Chi legge "esamini tutto, ma ritenga solo ciò che è giusto".

La mente non è un vessillo da riempire, ma un fuoco da accendere.

domenica 17 giugno 2012

IUS 51






«Prendi, se così devi, questo fastello di sogni;
sciogline la corda, ed essi ti si avvolgeranno attorno».
William Butler Yeats - The Rose, 1893



Precipitavo in un pozzo scuro senza fine apparente. Largo tre metri di diametro, sembrava fatto di roccia levigata da mani umane. Cadevo velocemente e non riuscivo a mantenere un assetto lineare. Dapprima a testa in giù, poi rotolando cinque o sei volte, ancora di lato e supino, ero completamente in balia della gravità. Strillai come un figlio piccolo.

Scandurra, nelle prime istruzioni per oltrepassare le botole, ci suggeriva, in caso di attraversamento di pozzi o camini per la verità non rari, di fare il morto a galla, di non tentare assolutamente altre manovre, se ci abbandonavamo si sarebbero verificate specialissime condizioni fisiche: l'energia tangenziale e l'energia radiale presenti in tali condotti, divenivano complementari. Un po' sgomento mi abbandonai nel vuoto, che poi proprio vuoto non era. Una mano invisibile mi sostenne immediatamente.

Quando ci liberiamo dalle sovrastrutture create ad arte dal processo di acculturazione del sistema e non facciamo più resistenza a ciò che è ancestrale e vive in esilio dentro di noi, allora tutto si accende. Esso è il sole che fa crescere tutto, la linfa che ci nutre all’interno.

L'energia del luogo mi condusse a velocità sopportabile, planavo a pancia in giù come il tiro a foglia morta di Mariolino Corso, a distanza di sicurezza dalle pareti del pozzo. Scomparve la paura. Controllavo completamente la situazione. Una leggera luminescenza mi avvolse e vidi, così, il termine del percorso. Atterrai in una piazzola sotterranea circolare, poco più ampia del pozzo. Dietro di me una porta con grata di ferro di un metro e ottanta, indicava senza equivoci l'unica via di uscita. La raggiunsi e tentai di spingerla senza esito. Non aveva serratura, pareva incastrata. La tirai, niente. Poi, dopo qualche secondo di turbamento, mi accorsi che non aveva cardini. Le sbarre erano infilate nella roccia. Al di là della porta, c'era un tratto di strada rettilineo e per venti metri si poteva ancora distinguere. Cosa potevo fare? Prenderla a spallate mi sembrò una buona idea... Presi una breve rincorsa e mi schiantai addosso alle sbarre. Rimbalzai all'indietro come una palla di gomma. Era tosta come... una porta di ferro, appunto. E adesso? Cosa mi rimaneva da fare? Non possedevo quel potere, veramente unico di Scandurra di trovare sempre e ovunque quelle piccole fessure interdimensionali a corto raggio, ma sufficienti a spostarsi per diverse decine di metri e sventare qualsiasi pericolo.

Mi sedetti tutto indolenzito al centro della piazzetta. La luminescenza che mi permetteva di vedere al buio, stava esaurendosi. Tentai allora di chiamare Scandurra con schemi d'energia psichica già sperimentati con successo. Ma lo stato di coscienza alterato mi impedì di visualizzarli. Dovevo ritrovare il mio centro. Quando perdi l'equilibrio, attaccati al tuo centro e non cadrai. Già, ma proprio perché avevo perso il mio centro, non avevo più equilibrio. Insomma, la mia testa girava come un elica e non trovavo pace. Poi una speranza si fece strada: Scandurra sarebbe comparso per portarmi via. L'aveva fatto in precedenza. Lui sentiva, eccome, ogni cosa di suo interesse e mai ci avrebbe abbandonato al nostro destino. Facevo parte dell'anonima talenti, cacchio!

Passarono minuti e poi ore. Niente, Scandurra sembrava affaccendato in altre faccende. Ero intrappolato chissà dove, senza poter fare alcunché. Pensa, Angelo, pensa. Meglio, abbandonati, Angelo, abbandonati, fai scorrere il lumen e così tutto si rischiarerà. L'alone magico di luce mi avvolse di nuovo. Un cappotto caldo per giorni di freddo intenso. Scintillavo come un lampione. Mi avvicinai alla porta, la spinsi leggermente ed essa cadde in avanti come un ferro vecchio insieme a pezzi di roccia. Un gioco da ragazzi.

Il lumen ci tira fuori da ogni guaio. Diciamo: è tremendamente efficace quando ci imbattiamo nella fanga puzzolente che la Vita, a volte, ci vomita addosso. Una potenza che Scandurra ci ha trasmesso per utilizzarla sia quando ci troviamo in seria difficoltà, sia per il prossimo bisognoso. Possiamo, infatti, orientarla verso chi si trova a mal partito, convergendola sulla sua anima per deviare le forze del kaos. Non tutto è permesso. Non sempre si riesce a cambiare sostanzialmente le linee destinali delle persone, tuttavia anche una pur piccola deviazione lungo la strada della Vita e si attenuano le energie distruttrici. Un dono immenso al servizio degli altri. Dio crea persone come Scandurra per alleviare la sofferenza degli universi, per bilanciarli. Il mio maestro non è un santo, almeno nell'accezione religiosa del termine. Anzi, spesso mi pare che si comporti ai limiti della morale corrente. Forse non riusciamo a capirlo fino in fondo. Quel che è certo, anziché vivere come tanti stronzi che tiranneggiano il prossimo, accumulando ricchezze materiali e facendosi una posizione, Scandurra sceglie di viaggiare negli universi a raddrizzar torti e a far casino (leggi: intricare le strategie dell'Ombra). Non so nemmeno come inquadrarlo sul piano iniziatico, ma etichette e classificazioni dei metafisici gli vanno comunque stretti. Fuori classe, outsider, briccone divino, mago, sciamano di provincia, folle-saggio: semplicemente Scandurra.

Un particolare mi ha incuriosito sin dalla prima ora: la serenità con cui Scandurra affronta il Grande Ignoto. I motivi per cui non prova sgomento di fronte a spettri e magie, sono più di uno. Nel maestro è presente un altro registro, più nascosto e arcaico, che entra in attività di fronte alla provocazione dell’ignoto. Scandurra sa che la quotidianità è ambigua, duplice, fluida, esiste sempre qualche faglia temporale dove ci si può perdere. Quando la civiltà, appollaiata in cima alla propria idea di realtà vacilla e crolla su se stessa, ecco che tornano alla luce tutti i mostri dimenticati e prende il sopravvento la faccia oscura della vita. In fondo per lui non è importante che non si creda, ma che non si tremi. Egli non mette mai in dubbio l’esistenza di forze misteriose ma anche di fronte ai più terribili portenti si comporta come se il nemico fosse uno qualunque, senza paura e senza perdere la speranza di combatterle e di vincerle. È quasi curioso vederlo che, pur in difficoltà di fronte a entità barontiche, mantiene il suo comportamento e la fiducia nelle proprie conoscenze e capacità. Le manifestazioni magiche e metapsichiche, oltre a quelle sovrannaturali atterriscono solo chi non ci crede, mentre chi è disposto ad accettarle, ammettendo che possa esistere qualcos’altro oltre al mondo che ci circonda, sfugge alla morsa del terrore, e trova proprio nella sua accettazione la forza di reagire alla minaccia dell’ignoto. Questa è esattamente la reazione di Scandurra: la magia dell'Ombra, i fenomeni sovrasensibili, i fatti che la scienza non può spiegare, non lo impressionano più di tanto, perché è disposto ad accettarli. Quindi tutt’altro che “scettico” o “credulone”, la sua mente non si fossilizza sulle verità imposte dal razionalismo, invece mantiene un’elasticità di giudizio che, lungi da farne un bevifrottole, gli permette di estendere il confine del reale oltre il limite stabilito dai nostri cinque sensi. Va comunque detto che quando i meno attrezzati si recano da lui a bottega, curiosi schizzati velleitari fissati e desiderosi di potere, Scandurra non li asseconda minimamente, anzi. Il pericolo è che a leggere e praticare certa roba senza i dovuti accorgimenti e privi di saldezza interiore, ci si espone a determinate influenze. Dopo un po’ l’esoterismo si rivela per quello che in buona parte è: un’agenda piena di indirizzi di esseri ostili.
Per non farci ossessionare da enti occulti e larve, lungo e complicato è l'allenamento magico a cui ci sottopone Scandurra. Semplice nell'enunciazione, tortuoso nella pratica. Il risveglio dell'anima avviene ora, in questo mondo, grazie a un atto di conoscenza: l'immaginazione. L'anima assorbita dalle esperienze comuni si accartoccia, si dilacera, ma l'immaginazione può ri-allinearla, scioglierla dal suo stato miserando. L'Arte e Madrenatura ci vengono incontro. Facendoci inondare da immagini di pace e di potenza, si attinge ad un piano esoterico. Se non ci facciamo guidare da questi archetipi – Scandurra li chiamava segni stellari – rischiamo di perdere il contatto con la Realtà: quando ci ritiriamo in noi stessi, isolandoci da ogni stimolo esterno, emergono immagini vorticose che ci rapiscono, perché provengono da un abisso senza Dio. Il piano sottile si raggiunge grazie allo stato meditativo, che ci fa muovere col cosmo. Affluiranno immagini. Dobbiamo però dare loro ordine. Ecco allora l'uso del simbolo magico, dell'archetipo. Durante l'apprendistato, il maestro ci consegna delle piante officinali che trova nelle campagne viterbesi, da lui considerate tra le più magiche del mondo, e prima di raccoglierle recita una preghiera o sussurra il nome dell'angelo giornaliero. Le mettiamo sotto il cuscino la sera, prima di coricarci. Esse danno intelligenza ai simboli evocati marcando il territorio magico.

Mi misi in marcia di buzzo buono. I timori si erano dileguati. Mi caricai di luce. Bella sensazione, davvero. Feci dieci quindici passi e mi trovai fuori, all'aperto. Ero uscito da un tumulo, o almeno ci somigliava parecchio. Di fronte a me una casa a due piani sotto un cielo verderosso. Assomigliava a quelle dimore di legno tipiche della provincia americana. Un bel tetto, un porticato, grandi finestre... una finestra della veranda era illuminata. C'era qualcuno. Oh, oh! E adesso? Che significato aveva la mia presenza in questo posto? Perché quello strano figuro incappucciato mi aveva catapultato lì? Parcheggiata di fianco alla casa, c'era un automobile blu dal profilo arrotondato, in perfetto stile anni cinquanta. Ritenni naturale, non so per quale precisa considerazione, avvicinarmi e bussare. Non avvertivo niente di avverso e tutto lasciava intendere che mi trovassi sulla Terra. La struttura abitativa era quanto di più umano, di più normale potesse esistere. La porta si aprì e il padrone di casa era un extraterrestre...