Chi legge "esamini tutto, ma ritenga solo ciò che è giusto".

La mente non è un vessillo da riempire, ma un fuoco da accendere.

martedì 23 novembre 2010

IUS 33

1.
Le cose del mondo sono trattate in segreto da una sinarchia, il governo mondiale, del quale l’intermediario misterioso, cioè la Salamandra, è uno strumento.

2.
La sostanza di cui sono intessuti tutti i corpi sottili dell'uomo – comunque denominati – è l'Etere vibratorio (Akasha) in qualità via via più rarefatte e via via più iperfisiche. [Silvano Panunzio]

3.
Nel mondo reale, quando amiamo comunichiamo a distanza misteriosamente, aiutati in ciò dallo Spirito Santo (o comunque lo vogliate chiamare) e dai nostri Amici Celesti. Nella mia esperienza Loro rivestono un ruolo estremamente discreto e potente e personale: gli angeli si annunciano sulla soglia della vita con un fruscio frequenziale e, dopo la morte, fanno vedere il proprio volto.

4.
ENRICO MEDI
PAROLE AI GIOVANI

... L'uomo è più grande delle stelle. Ecco la nostra immensa dignità immensa grandezza dell'uomo, della vita umana. Giovani, godete di questo dono che a voi è stato dato e che a noi fu dato. Non perdete un'ora sola di giovinezza, perché un'ora di giovinezza perduta non ritorna più. Non la perdete in vani clamori, in vane angoscie, in vani timori, in folli pazzie, ma nella saggezza e nell'amore, nella gioia e nella festa, nel prepararvi con entusiasmo e con speranza. Da una cosa Iddio vi protegga: dallo scetticismo, dal criticismo e dal cinismo; il giovane sprezzante di tutte le cose è un vecchio che è risorto dalla tomba. Guai se la giovinezza perde il canto dell'entusiasmo.

5.
ALGERNON BLACKWOOD
LA CASA DEL PASSATO

Una notte, in sogno venne uno Spirito e mi portò una vecchia chiave rugginosa. Egli mi guidò attraverso campi e dolci vicoli odorosi dove le siepi sussurravano fra loro nell'oscurità della primavera, finchè arrivammo a una enorme, vecchia casa con finestre sbarrate e alti tetti seminascosti nelle ombre del primo mattino. Io notai che le imposte erano ermeticamente oscurate e la casa sembrava avvolta in una quiete assoluta. "Questa" sussurrò lo spirito vicino al mio orecchio "è la Casa del Passato. Vieni con me e attraverserai alcune sue stanze e corridoi; ma presto, poichè io ho la chiave solo per poco tempo e la notte sta per finire. Allora, forse, ti ricorderai!"
La chiave fece un rumore terribile mentre girava nella serratura, e quando la grande porta si aprì in una sala vuota e noi entrammo, udii suoni di sussurri e pianti, fruscii di vesti come di persone che si muovevano nel sonno e stavano per svegliarsi. Poi all'improvviso un senso di profonda tristezza mi sopraffece imbevendomi fino all'anima; i miei occhi incominciarono a bruciare e a farmi male, e nel mio cuore divenni consapevole di una strana sensazione di srotolamento di qualcosa che aveva dormito per anni. Il mio intero essere, incapace di resistere, si arrese subito al senso di profonda malinconia; e il dolore del mio cuore, mentre la Casa si muoveva e si risvegliava, divenne in un istante troppo forte per esprimerlo a parole... Mentre avanzavamo, le deboli voci e i pianti fuggivano via davanti a noi e si ritiravano nelle interiorità della Casa; e io allora mi accorsi che l'aria era piena di mani alzate, di indumenti fluttuanti, di trecce pendule e di occhi così tristi e nostalgici che le lacrime, che già sentivo spuntare nei miei occhi, si trattenevano per la meraviglia alla vista di un tale insopportabile struggimento. "Non permettere che tutta questa tristezza ti opprima" sussurrò lo Spirito al mio fianco. "Non succede spesso che Essi si sveglino. Dormono per anni e anni e anni. Le stanze sono tutte piene e a meno che non arrivino visitatori come noi a disturbarli, non si sveglieranno mai di loro volontà. Ma, quando uno si agita, il sonno degli altri è disturbato e anche questi si svegliano, finchè il movimento passa da una stanza all'altra e poi alla fine in tutta l'intera Casa... Allora, qualche volta, la tristezza è troppo grande per essere sopportata e la mente si sveglia. Per questa ragione la Memoria dà a loro il sonno più dolce e più profondo che ha, e usa molto poco questa vecchia chiave rugginosa. Ma ascolta ora" aggiunse alzando la mano "non senti attraverso la Casa tutto quel tremolio dell'aria simile al lontano mormorio dell'acqua che cade? E riesci tu ora... forse..., a ricordare?" Ancora prima che parlasse, io avevo già afferrato debolmente l'inizio di un nuovo suono; e ora, nelle profondità delle cantine sotto i nostri piedi, e anche dalle regioni superiori della grande Casa sentivo i sussurri e i fruscii, e l'intimo agitarsi delle Ombre addormentate. Il suono saliva come un accordo vibrato delicatamente da enormi corde invisibili tese da qualche parte fra le fondamenta della Casa, e questo tremolio si propagava dolcemente attraverso i muri e i soffitti. E io sapevo di aver sentito il lento risveglio degli spettri del passato.
Ah, povero me, per quel terribile afflusso di tristezza stavo con gli occhi bagnati e ascoltavo le deboli voci morte tanto tempo fa... Poichè, davvero, l'intera Casa si stava svegliando; e arrivava alle mie narici il sottile, penetrante profumo del passato: di lettere a lungo conservate, con l'inchiostro sbiadito e i pallidi nastri; di trecce profumate bionde o brune, stese teneramente fra fiori secchi che ancora conservavano la dolcezza della loro fragranza dimenticata; la profumata presenza di memorie perdute, l'intossicante incenso del passato. I miei occhi piangevano, il mio cuore si contraeva e si espandeva, mentre il mio essere cedeva senza riserve a quei vecchi, vecchi influssi di suoni e di odori. Questi Spettri del Passato (dimenticati nel tumulto delle memorie più recenti) pulsavano intorno a me, prendevano le mie mani nelle loro e sussurravano cose che avevo da tanto tempo obliato, sospiravano scuotendo dai loro capelli e indumenti gli ineffabili odori delle epoche morte, mentre mi guidavano attraverso la Casa da stanza a stanza, da piano a piano.
E gli Spettri, non li distinguevo tutti perfettamente. Alcuni avevano solo una vita debolissima, mi impressionavano poco e lasciavano solo una indistinta confusa impressione nell'aria. Mentre altri mi guardavano quasi con rimprovero, attraverso occhi sbiaditi, incolori, desiderosi di farsi riconoscere alla mia memoria. E poi, vedendo che non venivano riconosciuti, galleggiavano indietro, leggermente, dentro le ombre della loro stanza per addormentarsi di nuovo indisturbati fino al Giorno finale, quando io non avrei mancato di riconoscerli. "Molti di loro hanno dormito così tanto" disse lo Spirito accanto a me "che si svegliano solo con grande difficoltà. Una volta svegli però, essi sanno e si ricordano di te anche se tu non riesci a ricordarti di loro. Poichè la regola in questa Casa del Passato è che, se non ti ricordi di loro distintamente, se non ricordi precisamente quando li hai conosciuti e in quali particolari cause della tua passata evoluzione erano associati, essi non possono rimanere svegli. Se non ti ricordi di loro quando incontri i loro occhi, se il loro sguardo di riconoscimento non viene ricambiato, allora essi sono obbligati a ritornare al loro sonno, silenziosi e dispiaciuti, con le mani vuote, le voci inespresse, per dormire e sognare, immortali, pazienti fino a..."
In quel momento le sue parole svanirono improvvisamente nella distanza e io divenni consapevole di una prepotente sensazione di gioia e felicità. Qualcosa mi aveva toccato le labbra, e un forte, dolce fuoco mi illuminò il cuore e fece scorrere il mio sangue tumultuosamente nelle vene. Il mio polso batteva selvaggiamente, la mia pelle bruciava, i miei occhi si scioglievano e la terribile tristezza del posto era istantaneamente dissipata come per magia. Girandomi con un grido di gioia, che era subito inghiottito dal coro di pianti e sospiri intorno a me, guardai... e istintivamente tesi avanti le braccia in un raptus di felicità verso... verso la visione di un Volto... capelli, labbra, occhi; una stoffa d'oro contornava il bel collo,e il vecchio, vecchio profumo dell'Est era nel suo respiro. Solo le stelle sanno quanto tempo fa... Le sue labbra erano di nuovo sulle mie; i suoi capelli sopra i miei occhi; le sue braccia attorno al mio collo, e l'amore della sua antica anima si riversava nella mia attraverso i suoi occhi stellanti e non ancora offuscati. Oh! Il violento tumulto, l'inesprimibile stupore, se solo io potessi ricordare!... Quel sottile, evocante odore di tanto tempo fa, una volta così familiare... prima che le colline di Atlantide fossero sopra l'azzurro mare, o le sabbie avessero incominciato a formare la culla della Sfinge. Ancora l'attesa; ecco ritorna indietro; io incomincio a ricordare. Tende su tende si sollevano nella mia anima, e io posso quasi vedere al di là. Ma quella mostruosa distesa di anni, terribile e sinistra, migliaia e migliaia... Il mio cuore trema e ho paura. Un'altra tenda si alza e una nuova prospettiva, più lontana delle altre, si rende visibile, interminabile, verso un punto lontano, fra la nebbia spessa. Adesso tutto si sta muovendo, si alza, si illumina. Finalmente potrò vedere... già incomincio a ricordare... la pelle oscura... la grazia dell'Est, gli occhi meravigliosi che detenevano la conoscenza di Buddha e la saggezza di Cristo prima ancora che essi avessero sognato di realizzarla. Come un sogno dentro un sogno, mi sorprende di nuovo, si impossessa fortemente di tutto il mio essere... la forma più esile... le stelle nel magico cielo dell'Est.... le ali che sussurrano fra i palmeti... il mormorio delle onde del fiume e la musica delle canne dove si piegano e sospirano nelle cave con la sabbia dorata. Migliaia di anni fa, oltre cosmiche distanze. Il ricordo sbiadisce un poco e incomincia a passare; poi sembra tornare di nuovo. Ah povero me, quel sorriso di denti scintillanti... quelle palpebre dalle lunghe ciglia. Oh, chi mi aiuterà a ricordare, poichè è troppo lontano, troppo oscuro, e io non riesco a ricordare; anche se le mie labbra ancora tremano e le mie braccia sono aperte, tutto incomincia a sbiadire. Sopravviene un senso dl tristezza inesprimibile quando lei sente che io non mi ricordo più... lei, la cui semplice vicinanza poteva, una volta, cancellare tutto l'universo... e lei ritorna indietro, lentamente, dolorosamente, silenziosamente al suo oscuro terribile sonno, per sognare e sognare il giorno in cui io DOVRÒ ricordare e lei DOVRÀ venire da chi le appartiene. Ella mi guarda dal fondo della stanza dove le Ombre già la coprono e la avvolgono, con le braccia tese, al suo lungo, lungo sonno nella Casa del Passato. Tutto tremante, con uno strano odore ancora nelle narici e col cuore infuocato, mi girai e seguii lo Spirito su per una larga scala, in un'altra regione della Casa.
Come entrammo nei corridoi superiori io sentii il vento che passava sospirando sopra il tetto. La sua musica si impossessò di me finchè sentii come se il mio intero corpo fosse un singolo cuore, dolorante, teso, pulsante fino a spaccarsi; e solo poiché avevo sentito il vento sospirare intorno alla Casa del Passato. "Ma ricorda" sussurrò lo Spirito rispondendo al mio muto stupore "che tu stai ascoltando la canzone cantata da epoche sconosciute a miriadi di orecchi sconosciuti. La sua musica fa ritornare spaventose paure; e in questa semplice nenia, profonda nella sua terribile monotonia, ci sono le associazioni e i ricordi delle gioie, dolori e battaglie di tutte le esistenze precedenti. Il vento, come il mare, parla alla memoria interiore, ed ecco perché la sua voce è di tale profonda tristezza spirituale. E' la musica delle cose per sempre incomplete, non finite, insoddisfatte."
Mentre passavamo attraverso le stanze a volta, notai che nulla si muoveva. Non c'erano veri suoni, solo una impressione generale di profondo respiro collettivo, simile all'ansito di un oceano imprigionato. Ma le stanze, lo capii subito, erano piene fino alle pareti, affollate, file su file... E, dai piani inferiori, saliva anche il mormorio di Ombre piangenti mentre ritornavano al loro sonno, e si coricavano di nuovo nel silenzio, nell'oscurità e nella polvere. La polvere... Ah, la polvere che galleggiava nella Casa del Passato, così spessa, così penetrante; così fine, riempiva la gola e gli occhi senza dolore; così fragrante, calmava i sensi e quietava il cuore che soffriva; così soffice, inaridiva la lingua senza irritare; e così silenziosa, cadeva, si raccoglieva, si adagiava sopra ogni cosa, così che rimaneva nell'aria simile a una nebbia sottile e le Ombre dormienti ne erano avvolte come dentro i loro sudari. "E queste sono le più vecchie, quelle che hanno dormito più a lungo" disse lo Spirito indicando le file affollate di silenziosi dormienti. "Nessuno qui si è svegliato da epoche innumerevoli; e perfino se si svegliassero tu non li riconosceresti. Essi sono, come gli altri, tutte personalità tue, ma essi sono le memorie dei tuoi stadi primitivi lungo il grande Sentiero dell'Evoluzione. Un giorno però, essi si sveglieranno, e tu dovrai riconoscerli, e rispondere alle loro domande, poiché essi non possono morire finché non sono esauriti di nuovo attraverso te, che li hai fatto nascere." "Ah!" Mentre ascoltavo il significato delle ultime parole pensavo: "quali madri , padri, fratelli possono essere addormentati in questa stanza; quali fedeli amanti, quali veri amici, quali antichi nemici! E pensare che un giorno essi verranno avanti e si confronteranno con me, e io dovrò incontrare ancora i loro occhi, ascoltare i loro diritti, conoscerli, perdonarli ed essere perdonato... le memorie di tutto il mio Passato..."Mi voltai per parlare allo Spirito al mio fianco, ma egli stava già sbiadendo nell'oscurità e, mentre guardavo di nuovo, l'intera Casa si fondeva nel rossore del cielo a est, e sentii gli uccelli cantare e vidi le nuvole sopra di me che velavano le stelle nella luce del giorno che stava per nascere.
6.
POESIE DI ARTURO ONOFRI
Da Terrestrità del sole (1927)
10
Chi è questa improvvisa dea che appare?
Occhi diafani stellano di luna
sotto il manto ondeggiante delle chiome.
Da quella bocca, che sui denti abbonda
nelle labbra imbronciate come un fiore,
la voce non la intende altri che il mare.
Perché venne fra noi come una donna?
Quel suo piccolo capo trasparisce
di mattinate, d’angioli e di giuochi,
e nel girarsi addita in sua dolcezza
che le pietre traboccano di foglie,
le flore mettono ali, e mandre brute
s’appassionano d’ansie e di pensieri.
E noi, pregando che assuma figura
di beltà, la parola in noi rinchiusa,
ne intravediamo, come un sogno, il volto
nel modello che in lei donna respira.
30
L’identità del cuore, che asseconda
i cicli e le stagioni dei pianeti
e il respiro dell’acque e il crescerne erba
e i colmi avvenimenti d’ogni vita,
persuade in un ritmo di consensi
anche l’avvicendarsi in creature
che rientrano e escono dal mondo
nel gran flusso e riflusso della morte.
Gloria del sole, la tua luce è ordito
d’anime che si librano in amori
immateriali nell’oceano d’angeli
del tuo torace cosmico; e il mio breve
polso è la tua battuta, e il mio pensarti
è la tua riva, e in te nutro il respiro
assiduamente del mio verbo d’uomo
Da Vincere il drago! (1928)
30
Una voce inaudita addorme o stratta
gli oceani, e scrolla i continenti. Eppure,
schiude i fiori in dolcezza, e cauta allatta
i cuccioli ora nati, e crea figure
del suo divino afflato
in me ch’ella ha creato.
La sua pienezza d’essere si libra
sulla vita di tutti, in un amplesso
che insinua sé nella più tenue fibra
d’ogni suo nato, e non per farlo ossesso
d’una potenza aliena
ma per prestargli lena:
lena che imprime, risonando, l’orma
della musica sua nella nascente
cosmicità d’ogni terrestre forma,
che sarà vita, un giorno, in sé vivente,
pari, per proprio amore,
al proprio creatore.
23
Da curve di nuvoli aleggia,
in grembo al meriggio turchino,
la voce dei mondi: è un bambino,
che guida una candida greggia
a pascer gli steli
di sole, nei cieli.
E il piccolo bimbo è il pastore
celeste, che parla e risponde
all’umili pecore monde
lungh’esse le prata sonore,
dov’erbe e mentastri
fioriscono in astri.
Con flauto d’angelico argento
dà voce alla melodia grande
che sboccia fra i mondi, e s’espande
fin dentro la terra, col vento
che in nubi sorregge
candori di gregge.
Da Simili a melodie rapprese in mondo (1929)
Simili a melodie rapprese in mondo,
quand’erano sull’orlo di sfatarsi
nei superni silenzi, ardono pace
nel mezzogiorno torrido le ondate
ferme dei pini, sul brillìo turchino
del mare che smiracola d’argento.
E ancora dalle masse di smeraldo
divampa un concepirsi incandescenze;
ma un pensiero di su le incenerisce
in quella pausa d’essere ch’è cielo;
azzurreggiar di tenebra, che intima
(dal massiccio dell’alpe all’orizzonte)
ai duri tronchi èrgersi alati incensi
a un dio sonoro, addormentato, in forma
d’un paese celeste sulla terra.
Da Zolla ritorna cosmo (1930)
47
Le penombre di mammola, nei caldi
incavi del tuo viso, hanno stupori
d’aurora nel sorriso delle labbra
e nell’ardore diafano degli occhi.
Il roseo dell’intenta anima affiora
al limite impalpabile che abbraccia
te quasi caldo petalo carnale,
e annuncia i ditirambici abbandoni
della femminea musica segreta
in balìa del volere che m’infiamma
a somigliarti in sillabe di canto.
La tua persona è immagine in silenzio
della nostra vocale ansia di cieli,
e quelle ombre di mammola, nei caldi
incavi del tuo viso, hanno stupori
dorati, a fior degli occhi e delle labbra,
nel sogno di voler rassomigliare
alla forma che, in noi, musica vive.
Da Suoni del Gral (1932)
75
Mestizia d’un arcangelo è il tuo volto
generato dal casco dei capelli
che nei tuoi sguardi amplifica l’ascolto
del mare in salmodie d’astri gemelli.
La chiusa ansia del seno, ove è raccolto
il tuo voler ricevere i novelli
spiriti del mio sangue, insù rivolto,
freme d’ardore nei tuoi fianchi snelli.
Ma il molleggiante ritmo dei tuoi lievi
piedi, ove siamo entrambi un cielo solo,
alia da terra angelici sollievi.
O creatura emersa dal mio petto,
tu sveli in me l’altro inattinto polo
del voler mio, che in te si fa perfetto.
Da Aprirsi fiore (1935)
Il gruppo dei tuoi boccoli, che il vento
sviluppa di sollievi musicali
sulla fronte infantile, suona argento
di voci, nei miei sogni prenatali.
Con l’onda che al mio petto ansa in accento
di fanciullezza eterna, ecco trasali
fra l’impeto dei giuochi in movimento,
e mi sfiori con gli occhi pieni d’ali.
Si stende il prato color giorno, e sembra
vivo tappeto d’oro sulla terra
oscura, che vi occulta le sue membra.
Tu sorgi come un fiato dalla zolla
profonda che il tuo calice disserra:
farfalla in fiore, o volo di corolla.

7.
DAN SIMMONS
L'ESTATE DELLA PAURA

Incipit
La Old Central School si ergeva ancora imponente, racchiudendo saldamente all’interno i propri silenzi e i propri segreti. La polvere di gesso accumulata nell’arco di ottantaquattro anni fluttuava intrappolata nei rari raggi di luce solare che penetravano al suo interno, mentre i ricordi di oltre otto decenni di mani di vernice salivano le scale e dai pavimenti scuri per diffondere nell’aria imprigionata odore di mogano - l’odore delle bare. Le pareti erano talmente spesse da dare l’impressione di assorbire i suoni, le alte finestre tingevano l’aria di una stanca tonalità color seppia con i loro vetri deformati e distorti dal tempo. Se pure scorreva, il tempo lo faceva con maggiore lentezza dentro la Old Central, dove i passi echeggiavano lungo i corridoi e su per il pozzo delle scale con suoni che parevano soffocati e fuori sincrono rispetto a qualsiasi movimento visibile nell’ombra. La sua prima pietra era stata deposta nel 1876, l’anno in cui il generale Custer e i suoi uomini erano stati massacrati vicino al fiume Little Big Horn, nel lontano West, lo stesso anno in cui il primo telefono era stato esposto nel corso della Fiera del Centenario, a Philadelphia, nell’altrettanto lontano Est; la old Central School era stata costruita nell’Illinois, a metà strada fra quei due eventi, ma lontana dal fluire della storia.

8.
WILLIAM H. HODGSON
LA CASA SULL'ABISSO

Incipit
Per innumerevoli ore ho riflettuto sulla storia che è presentata nelle pagine seguenti. E innumerevoli volte, nella mia veste di redattore del manoscritto, ho provato la tentazione di dargli una forma letteraria; ma non credo che il mio istinto si sbagli, nel suggerirmi di lasciarlo così com'è scritto, in tutta la sua semplicità. E il manoscritto... cercate di immaginarvi la scena, allorchè giunse nelle mie mani e io lo osservai da ogni lato, con curiosità, e ne sfogliai rapidamente, distrattamente, la pagine. E' un quaderno di non grande dimensione, ma ha molte pagine, anzi tutte, eccetto le ultime, scritte in una grafia strana ma leggibile, in lettere assai minute. Ancora adesso, mentre scrivo, mi pare di fiutare l'odore di muffa delle sue pagine, e di avere sotto le dita la sua carta gualcita dall'umidità.
Ricordo senza difficoltà la mia prima impressione del  contenuto del quaderno: che fosse un racconto di fantasia. Tale mi parve leggendo qualche parole qua e là, senza eccessiva attenzione.
Ora, pensate invece a quando, comodamente seduto in poltrona, mi sono accinto a passare le ore della sera in compagnia delle sue pagine. E a come sia cambiato il mio giudizio! Dapprima il sospetto che potesse trattarsi di fatti realmente accaduti. Da quella che sembrava una narrazione fantastica, era emersa una coerente, convincente successione di idee, che avevano assorbito la mia attenzione ben più che se si fosse trattato di una cronaca o di una storia, quale delle due fosse la natura di quella narrazione (e confesso di essere tentato di usare il primo dei due termini). In quella che pareva una storia senza importanza, trovai il resoconto di grandi eventi, e ciò che pareva assurdo e paradossale divenne ragionevole. Lo lessi e, leggendo, allontanai da me i veli dell'impossibile, che accecano la mente, e spinsi il mio sguardo nell'ignoto.

9.
[…] e vidi allora un donna stupenda indossante una tunica blu delicatamente ornata, come il cielo, di stelle d'oro. Nella mano destra stringeva una tromba dorata su cui era inciso un nome […]. Nella mano sinistra teneva un pacco di lettere, scritte in molteplici lingue […]. Aveva delle ali belle e grandi, totalmente ricoperte di occhi, con cui poteva librarsi in alto e volare più veloce dell'aquila. [Johann Valentin Andreae, Le nozze chimiche di Christian Rosenkreutz, a cura di Elsa Aichner, SE, Milano 2006, p. 11].

10.
Si tenga a mente solo questo brevissimo specchietto sulle fasi della vita dell’eroe:
una nascita misteriosa, i cui genitori naturali non siano direttamente rintracciabili→ relazione difficile con la figura paterna→ Separazione → Iniziazione → Ritorno e compimento risolutivo.

11.
I Folli per Cristo sono individui che spinti dall’amore di Dio e del prossimo, hanno adottato una forma ascetica della pietà cristiana che si chiama la follia per l’amore del Cristo. Essi rinunciano volontariamente non solo alle comodità e ai beni della vita terrestre, ai vantaggi della vita in comunità e ai beni di famiglia, ma accettano per di più di assumere l’apparenza di un folle, che misconosce le regole di convenienza e di pudore e si permette spesso di commettere azioni scandalose. Questi asceti non temono di dire la verità ai potenti di questo mondo, accusando quelli che avevano dimenticato la giustizia di Dio e consolando quelli la cui pietà temeva Dio.

12.
Riflessione di Francesco De Gregori interpellato da L'Avvenire a proposito della festa natalizia: Qualunque uomo ha dentro il senso dell'infinito. Nessuno, quindi, può rimanere indifferente di fronte alla Resurrezione. Certo Foscolo pensava che non morire mai volesse dire semplicemente essere ricordati. Ma credo che sia un'idea banale, come quella che risorgere dalla tomba sia soltanto uscire da una tomba. Mi piace pensare a un passo di Resistenza e resa di Dietrich Bonhoeffer dove lui raggiunge un momento di grande comunione con Dio quando vede un fiorellino su un muro [...] in quel fiore per me c'è ciò che ci precede e ciò che ci seguirà. C'è il senso della vita [da L'Avvenire, 23 marzo 2005; p. 56].

13.
Noi marciamo da lungo tempo verso un magico punto zero, da cui si allontanerà solo colui che potrà disporre di altre, più invisibili fonti di energia, E. Jünger citato in Alain de Benoist, Ernst Jünger: la Figure du Travailleur entre les dieux et les titans, in Nouvelle Ecole n. 40, settembre-novembre 1983, pag. 11-61, trad. it. Di Marco Tarchi, L'operaio tra gli Dei e i Titani. Ernst Jünger ‘sismografo’ dell'era della tecnica, Terzavia, Milano, 2000, p. 88.

14.
La modernità e la ragione illuministica sezionano, classificano ed analizzano, e pongono fine a quell'ontologia arcaica per la quale non esisteva soluzione di continuità tra sacro e profano romanticamente intesi, tra sogno e realtà; ciò avviene all'interno di un movimento/momento storico relativo alla presa di coscienza moderna - e occidentale - del mondo. Ma secondo me non possiamo non sentire talvolta, sepolta sotto i nostri lavori, i nostri sogni, le nostre passioni, i nostri passatempi e hobbies, quella nostalgia delle origini che bussa da lontano, quella chiamata all'unità che ci spinge nella fulgida creazione o nella disperazione depressiva. Gli uomini hanno dimenticato i loro dèi e distrutti i loro sogni. Ma per che cosa?

15.
La felicità non ha che un nome vero, antico e moderno: la fede. […] Al tempo della guerra di Vandea i contadini ribelli si battevano con valore senza pari, al grido “Per il mio Dio e per il mio Re!”. […] Sull’altra sponda, innumerevoli furono quelli che caddero cantando e gridando “Viva la Repubblica!” […]. Dalle due parti c’era, incrollabile, una fede. In Dio, qui. Nell’Uomo, là. Ma c’era, disinteressata e follemente pura, la fede! E, per lei, la felicità di combattere, di vivere o morire. […] Perché viviamo? interrogano i giovani. Netta risposta: per nulla, se voi non sapete più perché accettereste di morire, e se la nostra società non è più capace di armarvi per sfidare quella morte. Una vita non vale se non in questa dura luce [Le scuderie d’Occidente Volpe, Roma, 1973 di Jean Cau, pp. 158-159].
Con lo stupido pretesto del ritorno alle sorgenti e alla semplicità evangelica, i nostri preti vogliono delle chiese più brutte d’un baraccone e sono pronti a celebrare la messa in giacca e calzoni [Le scuderie d’Occidente, p. 85]

16.
L’approssimarsi al muro del tempo, quel Varco di cui vado sostenendo l'inevitabilità, provocato dall’accelerazione dell'ispessimento coscienziale dell'umanità ma anche dal compimento del ciclo cosmico, intensifica i fenomeni “di soglia”, fa assottigliare sempre di più quel velo che per noi separa visibile e invisibile, e quindi intensifica la ricerca e l’attesa dell’irruzione dello straordinario, tanto come avvento salvifico e nuovo inizio (anche nella vita del singolo), quanto nella forma di un evento minaccioso e distruttivo. L’immaginario dell’epoca attuale è pressoché tutto su questo registro, anche se prevale (e ce n’è ben donde) l’aspetto paranoico del complotto totalizzante ai danni dell’umanità (il che la dice lunga, molto al di là della retorica scientifica, sulla percezione di massa dei pericoli e delle oscure trame della tecnoscienza).
17.
Voi preti che vendete a tutti un’altra vita/ se c’è come voi dite un Dio nell’infinito, guardatevi nel cuore, l’avete gia tradito/ e voi materialisti col vostro chiodo fisso che Dio è morto e l’uomo è solo in questo abisso/ le verità cercate per terra da maiali/, tenetevi le ghiande lasciatemi le ali. [Francesco Guccini]

18.

ALFRED KUBIN

L'ALTRA PARTE


Pensavo alla mia morte come a una gioia grandissima, celeste, come all’inizio di una eterna notte nuziale. Come tutto si rivolta contro di lei, e come sono buone le sue intuizioni! In ogni volto cercavo ansiosamente i suoi segni, nelle pieghe e nelle rughe della vecchiaia scoprivo i suoi baci. Sempre nuova mi appariva; e come erano squisiti i suoi colori! I suoi sguardi risplendevano così seducenti che i più forti dovevano cedere, e allora lei gettava la sua maschera e senza mantello il morente la vedeva circondata da diamanti, nei riflessi di mille sfaccettature. Più tardi, quando osai rientrare nella vita, scoprii che la mia dea regnava solo a metà. Divideva le cose più grandi e le più piccole con un antagonista, che voleva la vita. Le forze di attrazione e di repulsione, i poli della terra con le loro correnti, l’alternarsi delle stagioni, il giorno e la notte, il bianco e il nero, non sono che l’espressione di una lotta. Il vero inferno consiste nel fatto che questo doppio gioco contraddittorio si prolunga in noi. L’amore stesso ha il suo centro di gravità “inter feces et urinas”. I momenti più alti possono soggiacere al ridicolo, allo scherno, all’ironia. 

Il Demiurgo è un ibrido”

19.
PELLEGRINI – PILGRIMS

A volte ti senti così lontano,
tenuto a distanza dal cuore della recita,
incapace di intuirne l’importanza,
mentre osservi la trama con diffidente scoramento,
bloccato al centro del palco,
mentre cerchi a tentoni nel tuo diario una pagina perduta:
incerto del sogno.
Prendere a calci una pietra attraverso la spiaggia,
mentre ti logori in cerca di un amore e di un sollievo irraggiungibili;
la via che si apre di fronte sembra così desolata,
non è rimasto nessuno con cui parlare che ti sia lontanamente amico
o che ti mostri una qualsiasi relazione
tra la tua situazione presente e quella futura…
insensibile al sogno.
Via, via, via – guarda al giorno futuro
in cerca di speranza, di una qualche forma di pace
nel mezzo della tempesta che si rafforza.
Mi arrampico attraverso la sera, vivo e fiducioso
che nel tempo tutti conosceremo i nostri scopi e quindi, infine, la nostra meta;
per ora, tutto è segreto – anche se (come faccio a dirlo?),
lasciate che io mantenga il sogno in vista!
Ho atteso così a lungo
soltanto per vedere infine,
tutte le mani stringersi tra loro saldamente,
tutti noi pellegrini.
Mentre camminiamo in silenzio lungo la costa,
soltanto per viaggiare, qui la speranza è tutto,
anche solo sapere che c’è una fine;
tutti noi, amanti, fratelli, sorelle, amici
mano nella mano…
Impronte splendenti sulla sabbia umida
conducono al sogno.
Il tempo è giunto, la marea si è quasi alzata
ed ha prosciugato le profondità:
mi sveglio da un sonno lungo una vita.
Sembra che abbia sognato per così tanto tempo –
ora, da sveglio, riesco a vedere
che siamo pellegrini e per questo dobbiamo percorrere questa strada,
con un fine sconosciuto, soli, ma non senza valore,
e la meta che continua a chiamarci.
Abbiamo aspettato qui così a lungo,
con le mani di noi tutti unite nella speranza,
restando in equilibrio sulla fune -
tutti noi pellegrini.
[Van Der Graaf Generator/Peter Hammill]

20.
Quel che di più grande esiste nella Creazione, è la possibilità di amare che l'uomo possiede, è l'amore che vive nell'uomo ed emana da lui. [dagli scritti di Theodossios Maria della Croce, Nel grande mattino del mondo. Ed. Jaca Book]

21.
IL LINGUAGGIO DEI SEGNI
THEODOSSIOS MARIA DELLA CROCE


Il tempo passa, l'Eternità rimane; ecco il permanente prisma attraverso il quale si debbono vedere e filtrare le cose, tutte le cose, tutti i pensieri, tutti i sentimenti, tutti i ricordi, tutte le generosità e tutte le miserie, tutti i momenti di splendore dell'infanzia e tutti i ripiegamenti su se stessa dell'anima colpita. Quel che permane è l'Eternità, eterno è soltanto l'amore.
Paesaggi solinghi, prati e giardini dall'infinita tenerezza, azzurri mari sotto l'azzurro cielo d'estate, fiori delicati offerti piamente da anime delicate, elevatissime montagne e pacifici rivi, finestre aperte su verdi distese, profumi di timo e d'incenso e di cera pura, croci bianche piantate su desertiche colline, lontani rumori della sera nelle piane e fertili campagne, voci amiche vibranti di eterna fedeltà che attraversano l'ora profumata del crepuscolo, infermità e piaghe profonde offerte con dolcezza e senza ribellione, offerte per la libertà e la gioia di anime sconosciute, presenze che popolano tutte le solitudini e solitudini di amore infinito che trascendono ogni presenza, sbagli dall'origine santa, riuscite senza merito che riempiono l'anima di segreta tristezza nelle ore di lode e di ovazione, brividi di solitudine e di vuoto cosmici dinanzi all'immagine dell'infinito universo, mobile e senza amore; brividi e calde lacrime di riconoscenza dinanzi alla piccola discreta vibrazione dell'infinito amore del Creatore, sussurri di dolce saggezza in seno ad amicizie stabilite da Dio nell'eternità, empiono la mia anima quando penso a ciascuno di voi mentre penosamente ci avviciniamo al mistero delle festività di dolore e di resurrezione.
Ormai per milioni di uomini la nostalgia della bellezza e dell'amore eterno non fa parte del "reale". Tutto un linguaggio, linguaggio umano, sensibile, tutte le sfumature e le delicatezze nel significato delle parole dispaiono nella coscienza e nella sensibilità di milioni e milioni di uomini. Mentre lo scopo della creazione ed il mezzo per raggiungerlo come individui, come popoli e come razze, restano immutabili. Così ogni anima fedele ed amante è portata, in mezzo ad ogni tribolazione, a percepire e a vivere, per quanto le è possibile e permesso, dietro ogni cosa il suo segno, il suo linguaggio intimo di creatura creata innocente prima di ogni alterazione, per sentire dietro ogni cosa l'amore eterno di Dio e della sua creazione in Lui.
Sulle foglie degli alberi, trasparenti ed auree di sole, si legge il messaggio del Verbo: la speranza. Si legge un appello, un sogno ed una promessa. Tutta la creazione contiene il segno infinitamente variabile ed assolutamente unico della finalità della creazione. Al fondo dell'orizzonte riluce l'orizzonte interiore. E sull'orizzonte interiore riluce il volto dell'Amore eterno, il volto umano e divino; volto del molteplice infinito e dell'uno infinito, poiché è il volto del Creatore e del Figlio unico del Creatore e dello Spirito tre volte Santo del Creatore.
I più piccoli fiori dei campi, l'intimo degli occhi amici, i pianeti e le galassie, i barlumi della lampada ad olio davanti ad una icona, le tombe dei bambini piccoli e i cimiteri dei secoli, tutte le acque pure e i profumi soavi dei campi e delle foreste, il vento salato dell'oceano contengono un canto segreto, un canto dolce, discreto e infinito, il canto del Signore.
I fiori e gli alberi e le pietre preziose, come gli umili sassi, le acque, le distese e le montagne, ogni cosa è una bella lettera e una parola del linguaggio nascosto della vita eterna. Per questo la Sacra Scrittura e tutti gli scritti sacri dei servitori di Dio sono pieni di paragoni e di riferimenti alla natura. I fiori esprimono una pienezza spirituale che sale dal fondo della creazione iniziale della terra d'origine. Le pietre preziose esprimono la fissità delle virtù conquistate, e ogni elemento contiene qualità immutabili accanto a elementi corrosivi. Ed ecco che San Paolo scrive: "Infatti, dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l'intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità" (Rom. 1, 20). l fiori e gli alberi e le pietre preziose, come gli umili sassi, le acque, le distese e le montagne, ogni cosa è una bella lettera e una parola del linguaggio nascosto della vita eterna. Per questo la Sacra Scrittura e tutti gli scritti sacri dei servitori di Dio sono pieni di paragoni e di riferimenti alla natura. I fiori esprimono una pienezza spirituale che sale dal fondo della creazione iniziale della terra d'origine. Le pietre preziose esprimono la fissità delle virtù conquistate, e ogni elemento contiene qualità immutabili accanto a elementi corrosivi. Ed ecco che San Paolo scrive: "Infatti, dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l'intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità" (Rom. 1, 20).
L'anima di buona volontà, quando è entrata definitivamente nella via dell'umiltà fondamentale, comincia a essere riconoscente per la più piccola rotella che l'uomo può fabbricare, per la più piccola medicina, per l'acqua dei fiumi e della pioggia, per la lana degli abiti, per la legge del suono che permette lo strumento musicale, per il metallo che permette lo strumento del medico e l'ago calamitato; è riconoscente per le leggi che conosce del mondo naturale, per la percezione dell'infinitamente piccolo e dell'infinitamente grande, nei rapporti con la natura finita, per i colori, per i fiori, per il firmamento. E' riconoscente perché, grazie all'apertura dell'umiltà fondamentale e della morte, capisce il linguaggio di tutto l'universo visibile e di tutte le leggi della natura, che non parlano d'altro che di questa vita d'ordine e di pace e di amore eterno del Regno.
Per comprendere e penetrare ciò che vuol dire "la bontà delle cose", cioè quello che le cose esprimono e il loro segno, i libri servono a poco quando l'uomo è appesantito sul suo "Io"; è necessario che egli sia libero ed è liberato dal suo io quando entra nella gloria dell'amore, quando si interessa ai suoi fratelli, quando si interessa, per esempio, a scrivere una lettera tenera alla mamma che ama; allora l'uomo è libero, è allegro e sorridente.
E' assolutamente impossibile cogliere il mistero di un paesaggio, cogliere il mistero degli animali, il mistero del rapporto degli uomini con gli animali, se ogni giorno non armonizziamo il nostro sapere con la conoscenza intima vissuta, se non siamo continuamente mossi dal desiderio di essere uniti alla Verità eterna.
Le cose esprimono un'immensa bontà, quando manifestano all'uomo il messaggio dell'amore di Dio. E gli esseri umani stessi contengono un grande segreto sacro e possono contenere un'immensa bontà, un amore che è una partecipazione all'amore di Dio.
Quando si comunica con la Creazione, vi è una grande nostalgia perché dietro ogni espressione è consegnata, è celata ovunque, la grande bontà di Dio. Vi è celata anche la morte perché l'uomo non può più comunicare soltanto con la bontà delle cose, e se vuole separarsi egoisticamente dal male della morte, amando se stesso, allora egli si separa in se stesso e abbandona l'opera della Creazione.
E' ciò che vuole il diavolo che odia la Creazione, che odia l'uomo. La forma con cui più si manifesta il peccato e il disordine iniziale, è la chiusura alla penetrazione del mistero della Creazione, il chiudersi all'amore delle opere di Dio. Quando la natura non è dominata dall'amore eterno dell'uomo, la bontà delle cose si perde.
Per essere costantemente con Dio, è necessario amarlo pienamente, amare ciò che ha voluto fare: ha voluto salvare il mondo, cioè ha voluto che l'uomo possa comunicare con la bontà delle cose, con la bontà della Creazione, con Lui. Così devo essere pieno di disponibilità per comprendere la bontà delle cose: la bontà della fiamma d'olio, la bontà del colore verde di un campo la bontà di un sorriso, la bontà di un sopracciglio, la bontà di una pietra, la bontà del calore in una camera quando rientro dopo il freddo, la bontà misteriosa che emana dalla foresta, bontà della terra, delle foglie, delle cortecce; la vibrazione di bontà che emana da un uomo, dal suo spirito, dal suo cuore, dai suoi capelli, dalle sue orecchie, dalle sue ossa.
E come mai ci sono tanti crimini? Assenza d'amore. Tante volgarità? Assenza d'amore. Là dove non c'è amore tutto è sporco, dove c'è l'amore tutto diviene santo, perché qualunque sia l'amore dell'uomo, anche il più ordinario, esso è una partecipazione all'amore di Dio, e Cristo è venuto per santificarlo.
Tutto ciò che è senza amore conduce alla morte, anche se è fatto in nome di Dio. Per questo San Paolo ha detto, e lo ripeterò fino alla fine della mia vita: posso possedere tutta la sapienza e conoscere tutte le lingue, posso dare il mio corpo in olocausto, se non ho la carità sono un cembalo squillante.
Quando siete stati in contatto con la bontà delle cose, quando cioè, il contatto con il mondo esterno ha elevato la vostra anima e vi ha riempiti di gioia d'amore sacro, eravate liberi, senza problemi; quando ci si appesantisce si entra nelle tenebre.
Non crediate che la bontà consista nel non volere il male. La bontà non è di non volere il male, è un'attività continua, come una luce continua. E quando l'altro, vicino a noi, è debole e appesantito su se stesso o soddisfatto di sé, o meditativo o un po' cupo, dobbiamo essere luce per dissolvere le sue tenebre.
Credetemi, la conoscenza è un cammino senza fine, è un cammino per conoscere Dio. Si avanza, si avanza... Ciò che è definito è la via, e la via è unica: amare, volere il bene, avere una pazienza senza fine, non disperare mai.
L'uomo di verità scopre la firma del Creatore impressa nell'intimità di ogni cosa, ed entra nel cammino che conduce fuori dalla storia. Scopre che Cristo è entrato nella storia per liberare l'uomo dalla Grande Illusione. Così ai piedi della Croce inizia il cammino della liberazione, in cui l'uomo scopre a poco a poco il linguaggio mistico di tutte le cose visibili. E allora viene il giorno in cui l'universo tace e la storia tace. L'Illusione si dissolve. La falsa immagine dell'universo è rovesciata. E l'anima conosce e vive, perché conosce il reale eterno, l'Ineffabile.

DAREST SHARMA

E adesso chi era alla porta? Ebbi paura, stupidamente. Mastro Fornari era con me, perché temevo?

“Entra se hai buone intenzioni, altrimenti preparati”. Esclamò con tono enfatico.

Giocava o faceva sul serio quell'incredibile salta-fossi. La porta si aprì ed entrò una giovane donna. Bella, caspita. A Viterbo l'avrebbero apostrofata con ben altri epiteti. Alta più di me (180cm), un soprabito nero col collo alzato, luccicante, stivali scuri ed un sorriso spettacolare. Il volto era una poesia. Come nei romanzi di avventura finalmente entrava in scena la bellona di turno ed io, lì, in mezzo ad una guerra eterna. Un ragazzo di provincia immerso in una fiaba. La donna salutò Fornari col gesto simbolico della gilda e abbassò lievemente la testa in segno di rispetto. Mi guardò distrattamente e si rivolse al maestro in una lingua musicale ma per me incomprensibile. Non riuscivo a captare niente. Parole, suoni, modulazioni aliene.

“Ranna Abarel, benvenuta. Parliamo nel gergo di mastro Scandurra, così il nostro amico potrà capire. Viene dalla Terra e si chiama Darrell Zelio”.

Lei mi squadrò con sospetto e sorpresa. Faticò nel farmi un lieve sorriso e avanzò con lente falcate verso di me. Divenni rosso come un peperone. Quella tipa mi metteva a disagio. Ora mi stava a mezzo metro e potei sentire il suo profumo da capogiro. Il volto sembrava acceso come un faro. I capelli lunghi e biondi si muovevano al minimo moto della testa, come se ci fosse il vento. Gli occhi, poi, erano blu. Una svedese come fattezze, ma con un qualcosa di alieno. Che scoperta, eh? visto dove ci trovavamo.

“Non sei troppo piccolo per queste cose?”.

Balbettai non ricordo cosa, poi mi ripresi.

“Se il mio maestro ha deciso così, avrà avuto dei buoni motivi”.

Prendi e porta a casa. L'orgoglio terrestre scattò, mi si caricava all'altezza della pancia. Non sarebbe stata una spillungona proveniente da un altro universo a farmi sentire un fesso. Mastro Fornari si esibì in una grassa risata.

“Buoni buoni. Siamo tutti fedeli custodi del Lumen. Non è il momento per tirar fuori le unghie. Avrete ben altre occasioni. C'è da stabilire un piano per penetrare nel castello rotante. Lo elaboreremo durante il tragitto”.

Abbassai la testa per farmi perdonare. Lei mi squadrò di nuovo e poi si sedette scocciatissima. Certo che ero inesperto, prassi e dottrina da poco apprese erano ben lungi da un rodaggio significativo. Ma mi trovavo lì perché inviato e con informazioni alquanto incomplete, e se c'era uno che si doveva sentire scocciato, se c'era qualcuno in seria difficoltà perché catapultato su quello strano mondo ove il tempo era fuso con le cose, tanto da condizionare pensieri e azioni; ehi!, ero io quello ad aver diritto di essere un tantinello contrariato.
Fornari si ravvivò i capelli e chiese attenzione.

“Dunque, vediamo. L'equilibrio tra universi si poggia sull'energia che scaturisce dall'unione dei contrari. Ma la negazione, cioè il potere dell'Ombra volto alla dissoluzione e oppositore di ogni cosa; ecco dicevo, la negazione si frappone tra i contrari e impedisce la loro unione. Tenendo separati gli opposti, l'Ombra li rende infetti con la propria malattia. L'equilibrio viene meno e gli eventi incrementano la loro consistenza. Il tuo universo, Darrell, collassa, il Grande Tempo esaurisce la sua energia e accelera gli eventi. Tutto si ispessisce. Ciò non avviene per qualche errore degli ingegneri cosmici o per i capricci di un dio sadico. No, la Torre Rotante è la macchina del Kaos ed è tutt'una con l'Ombra, è il suo doppio. Cosa produce? Il morbo nero ed è un flagello che non perdona. Contamina tutti gli esseri viventi che rechino in sé una tara, una falla nell'uovo-anima. Orgoglio, violenza, superbia, pur se latenti e occulti, attraggono la malia come magneti psichici. Questo cancro tenebroso e multiforme è da tempo tracimato nel tuo universo e già corrode la galassia. Darest Sharma è un porto cosmico, una cittadella morta in realtà. Ma la morte lì è più che viva. Vi sono antiche rampe di decollo, banchine e oscure taverne ricettacolo di fuoriusciti di pianeti sconfitti. Circolano voci strane assai. In quei posti si parla di cose segrete, crudeli, blasfeme. I vascelli cosmici evitano come la morte quel posto. Persino le dicerie, le paure, si materializzano a Darest Sharma. Dicono che si veda il castello rotante in lontananza, a volte, proprio al tramonto, solo quando è visibile lo si può avvicinare. L'Ombra che ti ho più volte citato, non è una categoria astratta. Essa è una entità incarnata in un essere... è lui il morbo stesso che si propaga in tutti gli universi. Eppure Darrell, le potenze oscure qui all'opera che disfunzionano il bilanciamento, fanno comunque parte del grande piano disegnato sul testo sacro delle origini compilato dai Vedenti... credo che sia giunto il momento di andare. C'è una guerra da combattere. È antica e forse è giunta al suo epilogo. Ogni cosa è stata messa in tensione dinamica. Ogni essere ha scelto o evitato di scegliere da che parte stare. Darrell ha fatto una lunga strada, è stato scelto da Scandurra che qui è una leggenda come tu ben sai, Ranna. Sicuramente questo ragazzo ha doti notevoli e soprattutto è allievo di uno della schiatta di Atlantide, ultimi depositari della sapienza dei Vedenti. Darrell, ricorda, il Bagliore ci salva da incontri pericolosi”.

Ranna, mi offrì il suo braccio in segno di amicizia.

“Darrell, sono stata inospitale e volgare. Ti chiedo perdono. Faremo bene insieme, vedrai”.

“Non c'è problema”, feci io con ostentata sicurezza.

Scandurra una leggenda in questo universo. Per la steppa! Addirittura discendeva dai Vedenti. Dovevo sapere queste cose proprio ora. Mi si gonfiò il petto di orgoglio. Quel piccolo uomo rinchiuso in una bottega di frutta e verdura a Viterbo, era un personaggio più che noto, un mito in un altra dimensione. Pensare che sulla mia Terra uomini da poco si credono i padroni, pensano di essere la causa dei destini di molti e invece... forze ai più ignote si muovono e operano indisturbate in una guerra senza quartiere sui nove piani della realtà. Io avevo l'onore di conoscere Scandurra, mi consideravo la persona più fortunata del mondo ma il mondo lo ignorava. Non comparirà mai in televisione, né sarà in prima pagina, nessuno saprà mai ciò che veramente accade dietro le quinte della storia e di quello che un pugno di uomini, salta-fossi interdimensionali, fanno con coraggio e dedizione assoluta. Nessuno. Ma non importa. Scrivo queste Cronache perché un giorno qualcuno potrà salvarsi dalla fine del mondo.

Mastro Fornari si alzò dalla carrozzella, pestò i piedi sull'impiantito e si diresse come se niente fosse fuori. Rimasi basito. Ranna se ne accorse.

“Il maestro è ferito soltanto qui dentro, nel passavia”.

Uscimmo in tutta fretta e ci inoltrammo in mezzo alla folla di Deya. All'imbrunire iniziava la nostra missione. Incominciavo a capire che quella avventura aveva una connotazione ben più ampia di un viaggio oltre i confini dell'universo, che non era cosa da poco del resto. Una stilettata ghiacciata salì lungo la mia schiena. Il morbo? Sarebbe arrivato sulla Terra. Ma no, non era possibile. Già, perché era possibile viaggiare per dimensioni? Era possibile colloquiare con esseri di altri mondi? La Magia poteva convivere con la tecnica? Sì, tutto è possibile.
Mentre con passo svelto e in fila longobarda ci dirigevamo verso Darest Sharma, ultimo della compagine, richiamavo il Bagliore. Ranna rallentò e si affiancò alla mia sinistra.

“Guardati dai disseminatori. Gettano per strada cartocci di materia infetta. Nei loro laboratori ne producono in quantità tali da ammorbare un universo”.

“Perché Ranna quest'odio?”.

Ma lei era già passata avanti a me. Untori di manzoniana memoria, perseguivano intenti di morte non per trarne chissà quale profitto di dominio, o almeno non lo credevo. Piuttosto, diffondere in tutti i pianeti la morte sembrava più una tendenza perversa interiore, malvagità allo stato assoluto, quasi come se appartenessero ad una stirpe votata alla distruzione di tutto ciò che è vita. Oppure una sete di vendetta folle perché colpisce tutti indistintamente. Non riuscivo a capire cosa spingeva alcuni ad odiare tutti: l'inferno sono gli altri? La realtà vera sporca feroce, è che tutti, ogni creatura dei multiuniversi, si misura col Male tutti i santi giorni, il problema è che pochi ne sono coscienti.
Ci muovevamo agilmente in quel labirinto estenuante, fatto di stradine e sottopassi zeppi di botteghe, ponticelli e piazzette. Le case poi erano bizzarre alquanto, mura curve o dritte puntate al cielo, piccole tozze e basse o altissimi palazzi pseudo rinascimentali che si fondevano con altri di stile diverso. Zac mi avrebbe poi detto che quei palazzi erano strutture caratterizzate dall'alternanza di elementi discontinui in compressione tenuti insieme da un sistema di elementi continui ed elastici in tensione. E poi rumori puzze profumi, luci multicolori, si rincorrevano in un guazzabuglio inestricabile. Deya univa il mito senza tempo e l’esperienza individuale contemporanea. Rendeva lecito il girovagare attraverso elementi futuribili e del sovrannaturale. Deya appariva una sorta di deposito gigantesco di relitti resti cose intrighi memorie di tutte le razze dell'universo. Qui coincidevano magia e tecnica, potenze e limiti, qui si giocava un gioco millenario che attendeva la parola fine. Tutto mi sembrava strano, diverso, ma ogni tanto percepivo qualcosa di familiare. Magari dentro un portone, da una finestra, in un negozio, sul volto di un passante frettoloso, sentivo una vicinanza e mi pareva di essere anche io di casa, col mio leggero bagaglio di ricordi, esperienze, dolori e amori. Ma poi il presente, la sua densità, mi rimetteva in tiro. Ahimè! L'incubo del morbo era qualcosa di molto concreto. Uno stato di ansia mi sorprese. Il Bagliore si affievolì. Da un muro, alla mia destra, emerse una testa informe dagli occhi di serpente, che mi fissò.

domenica 14 novembre 2010

Il Golem è 'vivo'


Il mitico gigante d'argilla creato dal rabbino Loew nel 1600, fu vanamente cercato da nazisti e sovietici nel XX° secolo. Ma...



''Il mago è un manipolatore totale '' Scandurra.
"Dio ha creato tutte le cose per mezzo delle trentadue 'meravigliose vie della sophia'. Queste vie sono costituite dai dieci numeri originari, qui chiamati sefirot, che sono le potenze fondamentali dell'ordine della creazione, e dalle ventidue lettere, cioè dalle consonanti, che sono gli elementi di base di tutto il creato" Gershom Scholem, Il Nome di Dio e le teoria cabbalistica del linguaggio, Adelphi, Milano, 1998, trad. di Adriano Fabris, p. 30




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Il Golem secondo Meyrink
Athanasius Pernath, il protagonista del romanzo 'Il Golem' di Gustav Meyrink, è un uomo che sa di avere un passato tragico e circonfuso di mistero, ma non riesce a ricordarlo; vive nel ghetto, tra persone strambe e ostili, in un ambiente da incubo.
Spesso, in sogno, assisto alle spettrali comunicazioni che si scambiano queste vecchie case, e mi rendo conto con terrore che loro sono in realtà i veri padroni di questa strada, della sua vita e della sua essenza, alla quale possono rinunciare a piacere, imprestandola agli abitanti durante il giorno e riprendendosela, con interessi esorbitanti, durante la notte. Per non parlare degli strani esseri che vivono fra le loro mura, esseri non di carne, né di sangue, i cui fatti e misfatti sembrano accadere senza un piano. (...) Sempre più mi convinco che quei sogni nascondono qualche profonda verità, che luccica debolmente nella profondità della mia anima, come il fievole riflesso dell'arcobaleno di una favola, durante la veglia. Allora, non so come, mi torna in mente la leggenda del misterioso Golem, l'uomo meccanico che tanto tempo fa, qui nel ghetto, un saggio rabbino creò utilizzando i quattro elementi; poi gli diede una sterile vita di automa, rinserrata in una formula magica che egli gli pose fra i denti (Il Golem e altri racconti di Gustav Meyrink, a cura di Gianni Pilo e Sebastiano Fusco, Edizioni Newton, 1994.).
Ogni trentatrè anni il Golem appare alla finestra di una stanza senza porte, situata vicino alla casa di Pernath, in Altschulegasse. Chi lo incontra resta come paralizzato, esattamente come succede al protagonista, che dopo l'esperienza viene riportato da amici nella sua casa, dove trova il vicino Hillel che gli spiega che cosa è successo.
Non c'è niente di strano in tutto questo. Solo il soprannaturale può incutere terrore nell'uomo. La vita ferisce ed irrita come un cilicio, ma i raggi del sole del mondo spirituale sono dolci e ci recano conforto. (...) Il Golem raffigura il risveglio dell'anima attraverso la vita più intima dello spirito. Ogni cosa sulla terra non è che un simbolo perenne, rivestito di polvere. Impara a pensare con i tuoi occhi. Pensa con i tuoi occhi ed osserva attentamente tutte le forme: tutto ciò che ha preso forma era prima uno spirito. (...) Colui che è stato destato non si addormenterà più ( Da Il Golem e altri racconti, opera citata).
Il Ponte di Re Carlo a Praga
Praga magica
Così raccontava Meyrink. Ma era solo frutto della sua immaginazione artistica? A Praga, città magica al di là della pubblicistica delle agenzie turistiche, davanti al municipio cittadino, troneggia l'imponente statua del gran rabbino Loew Jehouda ben Bezalel (1512-1609), detto il "MaHaRaL", il cabalista. La statua ha più di un secolo e nessuno - né i nazisti, né i sovietici dopo di loro, e tanto meno i graffitari odierni - si è mai azzardato a danneggiarla. È là, sempre identica, protetta dalla sua stessa leggenda. Durante il processo dell'"Ebreo Slánský" nel 1952 - intentato dal potere stalinista contro le spie e i "cosmopoliti", ovvero gli ex dirigenti comunisti di origine ebraica - il governo sistemò delle guardie tutto intorno al monumento, per proteggerlo da eventuali aggressioni antisemite. Perché questa singolare eccezione? È là che nacque, fatto di sillabe sacre e fango, il primo umanoide della storia, il Golem, e a distanza di così tanto tempo dalla sua morte, il suo creatore incute ancora paura. I praghesi raccontano che nel 1941 Heydrich, neoeletto governatore ausiliario del Reich in Boemia-Moravia - regione che Hitler poi trasformò in protettorato - avrebbe proposto al suo Reichsführer delle Schutzstaffeln, Heinrich Luitpold Himmler, di sfruttare la forza del Golem per vincere la guerra. Seguace di circoli magici, Hitler approvò. Era tuttavia necessario decifrare le formule della Cabala che una notte dell'anno 1600 avevano permesso l'apparizione del prodigio davanti alla folla ammassatasi ai piedi della Sinagoga Vecchia-Nuova. All'epoca l'Europa era in fiamme: cattolici e protestanti si facevano la guerra. Erano divisi su tutto, fuorché nell'odio per gli ebrei. Le persecuzioni antisemite si moltiplicarono. Gli ebrei si rivolsero al loro rabbino chiedendo protezione. Egli esitò, ma alla fine si fece consegnare migliaia di secchi pieni di fango argilloso estratto dal fiume Moldava che attraversa la città. Con esso modellò una forma gigantesca, dai contorni vagamente umani, e in essa infuse la vita. Era il Golem, forza bruta priva di bocca, perché il Verbo appartiene esclusivamente agli uomini. Quella specie di colosso atomico impressionò gli antisemiti, ma il MaHaRaL disse anche che da un giorno all'altro, senza preavviso, avrebbe potuto ribellarsi contro i suoi stessi creatori. Il mostro d'argilla garantì la sicurezza della città ebraica, dove riportò la pace e il benessere. In seguito, però, il Golem cessò di avere un'utilità pratica. Lo si impiegò per mansioni impegnative e compiti umili. I bambini iniziarono a deriderlo. Lo si insultò. Del resto, non era un estraneo? Un giorno, come aveva previsto il MaHaRaL, il Golem si ribellò e distrusse tutto ciò che incontrò sul suo cammino. Il suo creatore, il gran rabbino Loew, fu avvisato immediatamente e dovette togliere la vita alla sua creatura: il Golem tornò a essere fango. Gli abitanti della città ebraica, pieni di rimorso, trasportarono il fango nel solaio della Sinagoga Vecchia-Nuova, la più vecchia d'Europa. Fu per ridar vita a quel mucchio di argilla che il nazista Heydrich costituì addirittura un commando, denominato "Commando Golem". Suo compito era quello di rintracciare gli ultimi officianti della sinagoga e, alla bisogna, torturarli per ottenere le formule necessarie a farlo tornare in vita. Il Commando recuperò le informazioni desiderate. Ma poiché non riuscì a rintracciare anche la melodia che accompagnava le parole pronunciate da MaHaRaL, di fatto il Commando non riuscì a esaudire il sogno di Hitler. David Gans, che assistette al prodigio affermò: "Nessuno, salvo MaHaRaL, fu mai puro a sufficienza per conoscere questo segreto della Cabala". MaHaRaL, il gran rabbino Loew, illustre cabalista, era nato nel 1512 a Worms sul Reno e ed era arrivato a Praga in età avanzata, su richiesta della comunità ebraica e dell'imperatore romano germanico Rodolfo II. Rimase a svolgere il suo incarico di rabbino fino alla sua morte, sopravvenuta nel 1609, all'età di 97 anni. I nazisti, quelli del cerchio magico di Himmler, fino a guerra finita, tentarono di animare il Golem, inutilmente; il quartiere ebraico di Praga fu comunque risparmiato dai bombardamenti, diversa sorte ebbe il ghetto di Varsavia. Perché i nazisti hanno risparmiato Praga? Per paura di MaHaRaL e del Golem? Goethe stesso aveva visitato la Sinagoga Vecchia-Nuova prima di scrivere il suo Apprendista stregone. Il Golem di Gustav Meyrink (1915) è stato uno dei primi best-seller della letteratura mondiale, letto da centinaia di migliaia di tedeschi. Del resto, il fascino che gli ebrei esercitavano su Heydrich era tale che egli si era fatto preparare un attestato dalla Commissione di valutazione razziale a riprova della sua origine tedesca e della purezza del suo sangue. Scrissero che il suo sangue non conteneva "né sangue di nero né sangue di giudeo". Portò quel documento sempre con sé, appuntato sul petto, e così fu ritrovato dopo essere stato ucciso il 4 giugno 1942 dalla resistenza ceca. Nondimeno, prima di quel momento ebbe tutto il tempo necessario a presentare a Hitler il suo progetto, consistente nel fare del quartiere di Josefov a Praga il "museo esotico di una razza estinta". Considerato che era pericoloso toccare la Praga ebraica a causa del MaHaRaL, demiurgo del Golem, perché non trasformarla - alla stregua di un Jurassic Park - in un luogo nel quale osservare le tracce di un popolo malvagio, cancellato per sempre dalla faccia della Terra?. Al numero uno di via Staré Školy, in un bell'edificio in stile Art Nouveau dell'ex quartiere ebraico di Praga, si trova il Museo ebraico. Il suo storico e curatore, Arno Parik, racconta che "sotto il controllo nazista, quaranta dipendenti lavorarono dodici ore al giorno per ricostruire un altro museo nello stesso posto del nostro, chiuso nel 1939, inaugurato infine il 3 agosto 1942. Sui cataloghi classificarono oltre duecentomila reperti". La prima esposizione che organizzarono, nella sinagoga detta Alta, riguardò i testi ebraici e i manoscritti che i nazisti avevano fatto venire da tutta Europa. A quell'epoca vivevano a Praga circa centoventimila ebrei. Oggi sono a malapena mille e settecento. Il loro quartiere non è cambiato, presenta ancora i suoi "angolini oscuri, passaggi segreti, finestre cieche, cortili sudici, brasserie rumorose, alberghi sinistri", come scrive Kafka. Anche quel quartiere si è salvato grazie alla paura che incuteva e incute ancora il cabalista di Praga? All'ombra del Klaus, la scuola di studi di MaHaRaL, si trova il vecchio cimitero ebraico. Migliaia di tombe - oltre dodicimila, si dice - alcune delle quali vecchie di parecchi secoli, si sovrappongono e si puntellano a vicenda per non crollare. Nell'imponente basamento di pietra sotto il quale riposano il gran rabbino Loew e sua moglie Perl, il tempo ha aperto numerose crepe, dentro le quali - come in quelle del Muro del Pianto - i pellegrini infilano i loro fogliettini scritti, contenenti i loro messaggi. Uscendo dal cimitero ci si imbatte in un edificio sbilenco di mattoni scuri a due piani. Come indica una targa fissata sull'architrave della porta d'ingresso, è lì dentro che nel 1664 fu fondata la Confraternita dell'Ultimo Dovere (Hevrah Kadisha). Questa confraternita, formata da volontari, aveva l'obbligo di servire senza distinzione alcuna tutti i membri della comunità e di prendere a carico i più bisognosi e i malati...
La statua raffigurante il Golem, baluardo magico del quartiere ebraico a Praga
La ritirata strategica dei Nazi
I maghi neri di Himmler, come ho accennato, erano arrivati vicinissimi a rianimare il Golem. Chi è un po' al dentro di cose magiche, o per dirla alla Scandurra, materie oscure, dovrebbe ben sapere che nelle operazioni occulte tutti gli elementi, i riti, i dettagli, devono essere rispettati, pena il fallimento. Nel circuito magico-simbolico, ogni componente è necessaria, un elemento mancante, anche il più piccolo, comprometterebbe il funzionamento. I nazi, che non erano fessi né arrendevoli, dovevano comunque trarre un profitto conoscitivo da quell'esperienza. Cosa fecero? Se a Praga non erano stati capaci di compiere la missione, altrove, in luogo sicuro, neutro e lontano dalle difese psicomagiche ben attive nel quartiere ebraico, i nazi sarebbero riusciti nell'impresa. Imballarono il Golem, lo caricarono con tutte le precauzioni su di un camion speciale e lo portarono via per una destinazione ignota. Prima però si diressero al castello di Wewelsburg, in Westfalia, che il Reichsfuhrer SS Heinrich Himmler trasformò nella sede permanente delle SS e accademia per ufficiali superiori. Non conosco i dettagli sulla breve permanenza del prezioso carico nel castello, ma non mi è sfuggito il piano di volo che subito dopo Himmler ordinò: con due idrovolanti, fatti gli scali necessari per rifornimento carburante fino a Buenos Aires, l'ultima tappa, sarebbe dovuta essere l'Antartide, nel territorio chiamato Terra della Regina Maud. Perché proprio il Polo? Cosa c'era oltre al ghiaccio di così importante da portare sin lì degli aerei con un bagaglio tanto unico quanto prezioso? Una base militare segreta? Oppure, da lì si accedeva ad un altro mondo...?
No, amici, non è una trama alla Spielberg. Il propagandista cineasta ci descrive i nazisti come dei feroci insufficenti mentali, che vengono regolarmente battuti da un fighetto archeologo cacciatore di tesori, un eroe americano senza macchia e senza paura, sinceramente democratico come Uolter Veltroni. No, la realtà è più dura, più tremenda e complessa delle sceneggiature di Hollywood. Il potere dei media e il processo di acculturazione che il sistema adotta sulle coscienze della gente, è diabolico come diabolica è la pretesa che l'attuale regime mondiale sia il migliore dei mondi possibili, dopo millenni di barbarie. Hitler tentò di stabilire l'Ordine Nero sulla Terra, al fine di rendere possibile la cratofania degli antichi titani, detentori della fiamma distruttrice. I teosofisti sanno a cosa alludo e gli amici del blog, pure. Mille anni di incubo. Così non fu, il piano concepito dai signori della fiamma fallì. Ma c'è sempre un piano 'B'.
Da tempo mi sono convinto che nessuno creda più alla realtà così come appare. Scandurra mi ha insegnato a scavare, chiedere, provocare. Seguendo queste indicazioni, si sono automaticamente verificati fenomeni ed intromissioni metapsichiche, magiche, provenienti dal mondo sublunare. Questo però ha sempre provocato una reazione distruggitrice di entità che non obbediscono alle leggi della fisica e della percezione, capaci di oscurare la scena della realtà e del mondo.
Il Golem esiste e 'vive' in mezzo a noi
Il mio interesse per il Golem? Curiosità? No di certo. Scandurra mi ha insegnato a leggere i segni che mi si presentano e che mi indicano la strada, al termine della quale niente è più lo stesso. Forze occulte sono sempre all'opera, ed io son lì pronto a captarle o a 'beccarle'.
Il segno lo incontrai tanti anni fa. Frequentavamo periodicamente un amico, MF, che si occupava di ermetismo. Ci riceveva sempre nel suo studio nei pressi dei Monti Cimini. Una sera decise di svelarci alcune cose che riteneva importanti e le sentiva come un peso. Il suo anziano maestro austriaco, FW, fu allievo del grande scrittore e magista Gustav Meyrink. FW prima di lasciare questo mondo, depositò presso un notaio una specie di legato per il suo giovane discepolo viterbese: una scatola minuta, contenente del fango secco. Essa era appartenuta al grande scrittore boemo di lingua tedesca. Così come l'aveva ricevuta, MF la donò a Scandurra e gli svelò la natura del contenuto: si trattava della particola dello stesso fango usato dal rabbino Loew secoli prima, per costruire il Golem. Storia incredibile. Il mio maestro si mostrò assai interessato e disse che ci avrebbe fatto comodo un domani. Hai visto mai! Chiesi più volte a Scandurra a cosa poteva servirci quel pezzetto di fango intostato.
“Può tornarci utile. Meglio tenere sempre una chiave di riserva quando quella principale si perde. Un amuleto non si rifiuta, si custodisce”.
Il segno mi avrebbe condotto anni dopo lungo strade poco illuminate. Bazzicate da neonazisti, ricettatori di icone e residuati bellici, agenti dei servizi, massoni.
(continua)
Depistaggio magico.e criptopolitico.

giovedì 4 novembre 2010

IUS 32

 Gli uomini-ombra
 Le due nature: pensiero e uovo-anima


Un diamante spezzato

1.
Non è facile saper ascoltare. Occorre cedere al silenzio. Occorre lasciar parlare la realtà. Trattieni il respiro per cogliere l'essenza delle cose. Perché il silenzio parla un linguaggio misterioso. (Scandurra)

2.
L’amore è qualcosa di incandescente e dà vita a un cerchio ardente. Guidato da un desiderio indomabile, sono precipitato in un cerchio di fuoco. (Johnny Cash)

3.
Spesso gli artisti più illuminati sono anche spiriti fragili, anime che sanguinano e si lasciano travolgere da una fiamma che arde troppo velocemente. A volte ne vengono amplificate le gesta, le pose, o gli eccessi, non di rado anche oltre gli effettivi meriti. Altre volte invece il caso decide di accantonarli, ed essi vengono lasciati a decantare in una sorta di limbo mediatico, fino a quando le loro opere non ritornano a galla nella propria prepotente ed autentica bellezza.

4.
L'Odissea non può che essere stellare. Oltre le Colonne, verso l'Infinito, l'Odissea continua.
(Peter Kolosimo > Odissea stellare, SugarCo, Milano – 1974)

5.
Esiste, e si propaga contro corrente attraverso l’’Entropia , una deriva cosmica della materia verso strati di asservimento sempre più complicati (in direzione – o all’interno – di un “terzo infinito”, l’”infinito di Complessità”, tanto reale quanto l’Infinito e l’Immenso)  E la coscienza si presenta sperimentalmente come l’effetto, o proprietà specifica, di questa Complessità spinta a valori estremi. (Teilhard de Chardin, Pierre s.j. New York 14 gennaio 1954. Pubblicato sulla Rivista “Les Etudes philosophiques nel numero di ottobre-dicembre 1955)

6.
C’era la cattiveria dei tempi anche sotto i Romani, ma Gesù non se ne va affatto. Non si rifugia affatto dietro alla cattiveria di tempi. Non impiegò i suoi anni a gemere e lamentare la cattiveria dei tempi. Egli taglia corto. Oh in modo molto semplice! Facendo il cristianesimo. Non si mise ad incriminare, ad accusare qualcuno. Egli salvò. Non incriminò il mondo: salvò il mondo. Questi altri invece vituperano, raziocinando, incriminano. Medici che ingiuriano, che se la prendono con il malato. Essi accusano l’arida sabbia del secolo; ma al tempo di Gesù c’erano anche allora il secolo e le sabbie del secolo. Ma sulla sabbia arida, una sorgente, una sorgente di grazia, inesauribile, cominciò a zampillare. (C. Peguy)

7. 
Enigmatico il gatto è affine a quelle strane cose che l'uomo non può vedere. È lo spirito dell'antico Egitto , depositario dei racconti a noi giunti dalle città dimenticate delle terre di Meroe e Ophir. È parente dei signori della giungla , erede dell'Africa oscura e feroce. La sfinge è sua cugina, e lui parla la sua lingua; ma il gatto è più vecchio della sfinge, e ricorda ciò che lei ha dimenticato..
(H.P.L.)
8.
Superiorità dell’Italia
 
La nostra Italia, a paragone dei paesi grossi e grassi e degli imperi potenti e prepotenti, è forse piccola, povera, misera, sciupata, decaduta, e l’abita un popolo inquieto, volubile, riottoso, scettico eppur portato alla violenza. Ma, a dispetto di tutte queste inferiorità, vere o esagerate che siano, il popolo italiano è superiore a tutti i popoli della terra almeno in una cosa la quale non dipende dalla bellezza della natura, dalla dolcezza del clima, dalla grandezza della tradizione e dell’arte e neanche dall’acuta vivezza dell’intelligenza. È una superiorità che gli italiani debbono prima di tutto alla loro saggezza umana e alla loro anima naturalmente cristiana.
Nel nostro paese non si vedono mai cadere teste sanguinolenti, spiccate dal busto da una mannaia calante giù da un sinistro arco color sangue, rotolare in un paniere pieno di segatura. non si vedono mai creature umane col viso bendato, col collo stretto da un cappio di corda che ad un tratto, allo spalancarsi d’una botola, precipitano nel buio del vuoto e dell’orrida morte, alla presenza di sacerdoti impassibili, di magistrati burocrati, e di testimoni gelidi e anonimi.
Non si vedono mai, nelle nostre prigioni, le orribili celle della morte dove son condotti i criminali per essere fulminati dall’elettricità o uccisi dai gas avvelenanti.
Non si vedono mai, nel fossato di una fortezza o dirimpetto ad un muro bianco e nudo, dieci armati che sparano tutti insieme contro il dorso di un uomo solo legato ad una sedia, con le mani dietro la schiena.
Né questi né consimili atroci e assurdi spettacoli, che gridano vendetta al cospetto del Dio del Sinai e del Golgota, si vedono mai in Italia, mentre  sono faccende ordinarie e quasi quotidiane nei paesi che si credono o son creduti più civili e progrediti del nostro.
In Italia soltanto gli assassini assassinano, soltanto gli omicidi ammazzano i loro simili, soltanto i frenetici, i dementi e i bruti tolgono la vita i loro fratelli. La legge italiana non conosce e non ammette il diritto, da parte dei rappresentanti della ragione e della giustizia, di strangolare, decapitare, avvelenare, fulminare e fucilare gli esseri umani, anche se hanno commesso i peggiori delitti. In Italia, ringraziando il gran Dio Creatore, non esiste un pubblico ufficiale chiamato boia o carnefice. In Italia si contano ottocentomila cacciatori e parecchie centinaia di malfattori sanguinari ma non esiste un uomo che riceva dallo Stato un salario in compenso della prestazione d’opera per troncare la vita di altri uomini.
Il popolo italiano, a dispetto di tante sue tare e colpe, è superiore per molti versi agli altri popoli ma di nessuna superiorità può andare orgoglioso, secondo me, quanto di questo suo rifiuto del terribile diritto di vita e di morte sopra le creature fatte a immagine e somiglianza di Dio.
(Giovanni Papini, Le felicità dell’infelice, Vallecchi, Firenze, 1956, pagg. 189-191)
9.
Automi contro deserti
  
È probabile che nelle guerre future si vedano apparecchi senza piloti, cioè radiocomandati da lontano con cervelli elettronici che andranno a bombardare città abbandonate dalla popolazione, città deserte, cioè armi senza combattenti contro città senza abitanti, macchine vuote contro muraglie vuote.
Gli uomini viventi saranno tutti nascosti sotto terra e dal cielo pioveranno turbini di fuoco per distruggere tutto ciò che il genio e il lavoro creò sulla superficie della terra.
Ecco una profezia molto facile, oggi, ma talmente assurda e apocalittica che non balenò neppure alla fertile fantasia scientifica del mio vecchio amico Wells.
(Giovanni Papini, La spia del mondo, Vallecchi, Firenze, 1955, pagg. 269-270)

10.
HISTRION
Nessuno mai osò scrivere questo,
ma io so come le anime dei grandi
talvolta dimorano in noi,
e in esse fusi non siamo che
il riflesso di queste anime.
Così son Dante per un po' e sono
un certo Francois Villon, ladro poeta
o sono chi per santità nominare
farebbe blasfemo il mio nome;
un attimo e la fiamma muore.
Come nel centro nostro ardesse una sfera
trasparente oro fuso, il nostro "Io"
e in questa qualche forma s'infonde:
Cristo o Giovanni o il Fiorentino;
e poi che ogni forma imposta
radia il chiaro della sfera,
noi cessiamo dall'essere allora
e i maestri delle nostre anime perdurano.
(Ezra Pound)
11.
Effervescing Elephant
Un elefante effervescente
Coi piccoli occhi ed il grande grosso tronco
Una volta parlò a bassa voce ad un piccolo orecchio
L'orecchio di uno inferiore
Che nel prossimo giugno lui vorrebbe morire oh sì!
Perché la tigre vorrebbe errare.
Il piccolo disse:''Oh santo cielo, devo stare a casa!
Ed ogni volta sento un ringhio
Saprò che la tigre è in cerca di preda
E sarò veramente sicuro, tu sai
L'elefante mi ha detto così."
Tutti erano nervosi, oh sì!
E il messaggio fù sparso
A zebra, mangusta,e l'ippopotamo sporco
Che sguazzò nel fango e masticò
Il suo cibo di ippo-plancton drogato
E tese ad ignorare la parola
Preferendo osservare una mandria
Di stupidi bisonti d'acqua, oh sì!
E tutta la giungla prese paura,
E corse circa per tutto il giorno e la notte
Ma del tutto invano, perché, tu vedi,
La tigre venne e disse: "Chi io?!
Tu sai, io non farei male a nessuno di voi.
Io preferirei molto qualche cosa per masticare
E tu sei tutto da rimpicciolire."oh sì!
Si mangiò l'elefante.
(Syd Barrett)
12.
Splendi Diamante Pazzo (parts I-v)

Ricordi quando eri giovane, splendevi come il sole.
Splendi diamante pazzo.
Ora c’è un’espressione nei tuoi occhi simile ai buchi neri nel cielo.
Splendi diamante pazzo.
Catturato nel fuoco incrociato di infanzia e notorietà
Travolto della fama. (2)
Vieni oggetto di risate lontane, vieni sconosciuto,
leggenda, martire, e splendi!

Hai raggiunto il segreto troppo presto, hai pianto per la luna.(3)
Splendi diamante pazzo.
Minacciato dalle ombre durante la notte, ed esposto alla luce.(4)
Splendi diamante pazzo.
Bene, hai esaurito il tuo benvenuto con precisione casuale
Hai cavalcato la fama
Vieni farneticante, visionario, vieni pittore,
pifferaio, prigioniero, e splendi!
(Pink Floyd)
Note :
1) Questa canzone è dedicata (come tutto l’album Wish You Were Here) all’ex chitarrista del gruppo Roger Keith Barrett, meglio conosciuto come Syd Barrett.
2) Letteralmente: dal vento di acciaio.
3) Richiami agli album Saucerful of Secrets e Dark Side Of The Moon.
4) A causa dell’utilizzo di droghe nella notte, o in generale nei periodi bui, non era in grado di suonare e comporre di giorno.

13.
Dice l’Edda poetica islandese (1200 circa):
Io so che pendetti dall’albero esposto ai venti per nove notti intere da lancia ferito e consacrato a Odino, io stesso a me stesso, su quell’albero che nessuno conosce da quali radici cresca.
Nessuno mi dette pane, nessuno il corno per bere. Guardai verso il basso; raccolsi le rune, urlando le presi. E caddi da lì. Nove carmi giganteschi, carmi magici, io appresi da quel glorioso figlio di Spina-di-Male (BOLBORN). E bevvi un sorso di quel prezioso idromele attinto da ODRERIR”
.
14.
SONO UN FIGLIO D’UOMO
Da anni conservo in me una nostalgia di cui non parlo mai senza una grande discrezione, che è divenuta tuttavia uno stato d’animo permanente: la nostalgia degli anni in cui i cristiani non sapevano di essere cristiani. La prima volta che si cominciò ad usare questo appellativo fu nel 43 d.C. in Antiochia (Atti 11,26). In tutti questi primi anni dopo la risurrezione, i discepoli di Gesù non si dicevano cristiani, essi erano paghi di chiamarsi fratelli, sorelle, discepoli, credenti. Non furono essi che inventarono il nome e già questo mi consola. E non furono nemmeno gli ebrei che, meno di tutti al mondo, non ritenevano affatto Gesù come il Cristo (Messia) e che per disprezzo chiamavano i suoi discepoli Nazareni. L’opinione più fondata è che coloro che utilizzarono questo termine per la prima volta fossero gli impiegati o i militari romani che, per motivi di ordine pubblico, consideravano i discepoli di Gesù come i membri di un partito politico con retroterra giudaico. Fu insomma il potere ad inventare questo nome! Ciò mi basta perché possa sentirmi libero di coltivare la nostalgia dei giorni durante i quali i cristiani non lo erano affatto, in attesa di un tempo in cui i cristiani non lo saranno più.
[...]
Nella nostra epoca, la crisi della nostra identità di cristiani si iscrive nella crisi del cristianesimo che dobbiamo comprendere ormai nel senso più radicale e dunque come morte del cristianesimo. Per il sociologo agnostico, questa morte è una lenta e definitiva scomparsa, per me, credente, è l’entrata del cristianesimo con tutta la sua identità, nelle tenebre del venerdì santo in cui, come in un oscuro crogiuolo, si consumano le teologie, le istituzioni giuridiche, i patrimoni culturali. La mia stessa identità dì cristiano si dissolve nella Croce, io non voglio restare cristiano se questo significa rimanere chiuso nella determinazione che un tale nome esprime per l’utopista poeta, per il marxista, per l’agnostico, per il commissario di polizia e forse anche per l’impiegato della Curia. No, io non sono un cristiano, sono soltanto un uomo, come diceva Pietro a Cornelio. Io sono un uomo che considera tutti gli uomini come suoi fratelli e che vuole essere considerato da tutti come fratello perché, come spiega Martin Hillairet, è in questo atmosfera fraterna il luogo del cristianesimo. Il cuore del cristianesimo non è costituito da “nuovi riti religiosi” ma semplicemente da un uomo chiamato Gesù che ha vissuto la realtà banale della condizione umana .
[...] LA MIA UMANITÀ E AL FUTURO
Ecco cosa mi dico: il Cristo viene a te sotto le specie sacramentali del diverso: la donna, l’operaio, il nero, il musulmano, il buddista ecc. Il Dio di Gesù Cristo è nascosto in ogni diversità, egli è il Santo. Ma la sua diversità ha disteso veli tra noi e ci viene incontro attraverso gli uomini differenti da noi. Il viso di Dio è il viso dell’uomo che io non arrivo a comprendere. Mio compito non è far diventare cristiani gli altri, bensì quello di entrare nella identità degli altri e di comprenderli o, almeno, di prenderla come misura delle possibilità del Regno. La vera via della Trascendenza è nel passaggio verso l’altro, è nel fatto dì accogliere la provocazione dell’altro conservandola nel mio cuore come faceva Maria mentre ascoltava lo parola del Figlio, il Diverso per eccellenza.
È su questa premessa che baso la mia risposta alla domanda: Perché rimango cristiano? Resto cristiano per essere totalmente uomo. Quando dico totalmente non faccio allusione alle dimensioni di tipo esistenziale contenute nella totalità dell’umanità; l ‘uomo vero è la realizzazione delle possibilità che giacciono come una semenza nelle profondità dell’uomo “homo absconditus”. Diciamo che siamo figli di Dio ma non sappiamo propriamente chi siamo noi. Lo sapremo quando vedremo Dio faccia a faccia. La mia identità è quindi al futuro e sarà esprimibile soltanto nel momento in cui l’umanità raggiungerà la sua pienezza. Questa pienezza è il Regno di Dio. lo non vivo per la Chiesa, non vivo per dilatare la comunità dei cristiani. Vivo perché venga il Regno. La Chiesa alla quale appartengo è un segno ed uno strumento di questo futuro, ma questo futuro la oltrepassa, io stesso la oltrepasso pur restando fedele.
Ieri come prete portavo abiti, segni distintivi dell’istituzione di cui ero il rappresentante. Due anni or sono, in un dibattito a Milano, una pia signora mi chiese perché non portavo l’abito da prete . “È bene che si sappia con chi si ha a che fare, un agente di polizia porta l’uniforme, se ne ho bisogno so a chi devo rivolgermi”. Ebbene, io non sono affatto l’agente di polizia di Dio. Vorrei essere come il Cristo, semplicemente un figlio d’uomo, qualcuno che difende l’uomo per l’uomo.
Come dicevo all’inizio, la mia identità è di non averne alcuna o, meglio, di averne una che è situata nel futuro, una che riscopro soltanto quando dico: “Venga il tuo regno, sulla terra come nel cielo”.
Per esporre in maniera riassuntiva Dio, la Chiesa, il mondo: ieri, credevo che Dio amasse la Chiesa e la inviasse al mondo per salvarlo; oggi, credo che Dio ami il mondo e che la Chiesa sia un segno ed uno strumento di questo amore che la precede e la oltrepassa. Ieri, mi definivo collocandomi dentro la Chiesa e guardando il mondo come una realtà da conquistare per la Chiesa; oggi, mi colloco nel mondo e vivo entro la Chiesa quel tanto che anticipa simbolicamente l’avvenire del mondo.
Ma mentre ieri guardavo il mondo a partire dalla Chiesa, oggi guardo la Chiesa a partire dal mondo e mi siedo alla tavola della Chiesa, la tavola eucaristica, precisamente perché là si ascoltano le parole che rivelano i segreti nascosti fin dalla creazione del mondo, perché là si elaborano le speranze di cui tutti gli uomini hanno bisogno.
È vero, esiste ancora, e quanto è ingombrante, una Chiesa che si esprime col linguaggio della prudenza politica, che riveste di sacro la morale dominante. Questa chiesa non mi interessa, è quella di cui contemplo il declino con cuore gioioso. In me essa è già quasi morta. Ma questo declino è direttamente proporzionale all’emergenza della Chiesa come assemblea di coloro che non si curano di sapere chi essi sono, ma sanno di non avere, quaggiù, una città permanente (e dunque non è affatto necessario esservi registrati) e che cercano la città futura, la città verso la quale vanno tutti gli uomini, ciascuno con lo sua diversità. Si narra che durante l’età post-apostolica, si dava ai cristiani che partivano in viaggio, un frammento di vaso di terracotta. Al ritorno sarebbero stati riconosciuti per il fatto che il loro frammento poteva combinarsi perfettamente con gli altri. Sì, io so che la verità di cui vivo è appena un frammento. La mia identità è appunto il pezzo di un tutto. Quando tutti i frammenti saranno riuniti, allora io saprò veramente chi sono. La mia presunzione di ieri era di voler concentrare il tutto negli stretti limiti del mio frammento. Allora dicevo “noi cristiani ” con gran fierezza.
Vorrei essere fedele al mio frammento nell’attesa che si compia la totalità. La via verso questo futuro è la stessa via che mi conduce verso il fratello per unirmi a lui, non in quello che egli è (poiché la suo verità è solo un altro frammento) ma in ciò che egli cerca. E’ così che io mi sento a casa mia in tutti i luoghi di questo mondo. Io sono finalmente cattolico, e precisamente perché non lo sono più, perché sono un figlio dell’uomo.
Padre Ernesto Balducci  (tratta dalla postfazione  al libro di Paul Gauthier, “Vangeli del terzo millennio”, ed. Qualevita 1992)

DEYA: IL PIANETA LABIRINTICO 4

Darest Sharma, un nome che mi risuonava dentro la testa e incominciava a produrre echi, forse immagini, ma era ancora come una sensazione sbiadita. Intanto, mastro Fornari si diresse nel retrobottega e ne uscì poco dopo, imbacuccato da un cappottone grigiastro munito di mantella. Un vestiario fine ottocento, ma del resto mi trovavo in un altro universo e tutto era possibile e concesso e se dico 'tutto'...

Darrell Zelio, le distanze su Deya si misurano in unitempo, poiché i luoghi sono fatti dal sonno del Grande Tempo. Le strade, i palazzi, le cose e un po' anche gli abitanti son tutti impregnati. Molti unitempo ci separano da quel funesto posto. Tuttavia, in certi momenti puoi percorrere lo spazio in minor unitempo. Il problema sorge non tanto perché ci sono emissari sparsi dappertutto, ma qui le case ascoltano registrano e poi, segnalano la nostra presenza e direzione a Darest Sharma. Devi provare ad accendere il Bagliore così ché la luce ti renda invisibile.”

La luce ci nasconderebbe; bella questa.

Ricordi cosa ti diceva Scandurra a proposito del Bagliore? C'è un luogo nel tuo corpo dove tutto si unisce, lì è il nesso esistente fra lo spirito e la materia. Visita quel punto meraviglioso e scaturirà il Bagliore.”

Ricordavo certo il punto meraviglioso. Quanti tentativi, delusioni, fino all'accensione che sprigionò il Bagliore. Inondò la mia cameretta. Un'esperienza psichedelica, anzi, illuminante. Mi resi conto della conoscenza di Scandurra: incredibile. Ne sapeva più di ogni altro, scienziato filosofo intellettuale del mondo. In quel piccolo uomo, illetterato, semplice di modi, modesto, senza pretese ordinarie; in quel piccolo uomo era celato un potere immenso e tuttavia a disposizione di tutti. Non ci volevano chissà quali capacità, intelligenza, furbizia, cultura; lui ci chiedeva ardore, quella spinta formidabile verso le cose segrete della Vita.

Attendiamo ora che faccia buio, così il nostro Bagliore ci nasconderà al meglio.”

Mastro Fornari, in questo universo valgono sempre certi principii, certe leggi che Scandurra mi ha illustrato sin dall'inizio del lavoro interno? Insomma, quel poco che ho imparato potrà essermi utile, sufficiente per non essere di intoppo? Devo sapere qualcosa?”.

Fornari si sistemò i capelli – teoricamente, visto il cespuglio arruffato che si ritrovava.

Discettare di materie oscure e perché no? È una buona disciplina... noi viviamo in uno spazio che per contenere il tutto, è uno spazio tenue. È una tenuità dove col pensiero non ce la facciamo ad intenderci, non c'è distanza non c'è tempo, non c'è centro, non c'è periferia. È tutto un compenetrarsi di ciò che si muove in questo spazio dove appaiono le forme, tante forme, sempre diverse: non solo pietre piante animali esseri, ma pure aurore meriggi tramonti e stelle e galassie. Tutto ciò che è forma diventa condensazione di questa unica energia cosmica, il lumen, che genera vibrando variamente, che tutto condensa e tutto attenua e grazie al lumen noi vibriamo e quindi percepiamo. Cosa siamo noi in questo mondo? Siamo tutti galleggianti vaganti, in questa tenuità dello spazio che non ha un centro-origine, non ha estremi: pullula, ed è in moto, ma non in un moto direzionale, con distanza tempo velocità. Invece chi usa il pensiero stabilisce confini, misure, confronti, dominii. È il pensiero che crea un centro, l'ego, che non ha umiltà non ha amore, né innocenza, ma è violenza per emergere, per accentrare e quindi prendere, dando origine a sforzi a conflitti senza fine. E l'io si associa poi al pensiero che lo crea e lo sostiene e lo collega alle sensazioni al solo scopo di procurarsi piacere, quel piacere che copra e ci illuda l'inquietitudine del domani. Catturare piacere perché si è soli, perché c'è il pungolo del sentirsi disperatamente soli, del sentirsi d'essere un vuoto, senza appoggi. Buttarsi, identificarsi, fuggire da questo vuoto che ci fa terrore, per ricevere ricompense. Ci si sbatacchia in ricerca del più.”

Ascoltavo raccolto, ammaliato dalla sua stringente chiarezza.

Qui ci muoviamo cauti e sciolti, coi piedi saldi sul terreno mentre tutto il resto è immerso nel cielo: e cielo è mistero. E chiederci: cosa siamo, perché siamo qui come uomini? È ben chiaro che le superfici sono fatte di particelle come l'aria avvolgente, campi di energie vibranti che sono non separati ma in relazione totale, fusi fra loro. Tutto ciò che è, che appare ai sensi, immagini e sogni e concetti formulati dai pensieri, dinamismi corporali o sottili, tutto è di natura energetica. Noi viviamo immersi in un mondo che facciamo coi pensieri. Dunque noi siamo creature operanti nel mondo che è energia, mondo denso e sottile. Così infatti ci comportiamo: sempre avidi per prendere possedere oltre il necessario, febbrili per l'insicurezza del domani. Le cellule per vivere respirano cioè bruciano e quindi devono essere avide di cibo per non soccombere, ma non assumono nulla di più del proprio fabbisogno, hanno un contegno. Gli uomini che pensano, quelli dell'ombra, non hanno contegno, prendono più di quanto gli necessita, perché il pensiero è vorace e mai sazio. Vegetali animali seguono leggi che regolano e le loro forme e le loro funzioni. Abitano nell'ordine di natura. La forma umana è l'unica, l'unico ricettacolo di un uovo-anima che non è inerente alla natura: è il lumen che genera e sostiene tutto ciò che è natura; e dentro e fuori questo nostro corpo c'è l'uovo-anima che ci può liberare da ogni funzione materiale e mentale, farci ricettacolo pieno del mistero, di cui l'intelligenza e la volontà e l'amore e l'innocenza la bontà sono le manifestazioni.
In questa tenuità che è assenza di io, che è tutta energia cosmica del sacrale, energia che si muove in un pullulio, energia che non ha vibrazioni in onde di varia frequenza, che ha un potenziale illimitato, è in questa tenuità, che è la nostra essenza, è qui che in noi si raccolgono pure tutte le energie corporali psicologiche, che invece vibrano con tantissime frequenze e nelle cellule e nella mente. Tutte queste varie forme di energie corporali, brame e passioni, tormenti e paure, incertezze ed illusioni, è qui in questa tenuità che queste energie non più sperperate in vane attività logoranti, è qui in questa tenuità che insieme si raccolgono tutte per darci un reale senso di pienezza, di consapevolezza, di attenzione, di vera intelligenza esplosiva, con intuizioni ed azioni istantanee precise, sane. È qui, in questa tenuità, che noi veramente si consiste, uomo che è umanità: c'è pace gioia amore. Gli uomini dell'ombra hanno rinunciato all'uovo-anima, perciò sono spenti e perseguono l'oscurità universale. Gli uomini dell'ombra mettono al centro della vita il pensiero che tutto divide e spacca e limita. Inventano macchine senza anima, non come le nostre. Inventano le macchine del caos fatte di pensiero fluttuante. Il pensiero è acqua stagnante, luce riflessa. L'uovo-anima è fiume e bagliore.”

Un forte colpo alla porta della bottega, mi fece trasalire.