Chi legge "esamini tutto, ma ritenga solo ciò che è giusto".

La mente non è un vessillo da riempire, ma un fuoco da accendere.

lunedì 30 agosto 2010

Louis Pauwels e Jacques Bergier IL MATTINO DEI MAGHI (alcune pagine)




Louis Pauwels e Jacques Bergier
IL MATTINO
DEI MAGHI

Un'opera che getta un ponte fra il fantastico e il reale, tra la magia, la mistica e lo spirito moderno. Introduzione al realismo fantastico

Prefazione di Sergio Solmi
Traduzione di Pietro Lazzaro
Arnoldo Mondatori Editore
© 1960 Librairie Gallimard
© 1963 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano
Titolo dell'opera originale
Le matin des magiciens
I edizione Edizioni di lusso luglio 1963
4 edizioni Oscar Libreria
I edizione Oscar Mondatori
I edizione Oscar Arcana febbraio 1984
II ristampa Oscar Arcana febbraio 1988

« Questo libro..., dovuto alla penna agilissima di un ex occultista ed ex surrealista come Louis Pauwels, con la collaborazione di quel singolare scienziato e mitografo della scienza che è Jacques Bergier, non costituisce, come riconoscono gli stessi autori all'inizio, né un romanzo, né una narrazione fantascientifica, né un documento di fatti bizzarri, né la divulgazione d'un insegnamento ermetico:, pur presentandoci un po' tutte queste cose insieme. È anche una specie di rapsodia della nuova speranza, della grande avventura che gli sterminati orizzonti inaugurati dalle ultime scoperte scientifiche offrono all'umanità, speranza che si riannoda a sua volta ai sogni e alle leggende che attraverso i secoli sono stati alimentati da magia e occultismo, sono stati appannaggio di misteriose sette iniziatiche ». Così Sergio Solmi nella prefazione al Mattino dei maghi, un libro che, aggiunge, ci offre « attraverso un'esposizione lucida, varia e appassionata, il materiale più affascinante che possano tenere per noi in serbo questi anni di ardua e preoccupante trasformazione tecnica e sociale ».

Indice
5                 Prefazione
19                Introduzione
Parte prima
IL FUTURO ANTERIORE
41      I        Omaggio al lettore che non ha tempo. Un caso di dimissioni nel 1875. Gli uccelli di malaugurio. Come il secolo XIX chiudeva le porte. La fine della scienza e il rifiuto del fantastico. Le disperazioni di Poincaré. Noi siamo i nostri nonni. Giovinezza! Giovinezza!
49     II      Il diletto borghese. Un dramma dell'intelligenza o la tempesta dell'irrealismo. L'apertura su una realtà diversa. Di là dalla logica e dalle filosofie letterarie. La nozione di eterno presente. Scienza senza coscienza: e coscienza senza scienza? La speranza.
57    III      Riflessioni affrettate sui ritardi della sociologia. Un dialogo di sordi. I planetari e i provinciali. Un cavaliere ritorna fra noi. Un po' di lirismo.
La cospirazione in piena luce
65      I       La generazione degli "operai della Terra". Siete un moderno attardato o un contemporaneo del futuro? Un manifesto sui muri di Parigi nel 1622. Il linguaggio esoterico è il linguaggio tecnico. Una nuova nozione di società segreta. Un nuovo aspetto dello "spirito religioso".
76     II      I profeti dell'Apocalisse. Un Comitato della Disperazione. La mitragliatrice di Luigi XVI la Scienza non è una Vacca Sacra. Il signor Despotopoulos vuole occultare il progresso. La leggenda dei Nove Ignoti.
84    III      Ancora una parola sul realismo fantastico. Vi sono state delle tecniche. Vi è stata la necessità del segreto e vi si ritorna. Noi viaggiamo nel tempo. Noi vogliamo vedere nella sua continuità l'oceano dello spirito. Nuove riflessioni sull'ingegnere e sul mago. Il passato, l'avvenire. Il presente in ritardo nei due sensi. L'oro dei libri antichi. Uno sguardo nuovo sul mondo antico.
104    IV      Il Sapere e il Potere si nascondono. Una visione della guerra rivoluzionaria. La tecnica risuscita le gilde. Il ritorno al tempo degli Adepti. Un romanziere aveva visto giusto: esistono "Centrali di Energia". Dalla monarchia alla criptocrazia. La società segreta, futura forma di governo. L'intelligenza stessa è una società segreta. Si bussa alla porta. L'alchimia come esempio.
119      I      Un alchimista al caffè Procope, nel 1953. Conversazione a proposito di Gurdjiev. Un uomo che pretende di sapere che la pietra filosofale è una realtà. Bergier mi trascina a tutta velocità in una singolare scorciatoia. Ciò che vedo mi libera dallo stupido disprezzo del progresso. Le nostre riserve sull'alchimia: né rivelazione né un andare a tastoni. Breve meditazione sulla spirale e la speranza.
126     II     Centomila libri che nessuno consulta. Si chiede una spedizione scientifica nel paese dell'alchimia. Gli inventori. Il delirio causato dal mercurio. Un linguaggio cifrato. Vi fu un'altra civiltà atomica? Le pile del museo di Baghdad. Newton e i grandi iniziati. Helvétius e Spinoza davanti all'oro filosofale. Alchimia e fisica moderna. Una bomba all'idrogeno su un fornello da cucina. Materializzare, umanizzare, spiritualizzare.
137    III    Dove si vede un piccolo ebreo preferire il miele allo zucchero. Dove un alchimista che potrebbe essere il misterioso Fulcanelli parla del pericolo atomico nel 1937, descrive la pila atomica e ricorda civiltà scomparse. Dove Bergier apre una cassaforte con la fiamma ossidrica e porta una bottiglia di uranio sotto il braccio. Dove un anonimo maggiore americano cerca in Fulcanelli definitivamente scomparso. Dove Oppenheimer canta in duetto con un saggio cinese di mille anni fa.
147    IV      L'alchimista moderno e lo spirito di ricerca. Descrizione di ciò che fa un alchimista nel suo laboratorio. La ripetizione indefinita dell'esperienza. Che cosa attende? La preparazione delle tenebre. Il gas elettronico. L'acqua dissolvente. La pietra filosofale è energia in sospensione? La trasmutazione dell'alchimista stesso. Al di là comincia la vera metafisica.
159     V       C'è tempo per tutto. E c'è anche un tempo per cui i tempi si congiungono.
Le civiltà scomparse
165      I      Dove gli autori fanno il ritratto dello stravagante e meraviglioso signor Fort. L'incendio del sanatorio delle coincidenze esagerate. Il signor Fort in preda alla conoscenza universale. Quarantamila annotazioni sulle tempeste di pervinche, le piogge di rane e i temporali di sangue. Il libro dei Dannati. Un certo professor Kreyssler Elogio e illustrazione dell'intermediarismo. L'eremita del Bronx o il Rabelais cosmico. Dove gli autori visitano la cattedrale Sant'Altrove. Buon appetito, signor Fort.
184    II      Un'ipotesi per il rogo. Dove il clergyman e il biologo sono dei comici. Si cerca un Copernico dell'antropologia. Molti spazi bianchi su tutte le carte. Il dottor Fortune non è curioso. Il mistero del platino fuso. Corde che sono libri. L'albero e il telefono. Un relativismo culturale. E ora, un bel raccontino!
193    II      "I nove miliardi di nomi di Dio" di Arthur C. Clarke.
200     IV        Dove gli autori, che non sono né troppo creduli, né troppo increduli, si interrogano sulla Grande Piramide. E se ci fossero altre tecniche? L'esempio hitleriano. L'impero di al Mansur. Molte fini del mondo. La strana isola di Pasqua. La leggenda dell'Uomo Bianco. Le civiltà dell'America. Il mistero maya. Dal "ponte di luce" alla strana pianura di Nazca Dove gli autori non sono che poveri scalpellini.
210     V       Memoria più vecchia di noi... Dove gli autori trovano uccelli di metallo. Storia di una curiosissima carta del mondo. Bombardamenti atomici e vascelli interplanetari nei "testi sacri". Un'altra idea sulle macchine. Il culto del "cargo". Una diversa visione dell'esoterisino. La sagra dell'intelligenza. Ancora un racconto, se lo gradite.
223    VI     "Un cantico per san Leibowitz" di Walter M. Miller.
Parte seconda
ALCUNI ANNI NELL'ALTROVE ASSOLUTO
253      I     Tutte le palline nello stesso sacco. Le disperazioni dello storico. Due collezionisti di insolito. In fondo al lago del Diavolo. Un antifascismo che fa vento. Bergier ed io di fronte all'immensità dello strano. Anche Troia era una leggenda. La storia in ritardo. Dal visibile banale all'invisibile fantastico. Apologo dello scarabeo d'oro. Si può sentire la risacca del futuro. Non ci sono che le fredde meccaniche.
268    II     Sulla "Tribune des Nations" vengono rifiutati il Diavolo e la follia. C'è tuttavia una lotta degli dei. I tedeschi e l'Atlantide. Un socialismo magico. Una religione e un ordine segreti. Una spedizione in regioni nascoste. La prima guida sarà un poeta,
272    III    Dove si tratterà di P.-J. Toulet, scrittore minore. Ma si tratta di Arthur Machen. Un grande genio ignorato. Un Robinson Crusoé dell'anima Storia degli angeli di Mons. Vita, avventure e disgrazie di Machen. Come abbiamo scoperto una società segreta inglese. Un premio Nobel mascherato di nero. La Golden Dawn, le sue filiazioni, i suoi membri, i suoi capi. Perché citeremo un testo di Machen. I casi fortuiti fanno dello zelo.
281     IV     Il testo di Arthur Machen. I veri peccatori, come i veri santi, sono asceti. Il vero Male, come il vero Bene, non ha niente a che vedere col mondo comune. Il peccato è prendere il cielo d'assalto. Il vero Male diventa sempre più raro. Il materialismo, nemico del Bene e più ancora del Male. Tuttavia oggi c'è qualche cosa. Se realmente vi interessa...
288    V       La Terra vuota, il mondo di ghiaccio, l'uomo nuovo. Noi siamo nemici dello spirito. Contro la natura e contro Dio. La società del Vril. La razza che ci soppianterà. Haushoffer e il Vril. L'idea di mutazione dell'uomo. Il Superiore Sconosciuto. Mathers, capo della Golden Dawn incontra i Grandi Terribili. Hitler dice di averli visti anche lui. Allucinazione o presenza reale? La porta aperta su altro. Una profezia di René Guénon. Il primo nemico dei nazisti: Steiner.
297   VI      Un ultimatum agli scienziati. Il profeta Horbiger, Copernico del XX secolo. La teoria del mondo di ghiaccio. Storia del sistema solare. La fine del Mondo. La Terra e le sue quattro lune. Apparizione dei giganti. Le lune, i giganti e gli uomini. La civiltà dell'Atlantide. Le cinque città di trecentomila anni fa. Da Tiahuanaco alle mummie tibetane. La seconda Atlantide. Il Diluvio. Degenerazione e cristianesimo. Ci avviciniamo ad un'altra epoca. La legge del ghiaccio e del fuoco.
321   VII     Horbiger ha ancora un milione di discepoli. L'attesa del messia. Hitler e l'esoterismo in politica. La scienza nordica e il pensiero magico. Una civiltà interamente diversa dal la nostra. Gurdjiev, Horbiger, Hitler e l'uomo responsabile del cosmo. Il ciclo del fuoco. Hitler parla. Il fondo dell'antisemitismo nazista. Marziani a Norimberga. L'anti-patto. L'estate del missile. Stalingrado o la caduta dei maghi. La preghiera sull'Elbruz. Il piccolo uomo vincitore del superuomo. È il piccolo uomo che apre le porte del cielo. Il crepuscolo degli Dei. L'inondazione della metropolitana di Berlino e il mito del Diluvio. Morte grottesca dei profeti. Coro di Shelley.
341    VIII  La Terra è vuota. Noi viviamo all'interno di essa. Il Sole e la luna sono al centro della terra. Il radar al servizio dei maghi. Una religione nata in America. Il suo profeta tedesco era aviatore. L'anti-Einstein. Un lavoro da pazzo. La Terra vuota, i satelliti artificiali e gli allergici alla nozione di infinito. Un arbitraggio di Hitler. Di là dalla coerenza.
350      IX   Acqua al nostro orribile mulino. Il giornale dei Biondi. Il sacerdote Lenz. Una circolare della Gestapo. L'ultima preghiera di Dietrich Eckardt. La leggenda di Thule Un vivaio di medium. Haushoffer il mago. I silenzi di Hess la svastica e i misteri della casa Ipatiev. I sette che volevano cambiare la vita. Una colonia tibetana. Gli stermini e il rituale. Fa più buio di quanto pensiate.
363      X     Himmler e il problema alla rovescia. La svolta del 1934. L'ordine Nero al potere. I monaci guerrieri "testa di morto". L'iniziazione nei Burg. L'ultima preghiera di Sievers. Gli strani studi dell'Ahnenerbe. Il gran sacerdote Friedrich Hielscher. Una nota dimenticata di Jünger. Il senso di una guerra e di una vittoria.
Parte terza
L'UOMO, QUESTO INFINITO
381    I        Una nuova intuizione
Il Fantastico nel fuoco e nel sangue. Le barriere dell'incredulità. Il primo missile. Borghesi e operai della Terra. I fatti falsi e la finzione veritiera. I mondi abitati. I visitatori venuti da altrove. Le grandi comunicazioni. I miti moderni. Realismo fantastico in psicologia. Per una esplorazione del fantastico interiore. Esposizione del metodo. Un'altra concezione della libertà.
396   II      Il fantastico interiore
Alcuni pionieri: Balzac, Hugo, Flammarion. Jules Romains e il più vasto problema. La fine del positivismo. Che cos'è la parapsicologia? Fatti straordinari ed esperienze certe. L'esempio del Titanic. Veggenza. Precognizione e sogno. Parapsicologia e psicanalisi. Il nostro studio esclude il ricorso all'occultismo e alle false scienze. Alla ricerca delle macchine delle profondità.
412    III    Verso la rivoluzione psicologica
Il "secondo soffio" dello spirito. Si cerca un Einstein della psicologia. L'idea religiosa rinasce. La nostra società agonizza. Jaurès e l'albero ronzante di mosche. Il poco che Vediamo dipende dal poco che siamo.
418    IV      Una riscoperta dello spirito magico
L'occhio verde del Vaticano. L'altra intelligenza. L'officina del Bosco Addormentato. Storia della "relavote". La natura fa forse un doppio gioco. La manovella della supermacchina Nuove cattedrali, nuovo argot. L'ultima porta. L'esistenza come strumento. Qualcosa di nuovo e di razionale sui simboli. Tutto non è in tutto.
438   V       La nozione di stato di risveglio
Alla maniera dei teologi, degli scienziati, dei maghi e dei bambini. Saluto ad uno specialista del bastone fra le ruote. Il conflitto spiritualismo-materialismo, o una storia di allergia. La leggenda del tè. E se si trattasse di una facoltà naturale? Il pensiero come avvio e come sorvolo. Un'aggiunta ai diritti dell'uomo. Fantasticherie sull'uomo risvegliato. Noi altri, onesti barbari.
450   VI      Tre storie che servano da illustrazione
Storia di un grande matematico allo stato selvaggio. Storia del più straordinario dei chiaroveggenti. Storia di uno scienziato di domani che viveva nel 1750.
459   VII    Paradossi e ipotesi sull'uomo sveglio
Perché le nostre tre storie hanno deluso alcuni lettori. Non sappiamo nulla di serio sulla levitazione, sull'immortalità, ecc. Tuttavia l'uomo ha il dono dell'ubiquità, vede a distanza, ecc. Che cosa chiamate macchina? Come forse nacque il primo uomo sveglio. Sogno favoloso ma ragionevole sulle civiltà scomparse. Apologo della pantera. La scrittura di Dio.
465   VIII  Alcuni documenti sullo stato di risveglio
Un'antologia da fare. Le teorie di Gurdjiev. La mia appartenenza alla scuola del risveglio. Un racconto di Raymond Abellio. Un ammirevole scritto di Gustav Meyrinck, genio misconosciuto.
481    IX     Il punto di là dall'infinito
Dal surrealismo al realismo fantastico. Il Punto Supremo. Diffidate delle Immagini. La follia di Georg Cantor. Lo yogin e il matematico. Un'aspirazione fondamentale dell'uomo. Un estratto da una geniale novella di Jorge luis Borges.
492   X       Fantasticheria sui mutanti
Il bambino astronomo. Un accesso di febbre dell'intelligenza. Teoria delle mutazioni. Il mito dei Grandi Superiori. I Mutanti fra di noi. Dall'Horla a Leonhard Euler. Una società invisibile di Mutanti? Nascita dell'essere collettivo. L'amore vivente.

Prefazione
Di recente un filosofo francese, il compianto Merleau-Poray; denunciando a sua volta la "crisi della ragione" cui sembrano concludere le sconvolgenti scoperte di Einstein e di altri scienziati della nostra epoca in campo fisico-matematico, auspicò la rinascita di un senso filosofico che arrivi a giustificare "l'espressione scientifica" del cosmo, nuovamente collocandola nel suo proprio ordine, al posto suo proprio nell'interezza di un "mondo umano". Per il vecchio positivismo, verso la fine del secolo scorso il culto della filosofia veniva ad identificarsi con quello della scienza: alla prima sarebbe spettata, infatti, la riassunzione dei dati delle scienze particolari, presentandosi così come il coronamento del sapere scientifico, la coordinazione di un universo fatto di razionali certezze. Era, come si sa, una costruzione fallace, che la filosofia da una da una parte, la stessa metodologia interna delle varie scienze dall’altra, attraverso una rapida critica, distrussero alle fondamenta, oscurando il fiducioso ottimismo che, con essa, apriva il nuovo secolo. Come dice ancora Merleau-Ponty, riassumendo un tema che percorre le punte avanzate del pensiero attuale, "l'ateismo moderno non pretende più, come quello del 1900, di spiegare il mondo «senza Dio»: pretende che il mondo sia inesplicabile, e il razionalismo del 1900 non è, ai suoi occhi, che una teologia secolarizzata”.
Dal che lo scrittore deduce che, con la così acuta coscienza di una contingenza radicale del mondo, affermata oggi non solo dalle dottrine laiche, ma anche da una certa teologia, la nostra situazione filosofica si troverebbe all'estremo opposto del grande razionalismo post-cartesiano. Si deve, da una simile constatazione, dedurre una auto-limitazione, una carenza dello spirito filosofico attuale? Parrebbe indubitabile, dal momento che lo stesso orgoglioso senso di possesso delle filosofie immanentistiche, dall'idealismo al marxismo, che hanno successivamente dominato nel nostro sècolo, di fronte a questa nuova presa di coscienza, acuita dal senso di precarietà sopraggiunto col clima della grande crisi storica perdurante, s'è andato attenuando fino a presentarsi, più che come una positiva consistenza, come un imperativo morale, una scelta volontaristica, conforme al vecchio detto di Alain: "Etre ou ne pas être, soi et toutes choses, il faut choisir". Nel loro bisogno di aderenza e di rigore, le filosofie cronologicamente successive hanno ulteriormente rétréci il campo speculativo, fino a tagliar fuori le grandi questioni tradizionali per offrirci pure ombre fenomenologiche delle realtà laboriosamente reperite nella struttura della coscienza, o addirittura, per altra via, fino ad additarci, attraverso un'analisi logica del linguaggio, la ultima superstite certezza della tautologia.
A questa nuova autocritica della ragione, a questa sopraggiunta depressione non solo metafisica, ma filosofica, che cosa corrisponde, nel campo della scienza, dopo le recenti scoperte della fisica e della chimica, che sembrano sfidare così spesso l'intendimento comune? Sotto "l'aggressione selvaggiamente speculativa" d'uno Einstein, sotto l’analisi sperimentale degli altri grandi scienziati moderni, il mondo della fisica classica, su cui poggiava, magari inconsapevolmente - e tanto più solidamente quanto più inconsapevolmente -, la visione tradizionale dell'universo, è andato in pezzi, come nel "coro degli spiriti" dell'episodio faustiano:
Ahi! Ahi! Con violento
Braccio tu l'hai sovverso
Il bel mondo: ei si squarcia, ei si dissolve...
Un semidio l'ha in polve -
Che tanto un uomo non potea - converso.
E noi la brulla
Ruina sua giù per le morte strade
Travolgiamo del Nulla;
Noi lamentiam lo spento
Fulgor di sua beltade.[1]
Ma su questa rovina, che riconduce l'universo sotto il segno del caso inesplicabile, la validità delle leggi naturali e della stessa logica a una pura scala umana, l'uomo infine solo con sé medesimo in un universo dissolto in energie inafferrabili in sé, dato che la stessa osservazione le altera, riprendono forza, come nelle età remote, la fantasia mitica, la leggenda, la fiaba, la superstizione; riprende anche forza una paradossale speranza. Dalle fenditure aperte nel vecchio maestoso edificio della fisica classica, la bellezza del mondo, balenante in miraggi inediti, attraverso apparenze sempre sfuggenti, si riaffaccia più fascinosa che mai.
Questo libro avvincente e inaccettabile, ispirato ed abborracciato, convinto e contraddittorio, dovuto alla penna agilissima di un ex-occultista ed ex-surrealista come Louis Pauwels con la collaborazione di quel singolare scienziato e mitografo della scienza che è Jacques Bergier, non costituisce, come riconoscono gli stessi autori all'inizio, né un romanzo, né una narrazione fantascientifica, né un documentario di fatti bizzarri, né la divulgazione di un insegnamento ermetico: pur presentandoci un po' di tutte queste cose assieme. È anche una specie di rapsodia della nuova speranza, della grande avventura che gli sterminati orizzonti inaugurati dalle ultime scoperte scientifiche offrono all’umanità, speranza che si riannoda a sua volta ai sogni e alle leggende che attraverso i secoli sono stati alimentati da magia ed occultismo, sono stati appannaggio di misteriose sette iniziatiche. Inestricabilmente oscillante fra il dato scientifico, la leggenda e il canard (tutti peraltro rivelatori del grande anelito umano alla sovrapotenza), diviso fra una sorta di misticismo "reazionario" alla Guénon e alla Gurdjiev (non per nulla Pauwels fu per qualche anno discepolo di questo curioso "mago" - così come altri intellettuali, da René Daumal a Katherine Mansfield -, lasciandoci un libro assai interessante su tale sua esperienza), e un acceso progressismo scientista (per l’aspetto scientifico è sensibile la collaborazione di Bergier, cui si deve, con altre scoperte, l'impiego dell'acqua pesante per la tecnica dei reattori), mentre è difficile ricavare da questo libro un coerente costrutto, esso ci offre in compenso, attraverso una esposizione lucida, varia e appassionata, il materiale più affascinante che possano tenere per noi in serbo questi anni di ardua e preoccupante trasformazione tecnica e sociale.
Il mattino dei maghi... il titolo già contiene l'accostamento tentatore, sebbene in definitiva fallace, tra antica magia e scienza moderna. Certo, un tale accostamento è il primo a presentarsi alla mente di fronte a un pensiero scientifico che, mentre da una parte si sottrae a fornirci una coerente figura dell'universo, o quanto meno una riduzione simbolica di esso accessibile alla ragione, fuorché forse in espressioni matematiche intraducibili in immagini mentali corrispondenti, pago di offrirci in cambio alcuni prestigiosi paradossi, dall'altra vede i suoi supposti confinanti con l'assurdo miracolosamente verificati dall'esperienza, e, perfezionando le sue tecniche, appare spingersi sulla strada di una potenza virtualmente infinita. Effettivamente, a un primo aspetto, simili operazioni tengono alcunché del magico, delle atmosfere di timoroso mistero e di sacrilega infrazione che lontane leggende ci hanno trasmesso circa le pratiche degli alchimisti, o la setta dei Rosa-Croce o la Società dei Nove Sconosciuti. Ma gli stessi autori, che coltivano per lunghe pagine quell'accostamento, e così spesso sembrano lasciarsi prendere al gioco, non possono non riconoscere la fondamentale differenza: la nuova "cospirazione" non è più un fatto di società occulte, essa avviene "in pieno giorno", destituita dell'aura sacrale, dei segreti iniziatici, dei riti propiziatori che avvolgevano di solennità e di mistero l'opera di quegli antichi sapienti e sperimentatori, conformemente a un'idea della scienza naturale che era in pari tempo elaborazione mitica di proiezioni psichiche inconsce, così come hanno di recente messo in luce psicologi come lo Jung. Gli insegnamenti della scienza moderna vengono oggi impartiti dalle cattedre universitarie, i testi "sacri" della fisica atomica e della nuova biologia sono a disposizione di chiunque in librerie e biblioteche. Invano gli autori tentano, a momenti, di far stingere qualcosa di quell'antico mistero sui procedimenti moderni: non è chi non veda le ragioni modestamente pratiche, di carattere militare o industriale, che possono oggigiorno - e deprecabilmente - imporre qua e là il segreto su ricerche e ritrovati.
Non solo: ma la scienza moderna, intenta alle pure ipotesi e risultanze dell'osservazione e dell'esperimento, appare sulla via di obliterare fin l'ultima traccia di quel "mito della materia" che accendeva in forme mistico-simboliche la ricerca degli alchimisti, e la cui struttura, per quanto desacralizzata, dominava ancora il materialismo ottocentesco. Senza dubbio, la lista degli anticipatori e scopritori che non ebbero immediato domani, compilata dai due autori, è estremamente suggestiva. Cosi pure non c'è da dubitare sull'autenticità dei testi qui raccolti con tanto encomiabile scrupolo. Tutto sta naturalmente a vedere se i fatti riferiti nelle lunghe citazioni siano fatti reali o leggende... Alcuni sono certamente autentici, altri più o meno dubbi, altri infine evidenti elaborazioni fantastiche (e talora lo riconoscono gli stessi autori, che hanno sentito addirittura il bisogno di intercalare alla loro esposizione novelle di fantascienza, brani di romanzo ecc.).
La zona più caratteristica di una tale indagine sul "futuro anteriore" resta tuttavia quella amplissima fra fatto reale e leggenda, dove gli autori possono sbizzarrirsi, muovendo magari da una parcella di verità accertata, nel gioco delle supposizioni e ipotesi più ardite e mirabolanti. Ma è qui dove, con tutta probabilità, la resistenza del lettore - per quanto possa essere trascinato dalla piacevolezza di quel gioco - si farà più sentire. A parte, sia pure, la ipotetica esistenza, in un lontanissimo passato, di civiltà tecniche, o addirittura "atomiche", scomparse senza lasciar traccia o con tracce troppo equivoche, e altre supposizioni di pura fantascienza - come visite di extraterrestri, dischi volanti, universi paralleli ecc. -, divagazioni che investono tempi e spazi troppo remoti per non legittimarsi sul piano della fantasia, veniamo pure a un campo più ristretto. Che alchimisti veri e propri - non solitari esaltati o autentici scienziati che si compiacciano di un tale nome per capriccio letterario o per assicurare carte di nobiltà alla propria ricerca - continuino a vivere in mezzo a noi, magari travestiti, o magari ancora sopravvissuti grazie all'elixir di lunga vita - come qui, sia pur cautamente, si suggerisce per il misterioso pseudo-Fulcanelli, autore, verso il 1920, del Mystère des Cathédrales -, sarà un'ipotesi allettante, ma ben difficilmente ammissibile, così come l'esistenza di importanti scoperte in possesso di rari individui cui sarebbero pervenute attraverso discendenze iniziatiche, e tenute celate per non mettere nelle mani delle moltitudini pericolosi segreti di vita e di morte. Qui la supponibile resistenza sarà, evidentemente, dettata da quel sano pessimismo psicologico e sociale che ci rende scettici sulla conservabilità, a lungo andare, dei segreti. Cosi come della possibilità, ad esempio, che i membri della Rosa-Croce potessero riconoscersi fra loro quali "appartenenti a una collettività di esseri pervenuti ad uno stato superiore dell'umanità ordinaria", ove si rifletta a quanti equivoci, in ogni tempo, hanno complicato e complicano i rapporti scambievoli tra gli uomini, a quanto strettamente il falso somigli al vero, a come spesso la destrezza politica e l'abilità manovriera soverchino il vero valore, e il mistero sacrale - specie quando non assistito da pubbliche istituzioni - rasenti e magari favorisca la ciarlataneria. Ma faremmo torto agli autori se non riconoscessimo che quel gioco d'ipotesi - inerente al loro dichiarato programma di "realismo fantastico" - è compiuto dichiaratamente come tale, e che l'elemento "mistero" è atto ad accrescere la suggestione.
E, d'altra parte, i dati già acquisiti e accettati o accettabili, che, come si è detto, i due autori minuziosamente elencano, sono già di per sé abbastanza meravigliosi. Cosi come le scoperte degli alchimisti, tuttavia impari ai loro precorrimenti, curiosamente favoriti e in pari tempo ostacolati dal loro perseguimento attraverso l'elaborazione di vasti complessi mistico-mitici: che tuttavia permise loro di preparare i grandiosi sviluppi della chimica sintetica, e, insistendo nell'ideale costante di quell'ars aurifera che è stata per tanto tempo oggetto di scherno per il moderno positivismo scientifico, di intuire il principio della trasmutabilità degli elementi chimici. Con l'avvertenza, infine, che tra i nomi degli anticipatori già citati non è fatto, o quasi, quello di Leonardo, fra tutti probabilmente il maggiore (ma Pauwels sembra fare onorevole ammenda in un recente articolo sulla rivista Planète), le cui anticipazioni in ogni campo della scienza e della tecnica sono ormai da tempo oggetto di giusta meraviglia, e che, anche in questo uomo dell'età moderna, si attenne sempre alla "sperienza", né mai cercò di assumere arie di mago o stregone. Ma di Leonardo, più ancora dei numerosi progetti di fabbriche architettoniche, di macchine d'artiglieria e d'assedio, di scafandri, sottomarini e apparecchi per il volo umano, tengono dello stupefacente, come tutti sanno, le intuizioni scientifiche generali, come quando, in un celebre appunto, nel considerare la luna in cielo, lo si vede precorrere di un paio di secoli la legge di gravitazione universale: che, se egli non è ancora in grado di formularla, quasi appare toccarla con mano.
Abbiamo detto: un libro delizioso e contraddittorio. Esso deve molto della sua singolarità all'impasto eterogeneo, all'ambiguità costitutiva del pensiero dei suoi autori, diviso, come s'è accennato, senza una vera possibilità di sintesi, fra gusto romantico del mystery e ottimismo scientifico progressista, tra nostalgie occultiste ed ermetiche ed esaltazione della ricerca in piena luce; accogliente con eguale trasporto, sia pure sul piano della pura ipotesi, probabile e improbabile, verità e fiaba, fatto storico e leggenda, dimostrazione sperimentale e sogno ad occhi aperti; non solo, ma lo stesso riconosciuto errore, quando viene a far parte di un contesto favoloso e mitico e ad esprimere un'idea-forza. E la parte intitolata Qualche anno nell'altrove assoluto è probabilmente fra tutte la più rivelatrice e impressionante.
Già qualcosa avevamo appreso da Hermann Rauschning, l'autore del famoso libro Hitler mi ha detto, e da altri memorialisti del Terzo Reich: ma i nostri due autori, che hanno pazientemente raccolto dati e documenti che parrebbero assai attendibili (tra l'altro Jacques Bergier fu, in tempo di guerra, agente del controspionaggio alleato, prese parte al raid per la distruzione della base di razzi a Peenemünde e sopravvisse all'internamento a Mauthausen), gettano un sorprendente fascio di luce sugli aspetti scientifici, parascientifici e mitologici dell'ideologia nazista, la quale, com'è confusamente noto, alimentò anche una sorta di religione chiusa e sanguinaria, coltivata da misteriose sette di cui facevano parte Hitler e gli altri caporioni del movimento, con pratiche d'iniziazione, complicati rituali, e, particolarmente, nuove teorie geologiche, etnologiche ecc., sull'origine dell'universo e i destini dell'uomo. Tutti sappiamo che il nazional-socialismo utilizzò ciarpami di deteriore positivismo ottocentesco per imbastire le sue dottrine razziali, che ebbero così spaventose applicazioni sul piano pratico. Meno nota, anche perché meno direttamente legata al movimento politico, è la cosmologia di Hörbiger, questo curioso scienziato austriaco che conobbe i vertici della fama nella Germania di quegli anni, fu protetto dallo stesso Hitler che ne raccomandò e ne fece diffondere le dottrine, ed ha tuttora numerosi discepoli in ogni parte del mondo. Ad essa non si può negare una sorta di grandiosa e fumosa coerenza, dal momento che pretende di fornire una chiave atta a spiegare parecchi misteri - fra l'altro gli strani monumenti e ruderi di Tiahuanaco - che restano tuttora tali per gli altri etnologi e geologi. Ma, alla resa dei conti, la coerenza di quelle dottrine - teoria del ghiaccio eterno e del fuoco, lune via via captate dalla terra e destinate di volta in volta ad avvicinarsi nel corso dei millenni e ad infrangersi sulla superficie della medesima, e relativi cicli alternantisi di età di giganti ed età di pigmei, ecc. - è piuttosto quella delle strutturazioni mitico-favolose, le quali, proprio perché trovano una spiegazione a tutto, rivelano il loro scarso fondamento nell'osservazione e nel calcolo e il loro prevalente svilupparsi per suggestioni analogiche, dimostrandosi piuttosto oggetto di adesione fideistica. Le teorie di Hörbiger si ponevano in contrasto con la scienza "ufficiale", che Hitler fino a un certo grado perseguitò ("esiste una scienza nordica e nazional-socialista che si oppone alla scienza giudeo-liberale"). Ma non è detto che il torto debba sempre ed in ogni caso stare dalla parte della "scienza ufficiale" (o, mutatis mutandis, dell'arte, e della letteratura "ufficiali", e, com'è noto, esistono eresie buone ed eresie pessime). Ora, proprio in quegli anni, sotto la guida del "giudeo" Einstein, la scienza "liberale" giungeva ad attuare la scissione dell'atomo, mentre l'epico e il magico della nuova "scienza nordica" contribuivano potentemente, come questo libro dimostra, oltre che a innumerevoli disastri, alla finale distruzione dei loro stessi assertori. Ma, se le teorie di Hörbiger si limitano ad offrire ipotesi grandiosamente fantastiche in luogo di fatti accertati, l'altra teoria della "terra concava", secondo cui noi non vivremmo sulla superficie esterna dello sferoide terrestre, ma su quella "interna", con al centro un cosmo illusorio, presenta addirittura i caratteri della escogitazione delirante. Eppure, Hitler avrebbe inviato in un'isola del Baltico una, commissione di scienziati e di esperti del "radar" per verificarne il fondamento ai fini della condotta della guerra! E le altre rivelazioni sulle dottrine escatologiche del nazismo, con le loro radici nella leggenda di Tule e in quelle tibetane, e nell'altra dei Cavalieri del Graal, non sono meno stupefacenti.
Mi pare a questo punto che gli autori, concludendo su di una visione manicheistica della lotta fra l’ “Ordine nero" dei nazisti e una figura nuova di superiore civiltà, ancora ignota a sé medesima, ma già in atto nel mondo moderno, lotta conclusasi con la vittoria di quest'ultima, passino il segno con una suggestiva antitesi di tipo vittorughiano, ma in definitiva fallace. "Hitler poteva vincere...", si prospettano gli autori con un brivido, ricordando che gli studi per la scissione dell'atomo erano già assai avanzati in Germania, quando il crollo sopravvenne. E Hitler avrebbe vinto ove si fosse trovato di fronte soltanto il piccolo razionalismo ottocentesco, "l'eredità pura e semplice del XIX secolo materialista e scientista". Sul che pure ci sarebbe da discutere, dato che quel gran secolo, del quale siamo figli, non fu poi tanto "stupido" come riteneva Léon Daudet, e coltivò non soltanto il sogno degli appetiti materiali soddisfatti (sogno poi tutt'altro che mediocre, ove si pensi ai milioni di affamati che abitano tuttora la terra), ma anche tanti altri elevati e potenti ideali, di cui ancora viviamo. Inoltre, sappiamo bene che vitalità di un ordine non si dà senza un qualche principio positivo. In nessun caso Hitler avrebbe potuto vincere: avrebbe soltanto potuto ampliare indefinitamente la distruzione del mondo.
Perciò non abbiamo nulla da imparare dalle ideologie nazional-socialiste, e nemmeno la magia e il culto del superuomo a venire, verso cui gli autori, pur invertendo il segno nero in un segno branco, mostrano tanta inclinazione. Piuttosto si può dire che il mondo del nazismo, anche se i suoi contrassegni ci appaiono oggi così abnormi, folli, impartecipabili, non è, purtroppo per noi, l’ “Altrove assoluto", come hanno mostrato e tuttora mostrano tracce preoccupanti che giungono fino ad ora, in quegli stessi paesi che combatterono la Germania hitleriana, e soffocarono quel così vasto rigurgito di vecchia barbarie L' “Altrove assoluto", escluso solo provvisoriamente, è ancora qui, in mezzo a noi; come una paurosa possibilità attuale, solo che la vigilanza della ragione - né più né meno la comune ragione umana, arricchita dalle sue stratificazioni di dura e tenace esperienza, sempre più potenziata da un sempre più compiuto possesso delle sue forze, sempre più sospinta alla punta massima della coscienza di sé - venga ad oscurarsi ed a mancare un solo momento, e si sprigionino i mostri.
La rapsodia di Pauwels e Bergier conclude su di una visione grandiosa dei destini dell'uomo, in via di attingere ad una condizione superiore sia per effetto delle scoperte della nuova biologia e della nuova medicina, sia per gli imprevisti della ricognizione spaziale, sia, addirittura, per un'auspicata sperimentazione di tecniche parapsicologiche, in fase di tentativo presso certi laboratori. Cosi Pauwels, l'antico discepolo di Gurdjiev e di Guénon, rovescia il processo pessimistico e "reazionario" di quei maestri, i quali, ancorandosi all'antica saggezza orientale, al misticismo tibetano, non ravvisavano nel mondo moderno altro che germi di decadenza e corruzione e preannunci di morte; e, ricollegandosi magari all'evoluzionismo "organico" e spiritualistico del padre Teilhard de Chardin, intravede la via ad una progressiva trasformazione dell'universo, il quale, lasciatasi ormai addietro l'età dello sviluppo geologico, e successivamente biologico, attraverserebbe ora l'ultima fase evolutiva, quella mentale, rappresentata dalla coscienza umana e dai suoi prodotti. Occultismo e magia, da questo più elevato punto di vista, non sarebbero ormai più soltanto segreti perduti, ma i preannunci che le età remote mandano fino a noi delle palingenesi future.
"Leggere questo libro, è cavalcare una cometa..." ripetono nella, loro "notice" gli editori francesi. A un certo punto è davvero difficile per il lettore resistere ad abbai donarsi al sogno ad occhi aperti, che guidandoci a valicar i limiti della nostra breve esistenza temporale, ci apre l'incantato spazio dei fascinosi possibili. Il "realismo fantastico" inaugurato dai due autori, con la sua spregiudicata prospezione sistematica delle miriadi di ipotesi - salve diciamo noi, all'intelletto critico il successivo vaglio e scarto -, può in realtà dimostrarsi una ginnastica salutare per il pensiero, che, altrimenti, finirebbe con l'anchilosarsi ne le nicchie, comode ma soffocanti, delle nozioni acquisite Quel singolarissimo autore americano, Charles Hoy For, di cui ci si parla in questo libro, il quale collezionò per tutta la vita, a diecine e diecine di migliaia, notizie di cronaca su avvenimenti inverosimili, traendone alla fine la concezione di un'unità mistico-analogica dell'universo, ci h lasciato probabilmente un esempio e un insegnamento tu, t'altro che trascurabili. La fantasia ha sempre un duplice volto ed aspetto: può essere si un ozioso sostitutivo dell’azione rinunciata, ma può anche rivelarsi come prefigurazione della realtà ignota, scioglimento dell'enigma trascurato e sprone all'azione futura. Certamente, quando gli ai tori ci prospettano un così grandioso progresso evolutivo su scala di millenni a venire, siamo portati indirettamente a considerare nella realtà d'oggi i segni, pur modesti, del nuovo sviluppo evolutivo. Ci possiamo dire sulla via d'un indefinito incremento e progresso dell'intelligenza umana? Un fisiologo come il Bovet pretende invece di constatare pessimisticamente una diminuzione del quoziente medio d'intelligenza delle giovani generazioni, dovuta, a suo vedere, alle peggiorate condizioni alimentari cui ci costringe l'industria moderna. Dal canto nostro siamo meno pessimisti, anche perché pensiamo che l'intelligenza, e fino la genialità, non siano un puro fatto naturale e biologico, ma piuttosto la virtù d'una disposizione e d'un incontro di fattori vitali e d'esperienza, ossia un fatto di storia, vale dire di destino. Per questo continuiamo a mantenere un prudente riserva sulla efficienza delle tecniche parapsicologiche, e pensiamo piuttosto che è come uomini - e soltanto uomini, non superuomini né semidei, con tutto il fa tale peso di passioni e di errori che grava la nostra condizione - che dobbiamo affrontare, all'erta sul margine del futuro, i compiti cui ci invita la situazione incomparabile, insieme esaltante ed angosciosa, in cui il tempo via via ci pone. Per questo penso che il nuovo spirito filosofico di cui si diceva in principio, auspicato da Merleau-Ponty, dovrebbe farci più compiutamente consapevoli del nostro esistere nella nuova situazione, e dell'esigenza di mantenere costantemente il compasso della mente al massimo grado di apertura consentito fra la spregiudicata prospezione, fantastica e attiva, di tutte le più ardite ipotesi, e la più chiara coscienza critica, ricca dei sali salutari del dubbio e dell'ironia.
Sergio Solmi


Il mattino dei maghi
Alla grande anima,
al cuore ardente del mio vero padre,
Gustave Bouju, sarto.
In memoriam.
L. P.

Introduzione
Ho scarsissima abilità nei lavori manuali e me ne dispiace molto. Sarei migliore se le mie mani sapessero lavorare. Mani che fanno qualche cosa di utile, penetrano nel profondo dell'essere e vi schiudono una sorgente di bontà e di pace. Il mio patrigno (che chiamerò qui mio padre perché fu lui ad allevarmi) era un artigiano, un sarto. Era un'anima possente, realmente uno spirito-messaggero. Talvolta diceva sorridendo che il tradimento dei "chierici" era cominciato il giorno in cui uno di essi aveva rappresentato per la prima volta un angelo con le ali: al cielo si sale con le mani.
Nonostante la mia mancanza di abilità, ho tuttavia rilegato un libro. Avevo sedici anni. Ero allievo del corso complementare di Juvisy, nella periferia povera. Il sabato pomeriggio potevamo scegliere tra lavorare il legno o il ferro, il modellismo o la rilegatura. A quel tempo leggevo i poeti, e soprattutto Rimbaud. Tuttavia feci violenza a me stesso e non rilegai Une Saison en Enfer. Mio padre possedeva una trentina di libri, sistemati nello stretto armadio della sua bottega, con le bobine, le bacchette di gesso, le spolette e i modelli. Vi erano anche, in quell'armadio, migliaia di appunti presi con una scrittura diligente, su un angolo del tavolo, durante le innumerevoli notti di lavoro. Di quei libri avevo letto Il Mondo prima della Creazione dell'Uomo di Flammarion, e stavo scoprendo Dove va il Mondo? di Walter Rathenau. Fu proprio l'opera di Rathenau che mi misi a rilegare, non senza fatica. Rathenau era stato la prima vittima dei nazisti, ed eravamo nel 1936. Nel piccolo laboratorio del corso complementare, ogni sabato, facevo il mio lavoro manuale per amore di mio padre e del mondo operaio. Il primo maggio offrii, con un mazzetto di mughetti, il Rathenau rilegato in cartone.
In quel libro mio padre aveva sottolineato a matita rossa una frase che è rimasta sempre nella mia memoria: "Anche un'epoca di oppressione è degna di rispetto, perché essa è opera non degli uomini ma dell'umanità, dunque della natura creatrice, che può essere dura, ma non è mai assurda. Se l'epoca che noi viviamo è dura, abbiamo tanto più il dovere di amarla, di penetrarla con il nostro amore, fino a quando non avremo spostato le pesanti masse di materia che nascondono la luce che risplende dall'altra parte".
"Anche un'epoca di oppressione..." Mio padre mori nel 1948, senza aver mai smesso di credere nella natura creatrice, senza aver mai smesso di amare e penetrare col suo amore il mondo doloroso in cui viveva, senza aver mai cessato di sperare che avrebbe visto risplendere la luce dietro le pesanti masse di materia. Apparteneva alla generazione dei socialisti romantici che avevano i loro idoli in Victor Hugo, in Romain Rolland, in Jean Jaurés, portavano grandi cappelli, e conservavano un piccolo fiore blu nelle pieghe della bandiera rossa. Al confine tra la mistica pura e l'azione sociale, mio padre, attaccato più di quattordici ore al giorno al suo tavolo di lavoro - vivevamo sull'orlo della miseria - conciliava un ardente sindacalismo con la ricerca della liberazione interiore. Nei gesti rapidi e umili del suo mestiere, aveva introdotto un metodo di concentrazione e di purificazione spirituale su cui ha lasciato centinaia di pagine. Facendo occhielli, stirando stoffe, irradiava la sua personalità. Il giovedi e la domenica i miei compagni si riunivano intorno al suo tavolo, per ascoltarlo e per sentire la sua forte personalità, e la maggior parte di essi ne ebbero la vita cambiata.
Pieno di fiducia nel progresso e nella scienza, credeva nell'avvento del proletariato e si era costruito una potente filosofia. Aveva avuto una specie di illuminazione leggendo l'opera di Flammarion sulla preistoria. Poi, guidato dalla sua passione, aveva letto opere di paleontologia, di astronomia, di fisica. Senza preparazione, aveva tuttavia penetrato profondamente gli argomenti. Parlava pressappoco come Teilhard de Chardin, che allora noi ignoravamo: "Ciò che il nostro secolo sta per vivere è più considerevole dell'apparizione del buddismo! Ormai non si tratta più di attribuire facoltà umane a questa o a quella divinità. È la potenza religiosa della terra che subisce in noi una crisi definitiva: quella della propria scoperta. Noi cominciamo a comprendere, e per sempre, che la sola religione accettabile dall'uomo è quella che gli insegnerà prima di tutto a riconoscere, amare e servire con passione l'universo di cui egli è l'elemento più importante".[2] Egli pensava che l'evoluzione non si confonde col trasformismo, ma che essa è integrale e ascendente, che accresce la densità psichica del nostro pianeta e lo prepara a prendere contatto con le intelligenze degli altri mondi, ad avvicinarsi all'anima stessa del cosmo. Per lui la specie umana non aveva ancora raggiunto la sua compiutezza. Essa progrediva verso uno stato di supercoscienza, attraverso l'innalzarsi della vita collettiva e la lenta creazione di uno psichismo unanime. Diceva che l'uomo non è ancora compiuto e salvo, ma che le leggi di condensazione dell'energia creatrice ci permettono di alimentare, su scala cosmica, una formidabile speranza. E non perdeva di vista questa speranza. Da quel piano egli giudicava con serenità e dinamismo religioso le cose di questo mondo, andando a cercare molto lontano, molto in alto un ottimismo e un coraggio immediatamente e realmente utilizzabili. Nel 1948 la guerra era appena terminata, e già rinascevano minacce di battaglie, e questa volta atomiche. E tuttavia egli considerava le inquietudini e i dolori presenti come le negative di un'immagine magnifica. Vi era un filo che lo collegava al destino spirituale della Terra, ed egli proiettava, sull'epoca di oppressione in cui compiva la sua vita di lavoratore, nonostante immense pene intime, molta fiducia e molto amore.
Mori nelle mie braccia, la notte del 31 dicembre e, prima di chiudere gli occhi, mi disse: «Non bisogna contare troppo su Dio, ma forse Dio conta su di noi...».
Come ero io in quel momento? Avevo ventotto anni. Avevo avuto venti anni nel 1940, durante la disfatta. Appartenevo a una generazione-cerniera che aveva visto crollare un mondo, era staccata dal passato e dubitava dell'avvenire. Ero ben lontano dal credere che l'epoca di oppressione fosse degna di rispetto e che si dovesse penetrarla col nostro amore. Mi sembrava piuttosto che la lucidità portasse a rifiutare di partecipare a un gioco in cui tutti barano.
Durante la guerra mi ero rifugiato nell'induismo. Era stata la mia vita alla macchia. Vi vivevo nella resistenza assoluta. Non cerchiamo il punto di appoggio nella storia e fra gli uomini: esso vien meno continuamente. Cerchiamolo in noi stessi. Siamo di questo mondo come se non lo fossimo. Niente mi sembrava più bello dell'uccello tuffatore della Bhagavad Gita "che si tuffa e risale senza bagnarsi le penne". Facciamo in modo, dicevo a me stesso, che gli avvenimenti contro cui nulla possiamo nulla possano contro di noi. Ero completamente staccato dal suolo, immerso nell'oblio su una nuvola venuta dall'Oriente. La notte mio padre leggeva di nascosto i miei libri favoriti per cercare di capire la singolare malattia che mi allontanava tanto da lui.
Più tardi, immediatamente dopo la Liberazione, mi scelsi un maestro di vita e di pensiero. Divenni discepolo di Gurdjiev. Misi ogni impegno a separarmi dalle mie emozioni, dai sentimenti, dagli slanci, per trovare, al di là, qualche cosa di immobile e di stabile, una presenza muta, anonima, trascendente, che mi consolasse della mia scarsa consistenza reale e dell'assurdità del mondo. Giudicavo mio padre con commiserazione. Credevo di possedere i segreti per governare la vita spirituale e ogni conoscenza. In realtà non possedevo altro che l'illusione di possedere e un intenso disprezzo per coloro che non avevano come me quella illusione.
Ero il tormento di mio padre. E tormentavo me stesso. Mi inaridivo totalmente in una posizione di rifiuto. Leggevo René Guénon. Pensavo che noi avevamo la disgrazia di vivere in un mondo radicalmente pervertito e giustamente destinato all'apocalisse. Facevo mio il discorso di Cortés alla Camera dei Deputati di Madrid nel 1849: "La causa di tutti i vostri errori, Signori, è nel fatto che voi ignorate la direzione della civiltà e del mondo. Voi credete che la civiltà e il mondo progrediscano, essi sono in regresso!". Per me, l'epoca moderna era l'epoca nera. Mi dedicavo a enumerare i delitti dello spirito moderno contro lo spirito. Dal secolo XII l'Occidente, staccato dai Principi, correva verso la perdizione. Nutrire qualche speranza significava allearsi al male. Negai ogni fiducia considerandola una complicità. Non mi restava ardore che per il rifiuto, la rottura. In questo mondo già per tre quarti sommerso, in cui i preti, gli scienziati, i politici, i sociologi e gli organizzatori di ogni genere mi apparivano come coprofagi, soltanto gli studi tradizionali e un'incondizionata resistenza al secolo, erano degni di stima.
Consideravo perciò mio padre come un arretrato ingenuo. La sua capacità di adesione, di amore, di visione lontana, m'irritava come qualche cosa di ridicolo. Lo accusavo di essere rimasto fermo agli entusiasmi dell'Esposizione del 1900. La speranza che egli aveva in una collettivizzazione sempre crescente, e che poneva infinitamente più in alto del piano politico, suscitava il mio disprezzo. Io non giuravo che sulle antiche teocrazie.
Einstein fondava un comitato di disperazione degli scienziati dell'atomo, la minaccia di una guerra totale incombeva sull'umanità divisa in due blocchi. Mio padre moriva senza aver nulla perduto della sua fede nell'avvenire, e io non lo capivo più. Non ricorderò, in quest'opera, i problemi di classe. Non è questo il luogo. Ma so bene che questi problemi esistono; essi hanno messo in croce l'uomo che mi amava. Non ho conosciuto il mio vero padre. Egli apparteneva alla vecchia borghesia di Gand. Mia madre e il mio patrigno erano operai, figli di operai. I miei antenati fiamminghi, gaudenti, artisti, oziosi e orgogliosi mi hanno allontanato dal pensiero generoso, dinamico, mi hanno fatto ripiegare e misconoscere la virtù della partecipazione. Da tempo ormai, c'era una barriera tra mio padre e me. Egli, che non aveva voluto avere altri figli che questo di un altro sangue, per timore di farmi torto, si era sacrificato perché divenissi un intellettuale. Avendomi dato tutto, aveva sognato la mia anima simile alla sua. Ai suoi occhi, io dovevo divenire un faro, un uomo capace di illuminare gli altri uomini, di infondere loro coraggio e speranza, di mostrar loro, come egli diceva, la luce che brilla in noi. Ma io non vedevo alcuna luce, se non la luce nera, in me e nell'umanità. Non ero che un "chierico" simile a molti altri. Spingevo fino alle estreme conseguenze quel sentimento di esilio, quel bisogno di radicale rivolta che si esprimeva nelle riviste letterarie intorno al 1947 in termini "di inquietudine metafisica", e che fu la difficile eredità della mia generazione. In quelle condizioni, come essere un faro? Quell'idea, quella parola alla Hugo, mi facevano sorridere con cattiveria. Mio padre mi rimproverava di andarmi decomponendo, di essere passato, come diceva, dal lato dei privilegiati della cultura, dei mandarini, degli orgogliosi della loro impotenza.
La bomba atomica, mentre segnava per me l'inizio della fine dei tempi, era per lui il segno di un nuovo mattino. La materia stava per spiritualizzarsi, e l'uomo avrebbe scoperto intorno a sé e in se stesso una potenza fino allora insospettata. Lo spirito borghese, per cui la Terra è un luogo di piacevole soggiorno da cui bisogna ricavare il massimo, sarebbe stato spazzato via dallo spirito nuovo, lo spirito degli operai della Terra, per i quali il mondo è una macchina in cammino, un organismo in divenire, un'unità da fare, una Verità da far schiudere. L'umanità non era che all'inizio della sua evoluzione. Essa riceveva i primi orientamenti sulla missione che le era stata assegnata dalla Intelligenza dell'Universo. Cominciavamo, esattamente, a sapere che cosa è l'amore del mondo.
Per mio padre l'avventura umana aveva una direzione. Egli giudicava gli avvenimenti a seconda del loro collocarsi o meno in questa direzione. La storia aveva un senso: si svolgeva verso qualche forma di ultraumano, portava in sé la promessa di una supercoscienza. La sua filosofia cosmica non lo separava dal secolo. Per quanto riguardava l'immediato, le sue adesioni erano "progressiste". Lo me ne irritavo, senza vedere che nel suo progressismo egli metteva una spiritualità infinitamente superiore ai miei progressi nella spiritualità. Tuttavia, soffocavo nel mio pensiero senza sbocco. Davanti a quell'uomo mi sentivo a volte un piccolo intellettuale arido e freddoloso, e mi capitava di desiderare di pensare come lui, di avere il suo ampio respiro. Al suo tavolo, la sera, spingevo fino in fondo il contraddittorio, lo provocavo, desiderando segretamente di essere confuso e cambiato. Ma, a causa anche della stanchezza, egli si irritava contro di me, contro il destino che gli aveva dato un grande pensiero senza concedergli i mezzi di trasmetterlo a questo figlio dal sangue ribelle, e ci lasciavamo in collera e in pena. Io ritornavo alle mie meditazioni e ai miei libri disperati. Egli si ricurvava sulle sue stoffe e riprendeva l'ago, sotto la lampada troppo forte, che gli ingialliva i capelli. Dal mio letto di ferro lo sentivo a lungo sbuffare e brontolare. Poi, improvvisamente, si metteva a zufolare tra i denti, piano, le prime battute dell'Inno alla Gioia di Beethoven, per dirmi da lontano che l'amore ritrova sempre i suoi cari. Penso a lui quasi ogni sera, all'ora delle nostre antiche discussioni, Sento quello sbuffare, quel brontolare che finivano in canto, quel grande sublime vento svanito.
Dodici anni che è morto! E io sto per avere quarant'anni. Se lo avessi capito mentre era in vita, avrei dato una direzione più giusta alla mia intelligenza e al mio cuore. Non ho smesso di cercare. Ora, mi ricollego a lui, dopo molte ricerche, che mi inaridivano, e pericolosi vagabondaggi. Avrei potuto, molto prima, conciliare la tendenza alla vita interiore e l'amore del mondo in movimento. Avrei potuto prima, e forse più efficacemente, quando le mie forze erano intatte, gettare un ponte fra la mistica e lo spirito moderno. Avrei potuto sentirmi contemporaneamente religioso e solidale col grande slancio della storia. Avrei potuto avere prima la fede, la carità e la speranza. Questo libro riassume cinque anni di ricerche, in tutti i settori della conoscenza, ai confini della scienza e della tradizione. Mi sono messo in questa impresa nettamente superiore ai miei mezzi, perché non potevo più rifiutare questo mondo presente e avvenire che è tuttavia il mio. Ma ogni estremo è illuminante. Avrei potuto trovare più presto una via per comunicare con la mia epoca. Forse non ho perduto completamente il mio tempo andando fino in fondo al mio cammino. Agli uomini non accade ciò che meritano, ma ciò che è loro conforme. Ho cercato a lungo, come lo desiderava il Rimbaud della mia adolescenza, "la Verità in un'anima e in un corpo". Non ci sono arrivato. Nel perseguire quella Verità, ho perduto il contatto con piccole verità che avrebbero fatto di me non certo il superuomo che era nei miei voti, ma un uomo migliore e più unitario di quanto non sia. Tuttavia ho imparato, sul comportamento profondo dello spirito, sui diversi possibili stati della coscienza, sulla memoria e l'intuizione, cose preziose che non avrei imparato in altro modo e che dovevano permettermi, più tardi, di capire ciò che vi è di grandioso e di essenzialmente rivoluzionario al vertice dello spirito moderno: l'interrogativo sulla natura della conoscenza e il bisogno urgente di una specie di trasmutazione dell'intelligenza.
Quando uscii dalla mia nicchia di yogin per dare uno sguardo al mondo moderno che condannavo senza conoscere, vidi subito il meraviglioso. Il mio studio reazionario, spesso pieno di orgoglio e di odio, era stato utile in questo: mi aveva impedito di aderire a questo mondo dal lato negativo: il vecchio razionalismo del XIX secolo, il progressismo demagogico. Mi aveva anche impedito di accettare questo mondo come una cosa naturale e soltanto perché era il mio mondo, di accettarlo in uno stato di coscienza sonnolenta, come fa la maggior parte delle persone. Con l'occhio rinfrancato da quel lungo soggiorno fuori del mio tempo, vidi questo mondo ricco di fantastico reale quanto il mondo della tradizione era per me ricco di fantastico immaginario. Meglio ancora: ciò che imparavo del secolo, modificava, approfondendola, la mia conoscenza dello spirito antico. Vidi le cose antiche con occhi nuovi, e i miei occhi erano nuovi anche per vedere le cose nuove.
Incontrai Jacques Bergier (dirò subito come) quando finivo di scrivere la mia opera sulla famiglia spirituale formatasi intorno a Gurdjiev. Questo incontro, che non attribuisco al caso, fu determinante. Avevo dedicato due anni a descrivere una scuola esoterica e la mia personale vicenda. Ma un'altra vicenda cominciava in quel momento per me. Cosa che ho creduto utile dire congedandomi dai miei lettori. Mi si vorrà perdonare se cito me stesso, poiché non ho affatto il proposito di attirare l'attenzione sui miei scritti: altre cose mi stanno a cuore. Inventai la favola della scimmia e della calabaza.[3] Gli indigeni, per catturare viva la bestia, fissano ad una palma da cocco una calabaza contenente arachidi. La scimmia accorre, infila la mano, afferra le arachidi, serra il pugno. Allora non può più ritirare la mano. Ciò che ha afferrato la tiene prigioniera. Uscendo dalla scuola di Gurdjiev scrivevo: "Bisogna palpare, esaminare i frutti-trappola, poi ritirarsi con destrezza. Soddisfatta una certa curiosità, conviene riportare agilmente l'attenzione sul mondo in cui siamo, riconquistare la nostra libertà e la nostra lucidità, riprendere il nostro cammino sulla terra degli uomini alla quale apparteniamo. Ciò che importa è vedere in quale misura lo svolgimento essenziale del pensiero detto tradizionale s'incontra con il movimento del pensiero contemporaneo. La fisica, la biologia, le matematiche, nei loro punti estremi, confermano oggi certi dati dell'esoterismo, s'incontrano con certe visioni del cosmo, dei rapporti dell'energia e della materia, che sono visioni ancestrali. Le scienze di oggi, se ci accostiamo a esse senza conformismo scientifico, dialogano con gli antichi maghi, alchimisti, taumaturghi. Si sta svolgendo sotto i nostri occhi una rivoluzione, e si tratta di un nuovo insperato connubio della ragione, al vertice delle sue conquiste, con l'intuizione spirituale. Per gli osservatori veramente attenti, i problemi che si pongono all'intelligenza contemporanea non sono più problemi di progresso. Già da alcuni anni la nozione di progresso è morta. Sono problemi di cambiamento di stato, problemi di trasmutazione. In questo senso, gli uomini chini sulla realtà dell'esperienza interiore procedono nel senso dell'avvenire e danno concretamente la mano agli scienziati di avanguardia che preparano l'avvento di un mondo che non ha nulla in comune con il mondo di pesante transizione in cui viviamo ancora per alcune ore".
È esattamente l'argomento che sarà sviluppato in questo grosso libro. Bisogna dunque, mi dicevo prima di cominciarlo, proiettare la propria intelligenza molto indietro e molto avanti, se si vuole capire il presente. Mi accorsi che avevo ragione di non amare gli uomini che sono soltanto "moderni", e che prima non amavo. Soltanto, li condannavo a torto. In realtà sono condannabili perché il loro spirito non occupa che una troppo piccola frazione del tempo: esistono appena, e già sono anacronistici. Per essere del presente bisogna essere contemporanei del futuro. Anche il lontano passato può essere visto come una risacca del futuro. Da allora, quando mi misi a interrogare il presente ne ebbi risposte piene di stranezze e di promesse.
James Blish, scrittore americano, dice a gloria di Einstein che questi "ha inghiottito Newton vivo". Ammirevole formula! Se il nostro pensiero si innalza verso una più alta visione della vita, esso deve avere assorbito vive le verità del piano inferiore. Tale è la certezza che ho acquistato nel corso delle mie ricerche. Questo può sembrare banale, ma quando si è vissuti, di pensieri che pretendevano di occupare le cime, come la saggezza di Guénon e il sistema di Gurdjiev, e che ignoravano o disprezzavano la maggior parte delle realtà sociali e scientifiche, questo nuovo modo di giudicare cambia la direzione e gli appetiti dello spirito. "Le cose basse devono ritrovarsi nelle cose alte, benché in un altro stato" diceva Platone. Io ora sono convinto che ogni filosofia superiore in cui non continuino a vivere le realtà del piano che essa pretende di superare, è un'impostura.
Per questa ragione ho fatto un viaggio abbastanza lungo nel campo della fisica, dell'antropologia, delle matematiche, della biologia prima di ricominciare a tentare di farmi una idea dell'uomo, della sua natura, dei suoi poteri, del suo destino. Prima io cercavo di conoscere e capire il tutto dell'uomo, e disprezzavo la scienza. Supponevo che lo spirito fosse capace di raggiungere sublimi vertici. Ma che cosa sapevo del suo procedimento nel campo scientifico? Non vi aveva rivelato alcuni dei poteri cui ero incline a credere? Mi dicevo: bisogna andare di là dall'apparente contraddizione fra materialismo e spiritualismo. Ma il procedimento scientifico non vi conduceva? E, in quel caso, non era mio dovere informarmene? Dopo tutto, per un occidentale del XX secolo, non era agire più razionalmente che prendere un bastone di pellegrino e andarsene a piedi scalzi in India? Non c'era attorno a me una quantità di uomini e di libri per orientarmi? Non dovevo, prima di tutto, esplorare a fondo il mio proprio terreno esistenziale e culturale? Bisognava che sapessi se la riflessione scientifica, al suo estremo, arrivava ad una revisione delle idee ammesse sull'uomo. Vi era poi un'altra necessità. Ogni idea che avessi potuto farmi, dopo, sul destino dell'intelligenza, sul senso dell'avventura umana, non avrebbe potuto ritenersi valida se non nella misura in cui essa non fosse stata in contrasto col movimento della conoscenza moderna.
Trovai l'eco di questa meditazione nelle seguenti parole di Oppenheimer: "Attualmente noi viviamo in un mondo in cui poeti, storici, filosofi sono fieri di dire che non vorrebbero neppure cominciare a prospettarsi la possibilità di imparare checchessia che concerna le scienze: essi vedono la scienza al termine di un lungo tunnel, troppo lungo perché un uomo avvertito vi infili la testa. La nostra filosofia - ammesso che ne abbiamo una - è dunque francamente anacronistica e, ne sono convinto, assolutamente inadatta alla nostra epoca".
Ora, per un intellettuale bene esercitato, non è più difficile, se veramente lo vuole, entrare nel sistema di pensiero che regola la fisica nucleare che penetrare l'economia marxista o il tomismo. Impadronirsi della teoria della cibernetica non è più difficile che analizzare le cause della rivoluzione cinese o l'esperienza poetica di Mallarmé. In verità ci si rifiuta a questo sforzo, non per timore dello sforzo, ma perché si ha il presentimento che esso porterebbe come conseguenza un mutamento dei modi di pensare e di esprimersi, una revisione dei valori fin qui ammessi.
"E tuttavia, già da tempo" prosegue Oppenheimer "una più sottile intelligenza della natura della conoscenza umana, dei rapporti dell'uomo con l'universo, avrebbe dovuto imporsi." Mi misi dunque a scavare nel tesoro delle scienze e delle tecniche odierne, in modo inesperto, certamente, con un'ingenuità e uno stupore forse pericolosi, ma propizi alla rivelazione di confronti, corrispondenze, accostamenti illuminanti. Fu allora che ritrovai un certo numero di convinzioni che avevo avuto, già prima, a proposito dell'esoterismo e della mistica, sulla grandezza infinita dell'uomo. Ma le ritrovai in un altro stato. Erano, ora, convinzioni che avevano assorbito vive le forme e le opere dell'intelligenza umana del mio tempo, applicata allo studio della realtà. Non erano più "reazionarie"; riducevano gli antagonismi, invece di suscitarli. Conflitti molto gravi, come quelli tra materialismo e spiritualismo, vita individuale e vita collettiva, si riassorbivano per effetto di un'altra temperatura. In questo senso, non erano più l'espressione di una scelta, e quindi di una rottura, ma di un divenire, di un superamento, di un rinnovamento, e cioè dell'Esistenza.
Le danze, così veloci e incoerenti, delle api disegnano, sembra, nello spazio, figure matematiche precise e costituiscono un linguaggio. Io sogno di scrivere un romanzo in cui tutti gli incontri che un uomo fa nella sua esistenza, fugaci o notevoli, dovuti a ciò che chiamiamo caso o alla necessità, disegnino anch'essi figure, esprimano ritmi, siano ciò che forse sono: un discorso sapientemente costruito, indirizzato ad un'anima perché raggiunga la sua compiutezza, e di cui essa non afferrava, nel corso di una intera vita, che qualche parola slegata.
Mi sembrava, a volte, di afferrare il senso di questo balletto umano, attorno a me, di indovinare che mi si parla attraverso il movimento degli esseri che si avvicinano, si fermano o si allontanano. Poi perdo il filo, come tutti, fino alla prossima grande e tuttavia frammentaria evidenza. Mi staccavo da Gurdjiev. Un'amicizia molto viva mi legò ad André Breton. Fu per mezzo suo che conobbi René Alleau, storico dell'alchimia. Un giorno, mentre cercavo, per una collezione di opere di attualità, un divulgatore di argomenti scientifici, Alleau mi presentò Bergier. Si trattava di lavoro fatto per vivere, e poco m'importava la scienza volgarizzata o no. Ora, quell'incontro del tutto fortuito era destinato ad ordinare per un lungo periodo la mia vita, a riunire e orientare tutte le grandi influenze intellettuali o spirituali esercitate su di me, da Vivekananda a Guénon, da Guénon a Gurdjiev, da Gurdjiev a Breton, e a ricondurmi nella maturità al punto di partenza: mio padre.
In cinque anni di studi e di riflessioni, durante i quali i nostri spiriti, molto diversi, furono costantemente felici di essere insieme, mi sembra che abbiamo scoperto un punto di vista nuovo e ricco di possibilità. Ciò che, alla loro maniera, i surrealisti facevano trent'anni fa. Però, a differenza dei surrealisti, non abbiamo cercato nella direzione del sonno e dell'infracoscienza, ma all'estremo opposto: nella direzione dell'ultracoscienza e della veglia superiore. Abbiamo battezzato la scuola da noi seguita, scuola del realismo fantastico. Essa non ha nulla a che fare col gusto dell'insolito, dell'esotismo intellettuale, del barocco, del pittoresco. "Il viaggiatore cadde morto, colpito dal pittoresco" dice Max Jacob. Noi non cerchiamo di disorientare, non esploriamo i lontani sobborghi della realtà; al contrario, tentiamo di collocarci al centro. Noi pensiamo che proprio al centro della realtà l'intelligenza, per poco che sia iperattivata, scopre il fantastico. Un fantastico che non invita all'evasione, ma piuttosto ad una più profonda adesione.
È per difetto di fantasia che letterati e artisti cercano il fantastico fuori della realtà, nelle nuvole. Non ne ricavano che un sottoprodotto. Il fantastico, come le altre materie preziose, deve essere estratto dalle viscere della terra, dal reale. E la fantasia autentica è ben altra cosa che una fuga verso l'irreale. "Nessuna facoltà dello spirito si immerge e scava più della fantasia: essa è il grande palombaro."
Generalmente il fantastico viene definito come una violazione delle leggi naturali, come l'apparizione dell'impossibile. Per noi non è affatto questo. Il fantastico è come una manifestazione delle leggi naturali, un effetto del contatto con la realtà quando essa viene percepita direttamente e non filtrata attraverso il velo del sonno intellettuale, attraverso le abitudini, i pregiudizi, i conformismi.
La scienza moderna ci insegna che dietro il visibile semplice c'è dell'invisibile complicato. Un tavolo, una sedia, il cielo stellato, sono in realtà radicalmente diversi dall'idea che ce ne facciamo: sistemi in rotazione, energie non esaurite. È in questo senso che Valéry diceva che, nella conoscenza moderna, "il meraviglioso e il positivo hanno stretto una sbalorditiva alleanza". Ciò che a noi è apparso evidente, come si vedrà, spero, in questo libro, è che l'alleanza tra il meraviglioso e il positivo non è soltanto valida nel campo delle scienze fisiche e matematiche. Ciò che è vero per queste scienze è anche indubbiamente vero per gli altri aspetti dell'esistenza: l'antropologia, per esempio, o la storia contemporanea, o la psicologia individuale, o la sociologia. Ciò che avviene nelle scienze fisiche, avviene anche probabilmente nelle scienze umane. Ma è molto difficile rendersene conto. Dipende dal fatto che in queste scienze umane si sono rifugiati tutti i pregiudizi, compresi quelli che le scienze esatte hanno oggi eliminato. E dipende anche dal fatto che in un campo tanto vicino ad essi, e così mobile, i ricercatori, per avere finalmente una visione chiara, hanno incessantemente tentato di ricondurre tutto ad un sistema. Freud spiega tutto, Il Capitale spiega tutto, ecc. Quando diciamo pregiudizi, dovremmo dire superstizioni. Ve ne sono di antiche e di moderne. Per certe persone nessun fenomeno di civiltà è comprensibile se non si ammette, alle origini, l'esistenza dell'Atlantide. Per altre il marxismo basta a spiegare Hitler. Alcuni vedono Dio in ogni genio, altri non vi vedono che il sesso. Tutta la storia umana è templare, a meno che non sia hegeliana. Il nostro problema dunque è di rendere sensibile, allo stato elementare, l'alleanza tra il meraviglioso e il positivo nell'uomo singolo o nell'uomo in società, come lo è in biologia, in fisica, o nelle matematiche moderne, in cui si parla molto apertamente e, tutto sommato, molto semplicemente, di "Altrove Assoluto", di "Luce Interdetta" e di "Numero Quantico di Stranezza".
"Su scala cosmica (tutta la fisica moderna ce l'insegna) solo il fantastico ha possibilità di essere vero" dice Teilhard de Chardin. Ma per noi anche il fenomeno umano deve misurarsi su scala cosmica. È ciò che affermano i più antichi testi di saggezza. È anche ciò che dice la nostra civiltà che comincia a lanciare missili verso i pianeti e cerca contatti con altre intelligenze. La nostra posizione è quindi quella di uomini testimoni della realtà del proprio tempo.
A considerarlo da vicino, il nostro atteggiamento, che introduce il realismo fantastico delle scienze superiori nelle scienze umane, non ha nulla di originale. D'altronde, noi non pretendiamo di essere originali. L'idea di applicare le matematiche alle scienze non era certo sbalorditiva: tuttavia ha dato risultati molto nuovi e importanti. L'idea che l'universo non è forse ciò che se ne sa, non è originale: ma guardate come Einstein sconvolge tutto applicandola.
Infine è evidente che col nostro metodo, un'opera come la nostra, fondata col massimo di onestà e il minimo di ingenuità, deve suscitare più interrogativi che soluzioni. Un metodo di lavoro non è un sistema di pensiero. Noi non crediamo che un sistema, per quanto geniale, possa illuminare completamente la totalità del vivente che ci occupa. Si può indefinitamente manipolare il marxismo senza arrivare a integrare il fatto che Hitler ebbe più volte coscienza, con terrore, che il Superiore Sconosciuto era andato a visitarlo. E si poteva torcere in tutti i sensi la medicina anteriore a Pasteur senza spremerne l'idea che le malattie sono causate da esseri viventi troppo piccoli perché siano visibili. Tuttavia, è probabile che vi sia una risposta globale e definitiva a tutti gli interrogativi che noi solleviamo, e che noi non l'abbiamo intesa. Niente è escluso, né il si, né il no. Non abbiamo scoperto nessun guru[4]; non siamo diventati i discepoli di un nuovo messia; non proponiamo dottrine. Abbiamo tentato di aprire al lettore il maggior numero possibile di porte, e poiché la maggior parte di esse si aprono dall'interno, ci siamo tirati da parte per lasciarlo passare.
Lo ripeto: ai nostri occhi, il fantastico non è l'immaginario. Ma un'immaginazione potentemente applicata allo studio della realtà scopre che è molto tenue il confine tra il meraviglioso e il positivo, o, se preferite, tra l'universo visibile e l'universo invisibile. Esistono forse uno o più universi paralleli al nostro. Penso che non avremmo incominciato questo lavoro se, nel corso della nostra vita, non ci fosse capitato di sentirci realmente, fisicamente, a contatto con un altro mondo. Per Bergier questo è avvenuto a Mauthausen. Su un diverso piano, per me questo si è verificato quando frequentavo Gurdjiev. Le circostanze sono ben diverse, ma il fatto essenziale è lo stesso.
L'antropologo americano Loren Eiseley, il cui pensiero si avvicina al nostro, racconta un bell'episodio che esprime bene ciò che voglio dire: "Incontrare un altro mondo" egli dice "non è soltanto un fatto immaginario. Questo può capitare agli uomini. Anche agli animali. Talvolta i confini si spostano o si compenetrano: basta essere li in quel momento. Ho visto capitare questo ad un corvo. Quel corvo è mio vicino. Non gli ho mai fatto il minimo male, ma egli ha la precauzione di tenersi sulla cima degli alberi, di volare alto e di evitare l'umanità. Il suo mondo comincia dove la mia debole vista si arresta. Ora, una mattina, tutta la nostra campagna era immersa in una nebbia straordinariamente fitta, e io andavo brancolando verso la stazione. Bruscamente, all'altezza dei miei occhi, apparvero due immense ali nere, precedute da un gigantesco becco, e il tutto passò come un lampo lanciando un grido di terrore tale che io mi auguro di non sentire mai più nulla di simile. Quel grido mi ossessionò tutto il pomeriggio. Mi capitò di scrutarmi nello specchio, domandandomi che avessi di così rivoltante…
"Finalmente capii. Il confine tra i nostri due mondi si era spostato, a causa della nebbia. Quel corvo, che credeva di volare all'altezza abituale, aveva improvvisamente visto uno spettacolo sconcertante, contrario, per lui, alle leggi della natura.
"Aveva visto un uomo che camminava nell'aria, nel cuore stesso del mondo dei corvi. Si era imbattuto in una manifestazione della stranezza più assoluta che un corvo possa concepire: un uomo volante...
"Ora, quando mi vede, dall'alto, manda piccoli gridi, e io riconosco in quei gridi l'incertezza di uno spirito il cui universo è stato scosso. Non è più, non sarà mai più come gli altri corvi..."
Questo libro non è un romanzo, benché il proposito sia romanzesco. Non appartiene alla fantascienza, benché vi si costeggino miti che ispirano quel genere. Non è una raccolta di fatti bizzarri, benché l'Angelo del Bizzarro vi si trovi a suo agio. Non è neanche un contributo scientifico, il veicolo di un insegnamento ignoto, una testimonianza, un documentario, o materia per un romanzo. È il racconto, a volte trasfigurato e a volte esatto, di un primo viaggio nei campi della conoscenza ancora poco esplorati. Come nei quaderni dei navigatori del Rinascimento, vi si mescolano il magico e il vero, l'estrapolazione azzardata e la visione esatta. Dipende dal fatto che non abbiamo avuto né il tempo né i mezzi di approfondire l'esplorazione. Noi non possiamo fare altro che suggerire ipotesi e tracciare schizzi di vie di comunicazione tra quei diversi campi che, per il momento, sono ancora terre precluse. Su quelle terre precluse, noi non abbiamo fatto che brevi soggiorni. Quando saranno state meglio esplorate, senza dubbio ci si accorgerà che molte nostre affermazioni sono deliranti, come i resoconti di Marco Polo. È un'eventualità che noi accettiamo serenamente. "Il libro di Pauwels e Bergier conteneva una buona dose di sciocchezze." Ecco che cosa si dirà. Ma se questo libro avrà invogliato a investigare di più, noi avremo raggiunto il nostro scopo. Noi potremmo scrivere, come Fulcanelli che tentava di penetrare e rappresentare il mistero delle cattedrali: "Lasciamo al lettore la cura di fare tutti gli accostamenti utili, di coordinare le versioni, di isolare la verità positiva combinata con l'allegoria leggendaria in questi frammenti enigmatici". Tuttavia la nostra documentazione non deve nulla a maestri nascosti, a libri sepolti o ad archivi segreti. Essa è vasta ma accessibile a tutti. Per non appesantire eccessivamente l'opera, abbiamo evitato di moltiplicare i riferimenti, le note a pie’ di pagina, le indicazioni bibliografiche, ecc. Talvolta abbiamo proceduto per immagini e allegorie, per amore di efficacia e non per quel gusto del mestiere, così vivo negli esoterici, che ci fa ricordare questo dialogo dei Marx Brothers:
«Di’, c'è un tesoro nella casa accanto.»
«Ma non c'è nessuna casa accanto.»
«Ebbene, ne costruiremo una!»
Come ho detto, questo libro deve molto a Jacques Bergier. Non soltanto nella sua teoria generale che è il risultato della fusione del nostro pensiero, ma anche nella sua documentazione. Tutti coloro che hanno conosciuto da vicino questo uomo dalla memoria sovrumana, dalla divorante curiosità e - ciò che è ancora più raro - dalla costante presenza di spirito, mi crederanno facilmente se dico che in un lustro Bergier mi ha fatto guadagnare venti anni di lettura attiva. In quel possente cervello funziona una formidabile biblioteca; la scelta, la classificazione, le connessioni più complesse si stabiliscono a velocità elettronica. Lo spettacolo di quella intelligenza in movimento ha sempre prodotto in me un'eccitazione delle mie facoltà senza la quale non mi sarebbero state possibili la concezione e la redazione di questa opera. In un ufficio di rue de Berri, che un grande editore generosamente aveva messo a nostra disposizione, abbiamo raccolto un gran numero di libri, di riviste, di resoconti, di giornali in tutte le lingue, e una segretaria scrisse sotto dettatura migliaia di pagine di appunti, citazioni, traduzioni, riflessioni. In casa mia, a Mesnil-le-Roi, tutte le domeniche continuavamo la nostra conversazione, intramezzata da letture, e io mettevo per iscritto, la notte stessa, l'essenziale dei nostri ragionamenti, le idee che ne erano sorte, i nuovi indirizzi di ricerca che essi ci avevano suggerito. Ogni giorno, per cinque anni, mi sono messo al tavolo di lavoro all'alba, perché poi mi attendevano lunghe ore di ricerche fuori casa. Poiché in questo mondo a cui non vogliamo sottrarci le cose sono quelle che sono, la questione del tempo è una questione di energia. Ma ci sarebbero occorsi ancora dieci anni, molti mezzi materiali e numerosi collaboratori per cominciare a condurre in porto la nostra impresa. Noi vorremmo, se un giorno disponessimo di un po' di denaro, procurato qua o là, creare e animare una specie di istituto in cui si proseguissero gli studi iniziati appena in questo libro. Spero che queste pagine, se hanno un qualche valore, ci aiutino. Come dice Chesterton, "l'idea che non cerca di divenire parola è una cattiva idea, e la parola che non cerca di divenire azione è una cattiva parola".
Per vari motivi le attività esterne di Bergier sono numerose. Anche le mie, e di una certa ampiezza. Ma ho visto nella mia infanzia morire di lavoro. "Come riuscite a fare tutto quello che fate?" Non lo so, ma potrei rispondere con le parole dello Zen: "Cammino a piedi e tuttavia sono seduto sul dorso di un bue".
Molte difficoltà, sollecitazioni e imbarazzi di ogni genere si sono messi di traverso, fino a farmi disperare. Non mi piace affatto la figura del creatore ferocemente indifferente a tutto ciò che non è la sua opera. Un amore più vasto mi tiene, e la limitatezza in amore, fosse anche il prezzo di un'opera bella, mi sembra un'indegna contorsione. Ma si comprenderà che con tali disposizioni, nel flusso di una vita largamente partecipe, capita di rischiare di annegare. Mi ha aiutato un pensiero di Vincenzo de' Paoli: "I grandi disegni sono sempre attraversati da molti scontri e difficoltà. La carne e il sangue diranno che bisogna abbandonare la missione, guardiamoci bene dal dar loro ascolto. Dio non cambia mai ciò che una volta ha stabilito, qualunque cosa contraria a noi sembri capitare".
In quel corso complementare di Juvisy, che ricordavo all'inizio di questa prefazione, un giorno ci diedero da commentare questa frase di Vigny: "Una vita riuscita è un sogno di adolescente realizzato nell'età matura". Lo sognavo allora di approfondire e servire la filosofia di mio padre, che era una filosofia del progresso. È ciò che tento di fare, dopo molte fughe, opposizioni e svolte.
Che la mia battaglia dia pace alle sue ceneri! A quelle ceneri oggi disperse, come egli voleva, pensando, come penso anch'io, che "la materia forse non è che una delle maschere fra tutte le maschere portate dal Gran Volto".

Parte prima
Il futuro anteriore
I
Omaggio al lettore che non ha tempo. Un caso di dimissioni nel 1875. Gli uccelli di malaugurio. Come il secolo XIX chiudeva le porte. La fine della scienza e il rifiuto del fantastico. Le disperazioni di Poincaré. Noi siamo i nostri nonni. Giovinezza! Giovinezza!

Come può, oggi, un uomo intelligente non aver fretta? "Alzatevi, Signore, avete grandi cose da fare!" Ma ci si deve alzare sempre più presto. Accelerate i vostri organi per vedere, capire, pensare, ricordare, immaginare. Il nostro migliore lettore, il più caro ai nostri occhi, se la sarà sbrigata con noi in due o tre ore. Conosco alcune persone che leggono col massimo profitto cento pagine di matematica, di filosofia, di storia o di archeologia in venti minuti. Gli attori imparano a "regolare" la loro voce. Chi ci insegnerà a "regolare" la nostra attenzione? Vi è un livello a partire dal quale tutto cambia di velocità. In quest'epoca io non sono uno di quegli scrittori che vogliono tenersi il lettore vicino il più a lungo possibile, cullandolo. Niente per il sonno, tutto per la veglia. Svelti, prendete e andatevene! Fuori c'è da fare. Se è necessario, saltate dei capitoli, cominciate da dove volete, leggete in diagonale: questo è uno strumento a molti usi, come i coltelli da campeggio. Per esempio, se temete di arrivare troppo tardi al vivo dell'argomento che v'interessa, saltate queste prime pagine. Sappiate soltanto che esse dimostrano come il secolo XIX avesse chiuso le porte alla realtà fantastica dell'uomo, del mondo, dell'universo; come il secolo XX le riapra, ma le nostre morali, le nostre filosofie, e la nostra sociologia, che dovrebbero essere contemporanee del futuro, non lo sono, e rimangono attaccate a quel secolo XIX superato.
Non è stato ancora gettato il ponte tra il tempo dei fucili chassepots e quello dei missili, ma ci si pensa. È perché ci si pensa sempre più, che noi scriviamo. A corto di tempo, non è sul passato che piangiamo, è sul presente, e di impazienza. Ecco. Ne sapete abbastanza per sfogliare velocemente queste prime pagine, se è necessario, e guardare più in là.
Peccato, la storia non ha registrato il suo nome. Era direttore del Patent Office americano e fu lui a dare il segnale. Nel 1875 inviò le sue dimissioni al Segretario di Stato al Commercio. Perché restare?, diceva in sostanza, non c'è più nulla da inventare.
Dodici anni dopo, nel 1887, il grande chimico Marcellin Berthelot scriveva: "L'universo è ormai senza misteri". Per ottenere un'immagine coerente del mondo la scienza aveva fatto piazza pulita. La perfezione per mezzo dell'omissione. La materia era costituita da un certo numero di elementi che non potevano assolutamente trasformarsi l'uno nell'altro. Ma mentre Berthelot nella sua dotta opera respingeva i sogni degli alchimisti, gli elementi, che non lo sapevano, continuavano a trasmutarsi per effetto della radioattività naturale. Nel 1852 il fenomeno era stato descritto da Reichenbach, ma subito rifiutato. Studi che datano dal 1870 parlavano di "un quarto stato della materia" constatato durante la scarica nei gas. Ma bisognava respingere ogni mistero. Rifiuto: è la parola. C'è uno studio psicanalitico da fare su un certo pensiero del secolo XIX.
Un tedesco, di nome Zeppelin, tornato in patria dopo aver combattuto nei ranghi sudisti, tentò di interessare alcuni industriali al problema della guida dei palloni. "Disgraziato! Non sapete che ci sono tre argomenti sui quali l'Accademia francese delle Scienze non accetta più memorie: la quadratura del cerchio, il tunnel sotto la Manica e la guida dei palloni." Un altro tedesco, Herman Gaswindt, proponeva di costruire macchine volanti più pesanti dell'aria, spinte da missili. Sul quinto manoscritto, il ministro tedesco della guerra, sentito il parere dei tecnici, scrisse con la delicatezza della sua razza e della sua funzione: "Quando creperà, finalmente, questo uccello di malaugurio?".
Quanto ai russi, essi si erano sbarazzati di un altro uccello di malaugurio, Kibalcic, anche lui fautore delle macchine volanti per mezzo di missili. Plotone di esecuzione. È vero che Kibalcic aveva impiegato le sue qualità di tecnico per fabbricare una bomba che aveva ridotto a pezzetti l'imperatore Alessandro II; ma non c'era ragione di coprire di infamia il nome del professore Langley dello Smithsonian Institute americano, che proponeva macchine volanti azionate da motori a scoppio di recentissima fabbricazione. Fu disonorato, rovinato, espulso dall'istituto. Il professor Simon Newcomb dimostrò matematicamente l'impossibilità del più pesante dell'aria. Qualche mese prima della morte di Langley, ucciso dal dolore, un ragazzino inglese un giorno tornò dalla scuola singhiozzando. Aveva mostrato ai suoi compagni la fotografia di un modello che Langley aveva inviato a suo padre. Aveva proclamato che gli uomini prima o poi avrebbero volato. I compagni lo avevano preso in giro. Il maestro aveva detto: "Amico mio, vostro padre sarebbe dunque uno sciocco?". Il presunto sciocco si chiamava Herbert George Wells.
Tutte le porte si richiudevano dunque con un rumore secco. Effettivamente non c'era più altro da fare che dare le dimissioni, e il. signor Brunetière, nel 1895, poteva tranquillamente parlare de "Il fallimento della scienza". Il celebre professor Lippmann, alla stessa epoca, dichiarava ad uno dei suoi allievi che la Fisica era finita, classificata, sistemata, completata, e che egli avrebbe fatto meglio a impegnarsi in altri campi. L'allievo si chiamava Helbronner e doveva poi diventare il primo professore di chimica fisica d'Europa, fare scoperte notevoli sull'aria liquida, l'ultravioletto e i metalli colloidali. Moissan, chimico geniale, era costretto all’ “autocritica” e doveva pubblicamente dichiarare che non aveva fabbricato diamanti e che si trattava di un errore sperimentale. Inutile cercare più lontano: le meraviglie del secolo erano la macchina a vapore e la lampada a gas, mai l'umanità avrebbe fatto invenzioni più grandi. L'elettricità? Semplice curiosità tecnica. Un inglese matto, Maxwell, aveva preteso che per mezzo dell'elettricità si sarebbero potuti produrre raggi luminosi invisibili: non era serio. Alcuni anni più tardi Ambrose Bierce poteva scrivere nel suo Dizionario del Diavolo: "Non si sa che cosa sia l'elettricità, ma in ogni caso illumina meglio di un cavallo-vapore ed è più veloce di una lampada a gas".
Quanto all'energia, era un'entità del tutto indipendente dalla materia, e senza alcun mistero. Era composta di fluidi. I fluidi riempivano tutto, si lasciavano rappresentare da equazioni di una grande eleganza e soddisfacevano le esigenze del pensiero: fluido elettrico, luminoso, calorifico, ecc. Una progressione continua e chiara: la materia con i suoi tre stati (solido, liquido, gassoso) e i diversi fluidi energetici, ancor più sottili dei gas. Bastava respingere come fantasticheria filosofica le nascenti teorie sull'atomo per conservare un'immagine "scientifica" del mondo. Si era ben lontani dalle particelle di energia di Planck e Einstein.
Il tedesco Clausius dimostrava che non era concepibile alcuna sorgente di energia ad eccezione del fuoco. E se l'energia si conserva quantitativamente, decade qualitativamente. L'universo è stato caricato una volta per tutte, come un orologio. Si fermerà quando la sua molla si sarà allentata. Niente da attendere. Nessuna sorpresa. In questo universo dal prevedibile destino la vita era apparsa per caso e si era evoluta per il semplice gioco delle selezioni naturali. Al vertice definitivo di questa evoluzione: l'uomo. Un insieme meccanico e chimico, dotato di un'illusione: la coscienza. Per effetto di quest'illusione, l'uomo aveva inventato lo spazio e il tempo: visioni dello spirito. Se si fosse detto ad un ricercatore ufficiale del secolo XIX che un giorno la fisica avrebbe assorbito lo spazio e il tempo e che essa avrebbe studiato sperimentalmente la curva dello spazio e la contrazione del tempo, avrebbe chiamato la polizia. Lo spazio e il tempo non hanno alcuna esistenza reale. Sono grandezze variabili per il matematico, argomenti di gratuita riflessione per i filosofi. L'uomo non potrebbe avere alcun rapporto con queste grandezze. Nonostante i lavori di Charcot, di Breuer, d'Hyslop, l'idea di percezione extrasensoriale o extratemporale è da respingere con disprezzo. Niente di incognito nell'universo, niente di incognito nell'uomo. Figlio saccente, bada a tenere pulito il tuo naso! Era perfettamente inutile tentare un'esplorazione del mondo interiore, tuttavia un fatto metteva bastoni fra le ruote della semplificazione: si parlava molto dell'ipnosi. L'ingenuo Flammarion, l'equivoco Edgar Poe, il sospetto H. G. Wells s'interessavano al fenomeno. Ora, per quanto la cosa possa sembrare fantastica, il XIX secolo ufficiale dimostrò che l'ipnosi non esisteva. Il paziente tende a mentire, a simulare per far piacere all'ipnotizzatore. Esatto. Ma dopo Freud e Morton Price, si sa che la personalità può essere divisa. Partendo da critiche esatte, quel secolo giunse a creare una mitologia negativa, ad eliminare ogni traccia di ignoto nell'uomo, a respingere ogni sospetto di mistero.
Anche la biologia era giunta al suo termine. Claude Bernard ne aveva esaurito le possibilità, e si era concluso che il cervello secerne il pensiero come il fegato la bile. Senza dubbio si sarebbe arrivati a scoprire questa secrezione e a scriverne la formula chimica conformemente alle eleganti sistemazioni in esagoni immortalate da Berthelot. Giunti a sapere come gli esagoni di carbonio si associano per creare lo spirito, sarebbe stata voltata l'ultima pagina. Lasciateci lavorare seriamente! I pazzi al manicomio! Un bel mattino del 1898 un signore serio ordinò alla governante di non permettere più ai suoi figli la lettura di Jules Verne. Quelle false idee avrebbero deformato le giovani menti. Il signore serio si chiamava Edouard Branly. Aveva deciso di rinunciare alle sue esperienze per nulla interessanti sulle onde, per diventare medico di quartiere.
Lo scienziato deve abdicare. Ma deve anche ridurre a zero gli "avventurieri", cioè le persone che riflettono, immaginano, fantasticano. Berthelot attacca i filosofi "che si battono a duello contro il loro proprio fantasma nell'arena solitaria della logica astratta" (ecco una bella descrizione di Einstein, per esempio). E Claude Bernard dichiara: "Un uomo che scopre il fatto più semplice rende più servigi del più grande filosofo del mondo". La scienza non potrebbe essere se non sperimentale. All'infuori di essa nessuna salvezza. Chiudiamo le porte. Nessuno uguaglierà mai i giganti che hanno inventato la macchina a vapore.
In quell'universo organizzato, comprensibile, e d'altronde condannato, l'uomo doveva tenersi al suo giusto posto di epifenomeno. Nessuna utopia e nessuna speranza. Il combustibile fossile si sarebbe esaurito nello spazio di alcuni secoli, e sarebbe stata la fine per freddo e per fame. Mai l'uomo avrebbe volato, mai viaggiato nello spazio. Mai, neppure, avrebbe esplorato il fondo del mare. Strana interdizione quella dell'esplorazione degli abissi marini! Niente impediva che nel secolo XIX, al punto in cui era giunta la tecnica, si costruisse il batiscafo del professor Piccard. Nient'altro che un'enorme timidezza e la preoccupazione, per l'uomo, di "restare al suo posto".
Turpin, che inventa la melinite, viene prontamente rinchiuso. Gli inventori dei motori a scoppio sono scoraggiati e si tenta di dimostrare che le macchine elettriche non sono che forme del moto perpetuo. È l'epoca dei grandi inventori isolati, ribelli, perseguitati. Hertz scrive alla Camera di Commercio di Dresda che bisogna scoraggiare le ricerche sulla trasmissione delle onde hertziane: nessuna applicazione pratica è possibile. Non solo, gli esperti di Napoleone III dimostrano che la dinamo Gramme non girerà mai.
Per le prime automobili, i sottomarini, il dirigibile, la luce elettrica (un imbroglio di quel dannato Edison!) le dotte accademie non si disturbano. C'è una pagina immortale. È il resoconto del collaudo del fonografo all'Accademia delle Scienze di Parigi: "Non appena la macchina ha emesso qualche parola il Signor Segretario Perpetuo si precipita sull'impostore e gli serra la gola con mano di ferro. Vedete bene! dice ai suoi colleghi. Con sbalordimento di tutti, la macchina continua ad emettere suoni".
Tuttavia sommi intelletti, fortemente contrariati, si armano in segreto per preparare la più formidabile rivoluzione delle conoscenze che l'uomo "storico" abbia veduto. Ma, per il momento, tutte le vie sono sbarrate. Sbarrate nei due sensi. Si rifiutano i fossili preumani che cominciano ad essere scoperti in gran numero. Il grande Heinrich Helmholtz non ha dimostrato che il sole deriva la sua energia dalla propria contrazione, cioè dalla sola forza, con la combustione, esistente nell'universo? E i suoi calcoli non dimostrano che un centinaio di migliaia di anni ci separano, al massimo, dall'origine del sole? Come avrebbe potuto prodursi ; una lunga evoluzione? E, d'altronde, chi troverà mai il mezzo di datare il passato del mondo? In questo breve spazio tra due nulla, noialtri, epifenomeni, rimaniamo seri. I fatti! Nient'altro che i fatti!
Non essendo in alcun modo incoraggiata la ricerca sulla materia e sull'energia, i curiosi migliori si buttano in una via senza uscita: l'etere. È il mezzo che penetra in ogni materia e serve di supporto alle onde luminose ed elettromagnetiche. È nello stesso tempo infinitamente solido e infinitamente tenue. Lord Rayleigh, che alla fine del secolo XIX rappresenta la scienza ufficiale inglese nel suo splendore, costruisce una teoria dell'etere giroscopico. Un etere composto di molte trottole che girano in ogni senso e reagiscono fra di loro. Aldous Huxley scriverà più tardi che "se un'opera umana può dare l'idea della sozzura in assoluto, la teoria di Lord Rayleigh vi arriva".
Al confine del secolo XX, gli intelletti disponibili si trovano impegnati nella speculazione sull'etere. Nel 1898 avviene la catastrofe: l'esperienza di Michelson e Morley distrugge l'ipotesi dell'etere. Tutta l'opera di Henri Poincaré testimonierà questo crollo. Poincaré, matematico di genio, sentiva gravare su di sé l'enorme peso di quel secolo XIX carceriere e boia del fantastico. Se avesse osato, egli avrebbe scoperto la relatività. Ma non osò. La valeur de la Science, La Science et l'Hypothèse, sono opere di disperazione e di rinuncia. Per lui l'ipotesi scientifica non è mai vera, essa non può essere che utile. Ed è come un albergo spagnolo: non si trova se non ciò che vi si porta. Secondo Poincaré, se l'universo si contraesse un milione di volte, e noi con esso, nessuno si accorgerebbe di nulla. Speculazioni inutili, dunque, poiché staccate da ogni realtà sensibile. L'argomento fu citato fino all'inizio del nostro secolo come esempio perspicuo di profondità. Fino al giorno in cui un ingegnere tecnico fece osservare che il salumaio, almeno, se ne accorgerebbe perché tutti i prosciutti cadrebbero a terra. Il peso di un prosciutto è proporzionale al proprio volume, mentre la forza di una cordicella non è proporzionale che alla sua sezione. Che l'universo si contragga di un milionesimo, e niente prosciutti attaccati al soffitto! Povero, grande e caro Poincaré. Lui, maestro di pensiero, scriveva: "Il buon senso da solo è sufficiente a dirci che la distruzione di una città per la disintegrazione di un mezzo chilo di metallo è un'evidente impossibilità".
Carattere limitato della struttura fisica dell'universo, inesistenza degli atomi, deboli risorse dell'energia fondamentale, incapacità di una formula matematica a dare più di quanto contiene, vacuità dell'intuizione, angustia e meccanicità assoluta del mondo interiore dell'uomo: tale è lo spirito nelle scienze, e questo spirito si estende a tutto, crea il clima in cui stagna tutta l'intelligenza di quel secolo. Secolo piccolo? No. Grande, ma limitato. Un nano allungato.
Bruscamente, le porte accuratamente serrate nel secolo XIX sulle infinite possibilità dell'uomo, della materia, dell'energia, dello spazio e del tempo, stanno per volare in pezzi. Le scienze e le tecniche stanno per fare un formidabile balzo, e la natura stessa della conoscenza sta per essere rimessa in questione.
Ben altro che un progresso: una trasmutazione. In questo diverso stato del mondo, la coscienza stessa deve cambiare stato. Oggi, in tutti i campi, tutte le forme dell'immaginazione sono in movimento. Tranne nei campi dove si svolge la nostra vita "storica", sbarrata, dolorosa, con la precarietà delle cose superate. Un immenso fossato separa l'uomo dalla vicenda dell'umanità, le nostre società dalla nostra civiltà. Noi viviamo su idee. su morali, sociologie, filosofie e infine su una psicologia, che appartengono al secolo XIX. Siamo i nostri bisnonni. Guardiamo i missili salire verso il cielo, la nostra terra che vibra di mille nuove radiazioni, succhiando la pipa di Thomas Graindorge. La nostra letteratura, i nostri dibattiti filosofici, i nostri conflitti ideologici, il nostro atteggiamento di fronte alla realtà, tutto questo dorme dietro porte che sono appena saltate. Giovinezza! Giovinezza! Andate a dire a tutti che le aperture sono fatte e che, ormai, l'Esterno è entrato.
 
II
Il diletto borghese. Un dramma dell'intelligenza o la tempesta dell'irrealismo. L'apertura su una realtà diversa. Di là dalla logica e dalle filosofie letterarie. La nozione di eterno presente. Scienza senza coscienza: e coscienza senza scienza? La speranza.
"La marchesa prese il tè alle cinque": Valéry diceva pressappoco che non si possono scrivere cose simili quando si è entrati nel mondo delle idee, mille volte più forte, più romanzesco, mille volte più reale del mondo del cuore e dei sensi. "Antonio amava Maria che amò Paolo; essi furono molto infelici e vissero immersi nel nulla." Tutta una letteratura! Palpitazioni di amebe e di infusori, quando il Pensiero suscita tragedie e drammi giganteschi, tramuta esseri, sconvolge civiltà, mobilita immense masse umane. Sonnolenti godimenti, borghese diletto! Noi, adepti della coscienza sveglia, lavoratori della terra, sappiamo dove sono l'insignificante, la decadenza, il gioco corrotto...
La fine del secolo XIX segna l'apogeo del teatro e del romanzo borghese, e la generazione dei letterati del 1885 riconoscerà per un momento come suoi maestri Anatole France e Paul Bourget. Ora, alla stessa epoca, si svolge, nel campo della conoscenza pura, un dramma molto più grande e palpitante che quello dei personaggi del Divorce o quello del Lys Rouge. Una improvvisa ebbrezza si insinua nel dialogo tra materialismo e spiritualismo, scienza e religione. Dalla parte degli scienziati, eredi del positivismo di Taine e di Renan, formidabili scoperte stanno per far crollare le muraglie dell'incredulità. Non si credeva che alle realtà stabilite secondo le forme prescritte: bruscamente l'irreale diventa possibile. Ecco le cose come una trama romanzesca, con voltafaccia di personaggi, passaggio dei traditori, passioni contrastate, conflitto tra le illusioni.
Il principio della conservazione dell'energia era qualche cosa di solido, certo, marmoreo. Ed ecco che il radium produce energia senza attingerla da nessuna sorgente. Si era certi dell'identità della luce e dell'elettricità: esse non potevano propagarsi che in linea retta e senza attraversare ostacoli. Ed ecco che le onde, che i raggi Χ oltrepassano i solidi. Nei tubi per le scariche la materia sembra svanire, trasformarsi in corpuscoli. Si opera la trasmutazione degli elementi nella natura: il radium diventa elio e piombo. Ecco che il Tempio delle Certezze crolla. Ecco che il mondo non fa più il gioco della ragione! Tutto dunque diviene possibile? Di colpo, quelli che sanno, ο credevano di sapere, smettono di dividere fisica e metafisica, cosa verificata e cosa fantasticata. Le colonne del Tempio diventano nuvole, i sacerdoti di Descartes delirano. Se il principio di conservazione dell'energia è falso, che cosa impedirebbe al medium di fabbricare un ectoplasma partendo dal nulla? Se le onde magnetiche attraversano la terra, perché non potrebbe viaggiare un pensiero? Se tutti i corpi emettono forze invisibili, perché non un corpo astrale? Se vi è una quarta dimensione, essa è il dominio dello spirito?
La signora Curie, Crookes, Lodge, fanno ballare i tavolini. Edison tenta di costruire un apparecchio che comunicherebbe con i morti. Marconi, nel 1901, crede di aver captato messaggi di Marziani. Simon Νewcomb trova del tutto naturale che un medium faccia materialmente vere conchiglie del Pacifico. Una tempesta di fantastico irreale sconvolge i cercatori di realtà. Ma i puri, gli irriducibili tentano di respingere questo flusso. La vecchia guardia del positivismo ingaggia un duello d'onore. Ε, in nome della Verità, in nome della Realtà, rifiuta tutto in blocco: i raggi Χ e gli ectoplasmi, gli atomi e lo spirito dei morti, il quarto stato della materia e i Marziani.
Cosi, tra il fantastico e la realtà si svolgerà un conflitto spesso assurdo, cieco, disordinato, che ben presto avrà ripercussioni su tutte le forme del pensiero, in tutti i campi: letterario, sociale, filosofico, morale, estetico. Ma l'ordine si ristabilirà nella scienza fisica, non per regresso e amputazioni, ma per superamento. Nella fisica nasce una nuova concezione. Lo si deve allo sforzo di titani come Langevin, Perrin, Einstein. Appare una nuova scienza, meno dogmatica dell'antica. Si aprono porte su una realtà diversa. Come in ogni grande romanzo, non ci sono alla fine né buoni né malvagi e tutti i personaggi hanno ragione se lo sguardo del romanziere si è situato in una dimensione complementare, in cui i destini si incontrano, si confondono, portati tutti insieme ad un livello superiore.
A che punto siamo oggi? In quasi tutti gli edifici della scienza si sono aperte delle porte, ma l'edificio della fisica è ormai quasi senza muri: una cattedrale tutta di vetrate in cui si riflettono gli albori di un altro mondo, infinitamente vicino.
Se non più ricca, la materia si è rivelata ricca di possibilità quanto lo spirito. Essa chiude in sé un'energia incalcolabile, è suscettibile di infinite trasformazioni, le sue risorse sono insospettate. Il termine "materialista" nel senso del XIX secolo ha perso ogni significato, e così il termine "razionalista".
La logica del "buon senso" non esiste più. Nella nuova fisica una proposizione può essere contemporaneamente vera e falsa. A.Β. non è più uguale a Β.A. Una stessa entità può essere contemporaneamente continua e discontinua. Non ci si potrebbe più riferire alla fisica per condannare questo ο quell'aspetto del possibile.[5]
Prendete un foglio di carta. Fate due buchi a piccolissima distanza. Per il senso comune è evidente che un oggetto sufficientemente piccolo per passare attraverso questi buchi, passerà per l'uno e per l'altro. Agli occhi del senso comune un elettrone è un oggetto. Esso ha un peso definito, produce un lampo luminoso quando colpisce uno schermo televisivo, una percussione quando colpisce un microfono. Ecco il nostro oggetto sufficientemente piccolo per passare attraverso uno dei nostri due buchi. Ora, l'osservazione con il microscopio elettronico, ci mostrerà che l'elettrone è passato contemporaneamente attraverso i due buchi. Suvvia! Se è passato attraverso l'uno, non può, nello stesso tempo, essere passato attraverso l'altro! Sì, è passato attraverso l'uno e l'altro. È pazzesco, ma è sperimentale. Dai tentativi di spiegazione sono derivate diverse dottrine, in particolare la meccanica ondulatoria. Ma la meccanica ondulatoria non giunge tuttavia a spiegare totalmente tale fatto che resta fuori della nostra ragione, la quale non potrebbe funzionare che col sì e col no, A ο Β. Per capire, bisognerebbe modificare la struttura stessa della nostra ragione. La nostra filosofia vuole tesi e antitesi. Bisogna credere che nella filosofia dell'elettrone tesi e antitesi sono contemporaneamente vere. Parleremo di assurdo? L'elettrone sembra obbedire a certe leggi, e la televisione, per esempio, è una realtà. L'elettrone esiste ο no? Ciò che la natura chiama esistere non ha esistenza ai nostri occhi. L'elettrone appartiene all'essere ο al nulla? Ecco una domanda completamente priva di senso. Cosi al vertice della conoscenza spariscono i nostri metodi abituali di pensiero e le filosofie letterarie, nate da una visione superata delle cose.
La Terra è legata all'universo, l'uomo non è soltanto in contatto coi pianeta che abita. Ι raggi cosmici, la radioastronomia, gli studi di fisica teorica, rivelano contatti con la totalità del cosmo. Non viviamo più in un mondo chiuso: uno spirito veramente testimone del proprio tempo non potrebbe ignorarlo. In tali condizioni, come il pensiero, sul piano sociale, per esempio, può restare alle prese con problemi che non siano anche planetari, ma strettamente regionali, provinciali? Ε come la nostra psicologia, tale quale essa è rappresentata nel romanzo, può rimanere così chiusa, ridotta ai movimenti infracoscienti della sensualità e della sentimentalità? Mentre milioni di uomini civili aprono dei libri, vanno al cinema ο a teatro per sapere in che modo Francesca sarà turbata da Renato, ma odiando l'amante di suo padre, diventerà lesbica per sorda vendetta, studiosi che fanno cantare ai numeri una musica celeste, si domandano se lo spazio non si contragga attorno ad un veicolo.[6] L'universo intero sarebbe, di conseguenza, accessibile: sarebbe possibile portarsi sulla stella più lontana, nello spazio di una vita umana. Se tali equazioni risultassero confermate, il pensiero umano ne verrebbe sconvolto. Se l'uomo non è limitato a questa Terra, si porranno nuovi interrogativi sul significato profondo dell'iniziazione e su eventuali contatti con intelligenze dell'Esterno.
A che punto siamo ancora? In materia di ricerca sulle strutture dello spazio e del tempo, le nostre nozioni di passato e di avvenire non reggono più. Al livello della particella, il tempo circola contemporaneamente nei due sensi: avvenire e passato. Ad un'estrema velocità, al limite di quella della luce, che cosa è il tempo? Siamo a Londra nell'ottobre 1944. Un missile V2 volando a cinquemila chilometri orari è sopra la città. Sta per cadere. Ma questo sta a che cosa si riferisce? Per gli abitanti della casa che fra qualche istante sarà distrutta, e che non hanno se non i loro occhi e i loro orecchi, la V2 sta per cadere. Ma per l'operatore del radar, che si serve di onde che si propagano a trecentomila chilometri al secondo (velocità rispetto alla quale il missile striscia), la traiettoria della bomba è già fissata. Egli osserva: non può far nulla. Al livello umano nulla ormai può più intercettare lo strumento di morte, nulla può prevenirlo. Per l'operatore il missile è già scoppiato. Alla velocità del radar, il tempo praticamente non passa. Gli abitanti della casa stanno per morire. Nel superocchio del radar essi sono già morti.
Un altro esempio: si trovano nei raggi cosmici, quando raggiungono la superficie terrestre, particelle, i mesoni μ, la cui vita sul globo non è che di un milionesimo di secondo. Al termine del milionesimo di secondo, questi effimeri si distruggono da sé per radioattività. Ora, queste particelle sono nate a trenta chilometri nel cielo, regione dove l'atmosfera del nostro pianeta comincia ad essere densa. Per superare quei trenta chilometri hanno già oltrepassato il loro tempo di vita considerato sulla nostra scala. Ma il loro tempo non è il nostro. Esse hanno vissuto quel viaggio nell'eternità e non sono entrate nel tempo che quando hanno perso la loro energia, arrivando al livello del mare. Si pensa di costruire apparecchi che producano lo stesso effetto. Si creerebbero così cassetti del tempo, in cui si troverebbero collocati oggetti di debole durata, conservati nella quarta dimensione. Questo cassetto sarebbe un anello di vetro vuoto, collocato in un enorme campo di forze, e dove le particelle ruoterebbero così velocemente che il tempo, per esse, praticamente cesserebbe di passare. Una vita di un milionesimo di secondo potrebbe così esser mantenuta e osservata per la durata di alcuni minuti ο ore...
«Non bisogna credere che il tempo trascorso rientri nel nulla; il tempo è uno ed eterno, il passato, il presente e il futuro non sono che aspetti diversi - stampe diverse, se così preferite - di una registrazione continua, invariabile, dell'esistenza perpetua."[7] Per i moderni discepoli di Einstein non esisterebbe realmente che un eterno presente. È ciò che dicevano i mistici antichi. Se l'avvenire esiste già, la precognizione è un fatto. Tutta la vicenda della conoscenza d'avanguardia è orientata verso una descrizione delle leggi della fisica, ma anche della biologia e della psicologia nel continuo a quattro dimensioni, cioè nell'eterno presente. Passato, presente, futuro, sono. È forse soltanto la coscienza che si sposta. Per la prima volta la coscienza è di pieno diritto ammessa nelle equazioni di fisica teorica. In questo eterno presente la materia appare come un sottile filo teso tra il passato e l'avvenire. Lungo questo filo scorre la coscienza umana. Con quali mezzi essa è capace di modificare le tensioni di questo filo, in modo da controllare gli avvenimenti? Un giorno lo sapremo, e la psicologia diventerà uni branca della fisica.
Senza dubbio la libertà è conciliabile con questo eterno presente. "Il passeggero che risale la Senna in battello sa prima quali ponti incontrerà. Egli non è meno libero nelle sue azioni, non è meno capace di prevedere ciò che potrà accadere nel tragitto."[8] Libertà di divenire, in seno ad una eternità che è. Duplice visione, meravigliosa visione del destino umano legato alla totalità dell'universo!
Se potessi rifare la mia vita, non scieglierei certo di essere scrittore e di passare i miei giorni in una società ritardataria in cui l'avventura ha il giaciglio sotto i letti, come un cane. Mi occorrerebbe un'avventura-leone. Mi farei fisico teorico, per vivere nel cuore ardente del romanzesco vero.
Il nuovo mondo della fisica smentisce formalmente le filosofie della disperazione e dell'assurdo. Scienza senza coscienza non è che rovina dell'anima. Ma coscienza senza scienza è uguale a rovina. Le filosofie che hanno attraversato l'Europa nel secolo XX erano fantasmi del XIX vestiti alla nuova moda. Una conoscenza reale, oggettiva del fatto tecnico e scientifico, che coinvolge prima ο poi il fatto sociale, ci insegna che vi è un netto indirizzo della storia umana, un accrescimento della potenza dell'uomo, un'avanzata dello spirito generale, un'enorme forgia di masse che le trasforma in coscienza agente, l'accedere ad una civiltà nella quale la vita sarà superiore alla nostra quanto la nostra è superiore a quella degli animali. Ι filosofi letterati ci hanno detto che l'uomo è incapace di comprendere il mondo. Già André Maurois in Les Nouveaux Discours du Docteur Ο'Grady, scriveva: "Tuttavia ammetterete, dottore, che l'uomo del XIX secolo poteva credere che la scienza, un giorno, avrebbe dato una spiegazione del mondo. Renan, Berthelot, Taine, al principio della loro vita, lo speravano. L'uomo del XX secolo non ha più simili speranze. Egli sa che le scoperte fanno indietreggiare il mistero. Quanto al progresso, noi abbiamo constatato che la potenza dell'uomo non ha prodotto che fame, terrore, disordine, tortura e confusione spirituale. Quale speranza resta? Perché vivete, dottore?". Ora, il problema non si poneva già più così. All'insaputa degli interlocutori, il cerchio si richiudeva intorno al mistero e il progresso incriminato apriva le porte del cielo. Non sono più Berthelot ο Taine che testimoniano per l'avvenire umano, ma piuttosto uomini come Teilhard de Chardin. Da un recente incontro di scienziati di diverse discipline si desume l'idea seguente: forse un giorno gli ultimi segreti delle particelle elementari ci saranno rivelati dal comportaιmento profondo del cervello, perché esso è il risultato e la conclusione delle reazioni più complesse nella nostra regione dell'universo, e indubbiamente contiene in sé le leggi più intime di questa regione.
Il mondo non è assurdo e lo spirito non è affatto inetto a comprenderlo. Al contrario potrebbe darsi che lo spirito umano abbia già compreso il mondo, ma non lo sappia ancora...
 
III
Riflessioni affrettate sui ritardi della sociologia. Un dialogo di sordi. Ι planetari e i provinciali. Un cavaliere ritorna fra noi. Un po' di lirismo.
Nella fisica, nelle matematiche, nella biologia moderne la vista si estende all'infinito. Ma la sociologia ha sempre l'orizzonte chiuso dai monumenti dell'ultimo secolo. Ricordo il nostro triste sbalordimento quando, Bergier e io, seguimmo, nel 1957, la corrispondenza tra il celebre economista sovietico Evgenij Varga e la rivista americana "Fortune". Quella lussuosa pubblicazione esprime le idee del capitalismo illuminato. Varga è una mente solida e gode la considerazione del potere supremo. Ci si poteva attendere, da un pubblico dialogo tra quelle due autorità, un serio aiuto per capire la nostra epoca. Il risultato fu invece terribilmente deludente. Varga seguiva alla lettera il proprio vangelo. Marx annunciava un'inevitabile crisi del capitalismo e Varga vedeva molto prossima questa crisi. Il fatto che la situazione economica degli Stati Uniti migliori incessantemente e che il grande problema cominci ad essere la razionale utilizzazione del tempo libero, non impressionava affatto questo teorico che, nell'epoca del radar, continuava a vedere le cose attraverso gli occhiali di Karl. L'idea che il crollo preannunciato potrebbe non verificarsi secondo lo schema fissato, e che una nuova società forse sta nascendo oltre Atlantico, non lo sfiorava affatto. Ι redattori di "Fortune", da parte loro, non vedevano affatto un mutamento di società in Russia, e spiegavano che l'America del 1957 esprimeva un ideale perfetto, definitivo. Tutto ciò che i russi potevano sperare era di arrivare a quello stato, se fossero stati molto saggi, in un secolo ο un secolo e mezzo. Niente inquietava, niente turbava gli avversari teorici di Varga, né il gran numero di nuovi culti fra gli intellettuali americani (Oppenheimer, Aldous Huxley, Gerald Heard, Henri Miller, e molti altri attratti dalle antiche filosofie orientali), né la esistenza, nelle grandi città, di milioni di giovani "ribelli senza motivo" raggruppati in gangs, né i venti milioni di individui che non resistono a quel genere di vita se non assorbendo droghe pericolose come la morfina e l'oppio. Il problema di un fine della vita, non sembrava toccarli. Quando tutte le famiglie americane possiederanno due automobili, bisognerà che ne comprino una terza. Quando tutte le famiglie avranno un apparecchio televisivo, bisognerà dotarne le automobili.
Ε tuttavia, in confronto ai sociologi, agli economisti, ai pensatori nostrani, Evgenij Varga e la direzione di "Fortune" sono in una posizione di avanguardia. Non sono paralizzati dal complesso della decadenza. Non indugiano con compiacenza in un pensiero ozioso. Non immaginano che il mondo sia assurdo e che la vita non meriti di essere vissuta. Essi credono fermamente nella virtù del progresso, camminano diritto verso un aumento indefinito del potere dell'uomo sulla natura. Hanno dinamismo e grandezza, hanno una visione ampia se non alta. Si susciterebbe scandalo dicendo che Varga è fautore della libera iniziativa e che la redazione di "Fortune" è composta di progressisti. Nel senso europeo, strettamente dottrinale, è tuttavia vero. Se ci riferiamo ai nostri modi di vedere meschini e provinciali, Varga non è comunista, "Fortune" non è capitalista. Il russo e l'americano responsabili hanno in comune l'ambizione, la volontà di potenza e un insopprimibile ottimismo. Queste forze manovrando le leve delle scienze e delle tecniche fanno saltare i quadri della sociologia costruiti nel secolo XIX.
Se l'Europa occidentale dovesse crollare e perdersi nei conflitti bizantini - che Dio non voglia -, la marcia in avanti dell'umanità non si arresterebbe, ma manderebbe in pezzi le strutture e fonderebbe una nuova forma di civiltà tra i due nuovi poli della coscienza attiva che sono Chicago e Taskent, mentre le immense masse d'Oriente, e poi dell'Africa, sarebbero forgiate. Mentre in Francia uno dei nostri migliori sociologi piange su Le travail en miettes, titolo di una sua opera, i sindacati americani studiano la settimana di venti ore. Mentre gli intellettuali parigini sedicenti di avanguardia si domandano se Marx deve essere superato, ο se l'esistenzialismo è ο non è un umanesimo rivoluzionario, l'istituto Sternfeld di Mosca studia l'impianto dell'umanità nella Luna. Mentre Varga attende il crollo degli Stati Uniti annunciato dal profeta, i biologi americani preparano la sintesi della vita partendo dall'inanimato. Mentre si continua a porre il problema della coesistenza, il comunismo e il capitalismo stanno per essere trasformati dalla più possente rivoluzione tecnologica che, senza dubbio, la Terra abbia conosciuto. Abbiamo gli occhi dietro la testa. Sarebbe tempo di collocarli al loro posto.
L'ultimo sociologo possente e ricco di fantasia fu senza dubbio Lenin. Egli aveva giustamente definito il comunismo del 1917: "È il socialismo più l'elettricità". È passato più di mezzo secolo. La definizione è ancora valida per la Cina, l'Africa, l'India. È lettera morta per il mondo moderno. La Russia attende il pensatore che descriverà l'ordine nuovo: il comunismo più l'energia atomica, più la sintesi dei carburanti e degli alimenti partendo dall'aria e dall'acqua, più la fisica dei corpi solidi, più la conquista delle stelle, ecc. John Buchan, dopo avere assistito ai funerali di Lenin, annunciava la venuta di un altro Veggente, che avrebbe saputo promuovere un "comunismo a quattro dimensioni".
Se la Russia non ha un sociologo pari alla sua statura, l'America non è meglio fornita. La reazione contro gli "storici rossi" della fine del secolo XIX ha portato sotto la penna degli osservatori il franco elogio delle grandi dinastie capitalistiche e delle organizzazioni potenti. C'è sanità in quella franchezza, ma la prospettiva è limitata. Le critiche dell' "American way of life" sono rare, letterarie, e procedono nel modo più negativo. Sembra che nessuno spinga l'immaginazione fino a veder nascere attraverso questa "folla solitaria" una civiltà diversa dalle sue forme esterne, fino a sentire uno scricchiolio delle coscienze, l'apparizione di nuovi miti. Attraverso l'abbondante e straordinaria letteratura detta di fantascienza, si distingue tuttavia l'avventura di uno spirito che esce dalla adolescenza, si piega alla misura del pianeta, si impegna in una riflessione su scala cosmica e colloca diversamente il destino dell'uomo nel vasto universo. Ma lo studio di una tale letteratura, così paragonabile alla tradizione orale degli antichi narratori, e che testimonia moti profondi dell'intelligenza in cammino, non è cosa seria per i sociologi.
Quanto alla sociologia europea, essa resta strettamente provinciale: tutta l'intelligenza è polarizzata su contrasti campanilistici. In queste condizioni non c'è da meravigliarsi che le anime sensibili si rifugino nel catastrofismo. Tutto è assurdo e la bomba Η ha posto fine alla storia. Questa filosofia che sembra contemporaneamente sinistra e profonda è più maneggevole dei pesanti e delicati strumenti dell'analisi del reale. È una passeggera malattia del pensiero in uomini civili che non hanno adeguato la loro eredità di nozioni (libertà individuale, persona umana, felicità, ecc.) allo spostamento di fini della civiltà in divenire. È una malattia nervosa dello spirito, nel momento in cui lo spirito, alle prese con le proprie conquiste, deve non perire, ma mutare struttura. Dopo tutto, nella storia dell'umanità non è la prima volta che la coscienza deve passare da un piano all'altro. Ogni fucina è dolorosa. Se c'è un avvenire, merita di essere esaminato. Ε in questo presente accelerato la riflessione non deve essere fatta riferendosi al vicino passato. Il nostro prossimo futuro è tanto diverso da ciò che abbiamo conosciuto, quanto il secolo XIX era diverso dalla civiltà maya. Dobbiamo dunque procedere con incessanti proiezioni nelle più grandi dimensioni del tempo e dello spazio, e non certo con confronti minuscoli in una infinita frazione, in cui il passato recentemente vissuto non ha alcuna delle proprietà dell'avvenire, e in cui il presente è appena incarnato che già sprofonda in quell'inutilizzabile passato. La prima idea veramente feconda è che vi è uno spostamento di fini. Un cavaliere delle crociate, se tornasse fra noi, domanderebbe subito perché non si utilizza la bomba atomica contro gli infedeli. Di cuore fermo e di intelligenza aperta, alla fine dei conti, egli sarebbe sconcertato meno dalle nostre tecniche che dal fatto che gli infedeli hanno ancora metà del Santo Sepolcro, mentre d'altra parte l'altra è nelle mani dei Giudei. La cosa che non capirebbe è una civiltà ricca e potente, la cui ricchezza e poptenza non siano esplicitamente consacrate al servizio e alla gloria di Gesù. Che cosa gli direbbero i nostri sociologi? Che questi immensi sforzi, battaglie, scoperte hanno come unico obiettivo di elevare il livello di vita di tutti gli uomini? Questo gli sembrerebbe assurdo dal momento che questa vita gli apparirebbe senza scopo. Gli parlerebbero ancora di Giustizia, di Libertà, di Persona Umana, gli reciterebbero l'evangelo umanistico-materialista del secolo XIX. Ε il cavaliere indubbiamente risponderebbe: ma la libertà per fare che cosa? La giustizia per fare che cosa? La persona umana per che farne? Perché il nostro cavaliere vedesse la nostra civiltà come una cosa degna di essere vissuta da una anima, non bisognerebbe tenere con lui il linguaggio retrospettivo dei sociologi. Bisognerebbe tener con lui un linguaggio prospettico. Bisognerebbe mostrargli il nostro mondo in cammino, l'intelligenza in cammino, come il formidabile sconvolgimento di una crociata. Ancora una volta si tratta, di liberare il Santo Sepolcro: lo spirito prigioniero della materia; e si tratta di cacciare l'infedele: tutto ciò che è infedele all'infinito potere dello spirito. Si tratta sempre di religione, di rendere evidente tutto ciò che lega l'uomo alla sua propria grandezza, e questa grandezza alle leggi dell'universo. Bisognerebbe mostrargli un mondo in cui i ciclotroni sono come le cattedrali; in cui le matematiche sono come un canto gregoriano; in cui si operano trasmutazioni, non soltanto in seno alla materia, ma nei cervelli; in cui le masse umane di ogni colore si scuotono; in cui l'interrogativo dell'uomo fa vibrare le sue antenne negli spazi cosmici; in cui l'anima del pianeta si sveglia. Allora il nostro cavaliere non chiederebbe; forse, di ritornarsene verso il passato. Forse qui si sentirebbe nel suo ambiente, ma soltanto collocato ad un altro livello. Forse si slancerebbe verso l'avvenire, come nel passato si lanciava verso l'Oriente, avendo ritrovato la fede, ma ad un grado diverso.
Guardate dunque ciò che viviamo! Sorvegliate i vostri occhi! Fate luce su queste ombre!
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[1] W. Goethe: Faust - (Trad. G. Scalvini).
[2] Teilhard de Chardtin tel que je l’at connu di G. Magloire, sulla rivista "Synthèse", novembre 1957.
[3] Frutto tropicale, a forma di lunga zucca, che, secco e svuotato, serve da recipiente. (N. d. T.)
[4] Vocabolo indiano che significa maestro spirituale. (N. d. T.)
[5] Uno dei segni più sconcertanti dell'apertura che si produce nel campo della fisica è l'introduzione di ciò che si definisce numero quantico di "stranezza". Ecco sommariamente di che cosa si tratta. All'inizio del secolo XIX si pensava ingenuamente che due numeri, al massimo tre, bastassero per definire una particella. Questo numero sarebbe stato la sua massa, la stia carica elettrica, e il suo momento magnetico. La verità era lungi dall'essere così semplice. Per descrivere completamente una particella è stato necessario aggiungere una grandezza intraducibile in parole e che si disse spin. Si era creduto dapprima che quella grandezza corrispondesse a un periodo di rotazione della particella su se stessa, qualche cosa che per il pianeta Terra, per esempio, corrisponderebbe al periodo di ventiquattro ore che regola l'alternarsi del giorno e della notte. Ci si è accorti che nessuna spiegazione semplicistica di questo genere poteva reggere. Lo spin era soltanto lo spin, una quantità di energia. Legata alla particella, che si presentava matematicamente come una rotazione senza che qualche cosa nella particella ruotasse.
Dotti studi, dovuti soprattutto al professor Louis de Broglie, sono riusciti a spiegare solo parzialmente il mistero dello spin. Ma improvvisamente ci si è accorti che fra le tre particelle conosciute: protoni, elettroni, neutroni (e le loro immagini speculari, antiprotone negativo, positrone, antineutrone), esistevano una buona trentina di altre particelle. Ι raggi cosmici i grandi acceleratori ne producevano enormi quantità. Ora, per descrivere queste particelle, i quattro numeri abituali, massa, cariche, momento magnetico, spin, non bastavano più. Bisognava creare un quinto numero, forse un sesto, e così di seguito. Ed è in modo del tutto naturale che i fisici hanno chiamato queste nuove grandezze numeri quantici di "stranezza". Questo saluto all'Angelo del Bizzarro ha qualche cosa di grandemente poetico, Come molte altre espressioni della fisica moderna quali "Luce Interdetta" e "Altrove Assoluto", il "numero quantico di stranezza" ha prolungamenti di là dalla fisica, legami con le profondità dello spirito umano.
[6] Uno degli aspetti della Τhéorie unitaire di Jean Charon.
[7] Eric Temple Bell, Le flot du temps, Gallimard, Parigi.
[8] R. P. Dubarle, Dibattito radiofonico, 12 aprile 1957.