 allo scopo di codificare informazioni riservate ad uso esclusivo templare, una crono-storiografia per fini politico-diplomatici con particolare attenzione alla sfera d’influenza europea, in primis la Francia, e tra le “righe” vi scorgiamo delle chiavi per trasmettere la conoscenza iniziatica del cerchio interno dell’Ordine ai posteri degni.
A molti - compresi coloro, diciamo così, sensibili a certe tematiche alternative – gli annunci di fine-del-mondo non riscuotono più tanto credito. Il millenarismo è una patologia sociale che avviene ad ogni crisi sistemica, sostengono i razionalisti, convinti che il domani sarà radioso e pane per tutti. Il famigerato DUEMILADODICI è passato senza conseguenze apparenti (il Varco si è manifestato ma chi l’ha percepito?) e, in fondo, nessuno vuol credere ai profeti di sventura, porta male. Ma sì, crepi l’astrologo e sia internato il paranoico.
Tuttavia vi sono segnali a vari livelli che configurano una situazione per niente promettente sulle sorti dell’umanità. E non mi riferisco soltanto alla crisi in Terra Santa, al terrorismo di matrice islamica, alla nuova guerra fredda tra USA e Russia, al progressivo impoverimento e perdita di identità degli europei. Basta scorrere le cronache (comunque reticenti assai su certe cose) e se ne ha un’idea approssimativa ma terribile. No, non mi riferisco a ciò che è evidente.
Oggi nessuno può lavarsi le mani o diluire le proprie responsabilità, pena la morte dell’anima, di fronte all’apoteosi del Male spirituale. Il mondo è una città indifesa, il Cavallo di Troia è già dentro le mura di cinta. Le potenze arcontiche non trovano più resistenza alla loro avanzata. Chi si accorge che il proprio sé profondo è invaso dalla trimurti gnostica? L’inesorabile passo ferrato dell’Orda oscura è giunto a destinazione, ma non ne troverete nemmeno un trafiletto sulla carta stampata e né vespe né zanzare vi faranno cenno. I servi dell’Orda sono padroni del clima, delle acque, della terra, stanno sradicando l’Albero stesso della Creazione, deturpando i frutti, inutile però cercarne conferma su Sky Meteo. Una manciata di uomini trattiene indebitamente le risorse di tutto un pianeta e quando il gregge alzerà la testa, armato del coraggio dei vinti, calpesterà e brucerà tutti i templi monetari insieme ai custodi del bottino, ma sarà troppo tardi. Gli oligarchi e gli istituti think tank hanno pianificato una strategia efficace, almeno fino ad un certo punto. Si tiene il composto-massa a bassa temperatura, a fuoco lento, si raggiungerà infine la cottura senza evidenze immediate, purtuttavia la pietanza si cuocerà. La gente va tenuta sotto controllo con ogni mezzo, ma senza scossoni né fiammate repentine. La strategia della tensione non è più efficace. Ci vuole la narcoipnosi, più sicura e subdola.
Eppure basterebbe scuotere la coscienza, liberarla dai fumi della normalizzazione, alzare la testa e gridare:
NON SONO CARNE DA MACELLO, DIFENDERÒ LA MIA LIBERTÀ FINO ALLA FINE.
E non si tratta di fare barricate o di prendere il fucile. Macché, non vogliamo cadere nella tana del lupo come Spartacus. Dobbiamo elevarci e rompere le catene con un puro atto di conoscenza. Non ci sono sbarre possibili alla libertà dell’anima. La piccola onda che chiamiamo Io non è che un’allucinazione, una sciagurata identificazione.
TU NON SEI L’IO, MA PARTE DI UNA VITA UNICA CHE PULSA NELL’UNIVERSO.
Da millenni siamo alle prese con gli stessi errori. Qualcosa, in un qualche momento, andò terribilmente storto.
Siamo alla vigilia della fine di un mondo. La notte si avvicina. Il fuoco sarà l’elemento distruttore. Le acque degli oceani saranno sconvolte, l’onda d’urto fracasserà le montagne, le folgori bruceranno ogni cosa che si muove. L’urlo del pianeta riverbererà in tutta la periferia della galassia. Dovremmo cercare un luogo raro e benedetto, oltre frontiera (mondo e ultramondo), per trovar riparo. Ma ci saranno ancora uomini in grado di capire in tempo che il tempo è terminato? Si avrà ancora la forza di reagire? Lo spirito di sopravvivenza ci salverà ancora?
Ho ragione di ritenere che solo i semplici sentiranno la tempesta approssimarsi. Le sentinelle dell’aurora avvertiranno il passaggio di fase. La maggioranza degli uomini farà i debiti scongiuri e continuerà a vivere in questa prigione mentale. Dobbiamo lottare anche per loro, i sordi e i ciechi, affinché sentano e vedano arrivare la fine e prepararsi al nuovo inizio.
Il pessimismo non ci aiuta, certo, ma nemmeno l’ottimismo della ragione ha mai salvato nessuno. Nel nostro cuore, lo so, alberga sempre una fiducia capace di rinnovarsi, l’ultimo sentimento rimane, magari sospeso, ma vive anche di fronte al peggio. Io consiglio alcuni accorgimenti pratici e concettuali da tener conto quando le cose peggioreranno e non potremo solo optare per una sonora ultima sbornia.
Se solo potessimo concepire a titolo ipotetico, così tanto per farci del male, l’immagine terribile della Natura pietrificata e immobile anche solo per un secondo, dovremmo pure attenderci che ogni mutamento insieme al tempo terminerebbero. Un incubo allo stato puro. Che fare? Ascoltare senza guardare, per non rimanere mummificati. È preferibile evitare la violenza del vedere per accorgerci che un’altra facoltà emergerebbe, un nuovo senso assopito da millenni, quello che ci permetterà di vivere e sopravvivere alla fine, di spiccare il salto verso nuovi mondi.
Dobbiamo diventare una corrente impetuosa che travolgerà ogni tiranno, ogni barriera sensoriale e ogni stravolgimento geologico. Dopo una discesa ci sarà un’ascesa. Il mulinello delle forze contrapposte sono le eterne pale del divenire cosmico. Come il giorno e la notte. Solo con tali differenze siamo in grado di maturare nel distinguere le cose e la loro funzione secondo fini benefici o maligni. Attenzione, però. Esistono potenze sperimentalmente conoscibili, la cui strategia è quella di restare sempre dietro le quinte della storia, delle cose, dei mondi, degli spiriti. Una razza di antichi esseri il cui scopo è di deviare le menti incerte. Chi sono le vittime degli arconti? Coloro che non posseggono il marchio dell’eternità, che non hanno ancora ridestato in sé il seme dell’Albero del Bene e del Male. Imparare a nuotare solo quando si cade in mare, è pratica assai pericolosa, così come ad un certo momento critico della nostra vita ci convinciamo che per uscirne basti partecipare a corsi yoga o a seminari intensivi di illuminazione: è solo un vano dibattersi. Ogni cosa ha il suo giusto tempo per maturare. Cercare rimedi fuori tempo diviene male. Dobbiamo chiederci una volta per tutte: che ci stiamo a fare in questa condizione umana? Se viviamo per campare nella miseria ontologica, sarebbe veramente poca cosa questa vita. Ci sono state donate delle facoltà incredibili che vanno capitalizzate oltre misura. Le forze latenti sono il risultato della volontà divina: il segreto sta tutto qui, nel ridestarle. Credere per vedere.
"Bisogna tenerci pronti per un avvenimento immenso dell'ordine divino, verso il quale procediamo a una velocità accelerata che deve colpire tutti gli osservatori. Temibili oracoli annunciano già che i tempi sono giunti " Joseph de Maistre

domenica 16 novembre 2014

OLTRECONFINE




1.Guardatevi sulla tv berlusconiana l’aspirante GOI adamkadmon, sviluppate empatia, aderite all’umanismo, leggete tutto sul mentalismo fai-da-te, fatevi di Augias e di Scalfari, moralizzate, mangiate sementi, informatevi sui centoni di David Icke per vedere oltre l’apparenza, ma non pensate di guadagnare una tacca di consapevolezza. La consapevolezza è altra cosa. È una via dura e senza gratifiche. E arrivati a mezza strada, vi procurerà la morte civile, il biasimo dei benpensanti e l’anatema dai preti; ma ne varrà la pena, perché conquisterete l’intensità.
2.Lavorate costantemente alla vostra anima: non smettete di farlo anche quando tutto s’abbuia.
3.Arriva un momento della nostra esistenza, un turning point della vita, in cui ci sta tutto: il rapporto con la donna, coi genitori, col futuro, coi soldi, con l’idea famigliare, il rapporto con la fede, con l’accumulo di identità, il rapporto con la successione, il rapporto con la specie, con l’abitazione, con la filosofia e la poesia, con l’istituzione, la scelta tra movimento e quiete, la prevalenza invasiva dei nervi e l’intermittenza del cuore, la pesantezza formativa della solitudine, i conti scoperti con la delusione… Che fare? Appoggiarsi ad un amico? Cercare in un libro-chiave tutte le risposte? Trovare un chierico e farsi frustare? Affrontare di volta in volta gli ostacoli e i dilemmi che si presentano, senza piani o formule risolutive? No, “semplicemente” andare dal titolare di un negozio di frutta&verdura e scoprire l’infinito in una stanzetta male illuminata. Per me si trattava di uno strano incontro. Gli abitanti del quartiere dicevano di lui essere estremamente sensibile, un mago d’anime, una sorta di eretica santità attiva, di attenzione amorosa aperta sebbene scontrosa, efficace, pulita, cardiaca. Il suo nome magico: Scandurra. In effetti parlammo e il dialogo – scoprii che non furono solo parole -  con lui produsse in poche ore una frattura interiore in me. In seguito, nel tempo della disillusione e della sofferenza grigia e solitaria, incontrai Scandurra mille volte mille. Suturò la mia ferita in altri e obliqui modi – obliquità che sarà pur tale, ma rimane per me centrale. Quest’omìno grassottello, che parlava con una pacatezza calda e con un timbro etereo e carezzevole, era in grado di rispondermi e dimostrarmi cosa era la Vita, quella vera, totale, degna d’esser vissuta, mentre mi indicava che la mia testa si era schierata preventivamente contro il cuore, contro la pelle, contro la svolta di respiro che in realtà andavo cercando. Al suo bancone, le mani femminee che esprimevano una cifra materna, lo sguardo incantato in una concentrazione naturalmente intensa, le ossa del cranio a testimoniare tutta la transitorietà di un corpo, Scandurra aveva diretto a me domande apparentemente laterali, sussurrate appena. C’era una fonica altra, che correva in quel fenomeno acustico, quelle parole piene eppure angeliche insinuavano un dubbio radicale, e non per il loro significato, che pure era pressante. Quest’uomo sapeva leggere i sintomi e risalire alle cause. Chi legge i sintomi è in grado di curare, a patto che ci si intenda su cosa significa cura. Forse la cura sta nel paziente, cioè in chi soffre, forse la sofferenza non la si sa, forse il dolore chiede di essere sentito, percepito, reclama contro un ammanco di attenzione. Il seme che maturava nella delicata pastosità di quella voce, forse, faceva gonfiare un disagio in me. Quale disagio? Il suo sguardo conduceva luce, trapassava il corpo come un laser elettromedicale, per la prima volta caricando di magnetismo un fatto, un corpo, un’adesione all’idea che si entra in una cosa unica, all’inizio indistinta, indifferenziata, che si può toccare e essere… Quei giorni mi parevano miele, quella esperienza iniziatica manna. L’eco di una deflagrazione iniziale, calmatasi, che fa la frequenza stabile di un universo, coagulandolo con la colla di una materia oscura, che non sembra presente e attiva, ma che provoca fenomeni, aberrazioni, sigizie, la possibilità di distorcere le latitudini. Avevo 21 anni. [un anonimo dell’anonima talenti]
4.Ci vuole coraggio per chi non ce l’ha, soprattutto quando affrontiamo il tema della fine e dell’aldilà, oggi maltrattato da una sottocultura edonista e caciarona, ammalata di frastuono che odia il silenzio e l’austerità. E devo ammettere che ci vuole tanto coraggio per vivere ma ancor più per morire. “Transito” significa “passaggio” e può essere usato sia in senso generico che nel campo fisico, astronomico, medico. A me interessa applicarlo nel campo spirituale e qui assume il significato di morte, in quanto trapasso dalla vita terrena alla vita eterna. È la vita che ci prepara a morire: essa conosce bene il suo mestiere. Basta ascoltarla, vederla, seguirla. Si tratta, in questo ripetuto incontro con la morte, d’imparare a incontrare la vita. Si tratta di virare all’eterno, come nelle negative fotografiche dove tutti i neri diventeranno bianchi. Ho sperimentato dopo anni di contatti metapsichici e ultrafanici che l’esistenza dell’uomo non finisce con la sua vita terrena. Il nostro destino è epifanico, la nostra essenza sopravvive alla fine biologica. Ma, come diceva Scandurra, se non cerchiamo la Luce ora, viaggeremo a fari spenti dopo.
5.La terra sconosciuta è il luogo del Risveglio.
6.Cercare, trovare… Sono parole che dobbiamo eliminare dal nostro vocabolario. Non bisogna mai cercare… Bisogna lasciarsi trovare… Tutta la vita spirituale consiste in questo. L’essenza non fa altro che cercarci. Apriamo le porte al mistero, questo è iniziatico, e se le apriamo scopriremo che noi stessi custodiamo quel mistero. Occorre anche saper distinguere ciò che non è altro che banalità, ciò che è esteriore e ciò che ci tocca veramente nel nostro profondo. Bisogna lasciarsi trovare. La rosa vuole forse andare a cercare il suo fiore nella radice? Lasciare che il Divino si esprima in noi, attraverso di noi; aprirsi per lasciarsi trovare. Ho la netta impressione che molte persone non sanno riconoscere questi istanti privilegiati, troppo impegnati nei problemi esistenziali. Chiedono allo psicanalista ciò che nemmeno lui possiede. Si tuffano nell’alcol per trovare ciò che hanno smarrito perdendosi; assumono droghe per mutare la chimica del cervello al fine di cambiare coscienza e annullano la loro preziosa essenza. I più forti attingono allo status meditativo, che consiste nel collegare il cielo e la terra attraverso la giusta posizione, nel far cessare il turbine dei pensieri e delle inquietudini, nell’aprirsi. La respirazione consapevole è centrale. Purtroppo, a parte le eccezioni, le tecniche yogiche non sono efficaci per la struttura somatopsichica di noi occidentali. Non siamo tutti uguali: Dio ama la differenza. Ci sono stati guru, Sri Aurobindo fra tutti, che hanno tentato un possibile, auspicabile compromesso tra i due emisferi antropologici e culturali dell’Est e dell’Ovest, con risultati controversi. Perché abbandonare la sapienza iniziatica occidentale, che sebbene di tipo carsico, è pur sempre operante e accessibile, per incamminarsi su strade esotiche? Certo, qui la Via non la troverete sulle pagine gialle, né sugli annunci di furbi prestigiatori da fiera. È facile essere ingannati, come no, tuttavia se forte è il desiderio, forte è la spinta a voler volare, il messaggio arriva e qualcuno lo raccoglie.
7.Entrare profondamente nella Realtà. Come fare? Cercare la profondità in un solo punto. Ogni volta che l’essenza ci afferra, il retroscena psichico cambia. Compaiono una potenza, una gioia. E scopriamo che non si tratta solo di espandere la coscienza, ma di estendere il corpo, incrementandolo di valore. Attenzione: quando ci si apre si diventa vulnerabili. Bisogna procedere a tappe, anche se capita di vedere prossimo il traguardo. Si assapora il nettare e lo si vorrebbe tutti i giorni, ma ciò è pericoloso. Corpo e mente non sono ancora preparati a ricevere modifiche rilevanti. La potenza che subentra potrebbe bruciare tutto se non trova le condizioni adeguate. Per sopportare una forte corrente ci vogliono argini secolari e un fondo capiente. La fretta acceca, lo sconforto blocca, il dubbio frena. Madrenatura è un aiuto indispensabile sul cammino, perché tranquilizza, guarisce, favorisce la nascita di una nuova sensibilità, permette l’integrazione delle forze in gioco e, prima di tutto, elargisce lo spirito universale. Nasce il presentimento del Divino. Attenzione, lo ripeto: chi non si è costruito una struttura interna cadrà nel vuoto, presto o tardi. Diffidate di chi promette miracoli senza avvertire che l’impresa è per pochi, quasi per nessuno.

sabato 1 novembre 2014

SIAMO VASI CAPOVOLTI




Piove ogni giorno Nettare dal cielo ma voi avete la coppa capovolta. Quando deciderete di girarla noterete con stupore che si riempirà all’istante … ma il Nettare pioveva anche prima, eravate voi ad avere la coppa capovolta. (Buddha)

Troppe volte pensiamo di non farcela. La vita ci sfianca, ci addolora. Osserviamo gli altri che ridono sardonici, magari vivacchiano soltanto, spesso fuggono dalle prove, si stordiscono pur di non soffrire e noi, con maggior autocoscienza, schiattiamo. E allora ci pieghiamo alla gravitazione dell’esistenza, fino alla fine di una vita vissuta poco e male. La questione è una sola: la vita ha uno scopo? Meglio ancora. È necessario darle un senso visto che ne sembra priva?

Le religioni, le filosofie, le ideologie, la scienza, danno risposte, modelli, norme, promettono di risolvere una volta per tutte la nostra indigenza, le malattie, le tante paure che ci affliggono. Per molti rimane solo la disperazione, quel senso di incompiuto e la disillusione. Sembra che questo nostro passaggio nel mondo manchi sempre di qualcosa, non basti mai abbastanza. Non abbiamo mai abbastanza amato, desiderato, sperimentato, rischiando di campare con poco quando avremmo avuto bisogno di molto di più. Questa sensazione di insufficienza ci attanaglia. Vorremmo vivere senza preoccupazioni, ma è solo un sogno; vorremmo vivere per raggiungere la felicità, ma ci accorgiamo che è impossibile. Tutti i traguardi diventano fuori portata per molti di noi, per alcuni sono solo sfiorati.

Viviamo in un clima di ipnosi di massa che ottunde la volontà, il sentimento, l’intelligenza. C’è chi trivella i nostri subconsci per far emergere gli antichi demoni e innestarci protesi psichiche di provenienza ignota. Vogliono invadere le nostre anime e il piano è già operativo. I malanni oscuri che investono l’umanità sono ormai palesi: depressioni diffuse, crimini familiari, anomia sistemica, sfascio dell’ordine naturale, sommovimenti antitradizionali, agnosticismo dilagante. Sembra che non ci sia più nulla di stabile. È la perdita del centro dell’uomo. La quantità e lo spessore sono i parametri del nuovo infausto regno.

Troppe volte pensiamo di non farcela.

Io che ho fatto? Mi son fatto spuntare le ali e volo ad una quota differente. Nessun miracolo o fuga schizoide dalla Realtà. Anziché scappare da essa, sono entrato nel suo cuore. Come? Beh, non appartengo ad una scuola iniziatica e nemmeno ho frequentato un ashram, non sono caduto in un atteggiamento fideistico sotto la dittatura di catecumeni psicopatici oggi così in voga, e tantomeno ho rincorso vie prive di apparati ritualistici e ridotte a ginnastiche mentali (Krishnamurti docet). Per alcuni appoggiarsi ad una struttura iniziatica o spiritualistica può essere necessario, un primo passo, difficile però staccarsene al momento giusto per camminare senza grucce.

Per me è la scoperta, o meglio, la presa in considerazione di una facoltà che il mondo sfruttando la nostra pigrizia ci impone di ignorare: LA FACOLTÀ DI PRENDERE LE DISTANZE. Il risveglio di questa facoltà diventa difficile mano a mano che la si approfondisce. Essa è un’arte e l’arte comincia dalla difficoltà. La vita diventa così il mezzo stesso del risveglio. La società moderna odia la distanza dalle cose. Il comunismo la rifiuta a priori. Il mondo liberale l’annienta, condizionando le persone a diventare schiavi del prodotto accrescendone gli appetiti. Chiunque sostenga il sacro distacco ed il suo valore infinito, è considerato uno straniero in questa società. Si è valutati come senza patria e senza posizione, condannati in ogni momento all’espulsione e al vagabondaggio esistenziale.

L’iniziazione come io la intendo - ovvero la capacità di raccogliere l’intensità somatopsichica fino alla sua massa critica per giungere alla distanza da tutto e alla vicinanza con tutti -  è lo statuto dello straniero. Attraverso l’iniziazione riscopro la mia origine, ritrovo una patria più abbandonata che perduta: testimonio un’irriducibile libertà interiore, la certezza che esiste in me qualcosa di trascendente rispetto agli impegni quotidiani, alla società e alla storia, una Verità al centro stesso dell’essere.

Forse la via che ho scelto è a volte brutale, adatta ad uomini nudi in un’epoca barbara. Ve ne sono altre, caute, circonfuse di sentimenti estetici e di effusioni fraterne, collegate al passato per mezzo di simboli e di riti; vie più lente e calde, forse più umane: le consiglio perché comunque non producono effetti collaterali. Per quanto mi riguarda la strada che ho intrapreso da tempo ha trasformato un’esistenza cieca in un destino, voglio dire in una ricerca illuminata, attraverso prove e segni, di un rapporto più giusto con me stesso, con gli altri e col cosmo.

È tutta una questione di riposizionare le luci interne, per sistemarle come furono fabbricate da Dio all’origine, così da poter aprirci al Cielo per ricevere il Nettare della Creazione.

Non vi accontentate di vivacchiare, perché vuol dire fermarsi, l’estremo autoinganno. Se non siete disposti a sacrificare tutto, non otterrete nulla.