Chi legge "esamini tutto, ma ritenga solo ciò che è giusto".

La mente non è un vessillo da riempire, ma un fuoco da accendere.

venerdì 20 gennaio 2012

IUS 47 - RITORNO A DEYA




''Col ricordo risvegli i sensi''.
Scandurra

''… ce l'hai presente il bumeranghe, sì, quello che usano l'australici? Beh, il suo baricentro si trova dove non c'è massa, al di fuori di esso: così è per lo spirito dell'uomo''.
Scandurra

''… gli atlantidi c'avevano una conoscenza tale
da illuminare a festa la Via Lattea, o da farla esplodere. È bene giungere così in alto? L'uomo saprà mai contentarsi del giusto?''.
Scandurra


Deya mi mancava. La città-labirinto, crocevia dell'universo dove il Grande Tempo scolpiva la materia, luogo di mille intrighi, di ordini oscuri e di luminosi esseri, rappresentava il centro della conoscenza. Deya, nome magico che mi risuonava dentro. Forse avrei rivisto Ranna. Quella tipa così distante, altera, nobile, mi affascinava.
Ci inoltrammo nel bosco. Ogni tanto Scandurra si soffermava a tastare un frutto per vedere se fosse maturo (deformazione professionale?); staccava un ramo a 'V' e lo imboscava nel cappottone; sfiorava un fiore a calice e palpeggiava il tronco di un albero; spianava col piede un piccolo 'montarozzo' di terra fresca. Insomma, aveva comunque qualcosa da fare e quello che faceva sembrava avere un senso, ben al di là delle apparenze. Conosceva ogni piazzola, sentiero, fosso che incontravamo. Un perfetto viaggiatore di mondi e universi, senza passaporto perché di casa dappertutto.

La temperatura si faceva più tiepida all'imbrunire. Gli odori erano forti e spade di luce rossoviola attraversavano le fronde e toccando terra sembravano continuare il loro viaggio altrove. A mala pena si intravedevano movimenti di animali – o chissà che altro – tra gli arbusti.

    - Caro Angelo, se non vi fossero due opposti non sarebbero possibili i campi di forza. 'Ste forze agiscono in parallelo per coesistere, altrimenti non potrebbe circolare l'energia, né scorrere le correnti luminose e tenebrose nel cosmo ed in ogni dimensione. Se vuoi scacciare il diavolo devi scaldare l'acqua santa col fuoco. Dappertutto le forze tendono ad equilibrarsi e ad annientarsi in specifici ritmi di aggregazione e disgregazione. Queste sono le leggi delle materie oscure. Tienile bene a mente, ti serviranno presto.
    - Scusami Scandurra, sono un po' confuso...
    - In fondo... tutto si riduce a una misurazione di forze.

Intanto mi indicò di sedermi ai piedi di una roccia grigionera che non sembrava così naturale, conficcata nel bel mezzo di un piccolo spiazzo. Un menhir messo lì non certo a caso, magari ad indicare un … campo di forza, appunto.

    - Ricevi in questo modo lo spirito del luogo. Un lasciapassare per essere accolto come amico. Non si entra a casa degli altri senza prima bussare.
    - Che genere di abitanti si trovano qui?
    - I senzacorpo... spettri... adesso seguirò le loro impronte spettrali per cercare un contatto.
    - Perché? Cosa ci debbono dire?
    - Sono io che devo informarli su certe cose.
    - Spettri dici, sono quindi anime di defunti?
    - No, sono antichi abitanti del posto legati a questo piano anche quando cambiano di stato. Spettri che mantengono un centro di coscienza sostenuto da un'energia quasi infinita. La loro vita continua senza per questo abbandonare il posto dove hanno vissuto prima.
    - Ma li posso vedere anche io?
    - Se c'hai core [coraggio]...

Ecco di nuovo una prova. Ogni passo, un incontro fatidico. Scandurra ad un certo momento prese dalla tasca del cappotto un pugno di terriccio giallastro, lo gettò per terra e si accovacciò. Premette le mani su quel composto. Era il suo rituale. Le mani aperte, parallele con le dita separate: segno ancestrale di quelli che erano in contatto con le ombre. Mani, ponti con l'aldilà. Mormorò una frase incomprensibile che produsse un effetto risonanza, poi si alzò e attese.

Mentre sostavo ai piedi del masso, mi venne in mente un episodio, uno dei tanti, in cui provai un'emozione travolgente. La primavera dell'anno scorso, Scandurra ci portò a noi dell'anonima, sul Monte Venere in prossimità del Lago di Vico, a pochi chilometri da Viterbo. Raggiungemmo una serie di grossi massi naturali (forse) vicini alla sommità; da lì potevamo ammirare quella magica terra al tramonto.

    - Questa è l'ora buona per vedere le porte del cosmo aprirsi in tutto il loro splendore. Mettetevi a cerchio e prendete le distanze a braccia aperte... come a scuola. Il cerchio chiama il punto che spinto con decisione mette in moto l'ingranaggio... è tutta una questione di misurazione di forze.

Così facemmo. Eravamo in quell'occasione in nove. Sei maschi e tre femmine, di età diverse ma tutti accomunati dallo stesso ardore. Sebbene fosse caldo, un venticello fresco ci colpì ad altezza collo. Un tuono profondo ci scosse, proveniva da est. Il cielo era sereno. Di seguito, un altro tuono più forte ancora ci raggiunse dalla stessa direzione. La terra sotto i nostri piedi tremò. Guardai un po' preoccupato i compagni e una sorta di tremore circolò fra noi. Cosa stava per succedere? Quale diavoleria ci serviva Scandurra?

  • Bene, ora possiamo ritornare alle nostre macchine – ci invitò Scandurra divertito.
  • Tutto qui? - fece Claudia.
Ci precedette il maestro con la sua andatura caracollante. Tra di noi ci scambiammo qualche commento di sorpresa mista a delusione. Raggiunte le tre automobili accostate ai bordi del sentiero montano, ci salutammo un po' interdetti e procedemmo lentamente sullo sterrato verso la provinciale. Quando, come apparso dal nulla, incrociammo un magnifico cavallo baio guidato da un cavaliere con tunica rossa e calzari, come nei film mitologici di Maciste ed Ursus. Sembrava una comparsa di Cinecittà.

  • Ma che girano un film? - feci io.
  • Boh? Mi sembra 'na carnevalata. Grande, grosso e cojone. A quell'età ancora si traveste da saettone [bamboccione giocherellone] – rispose Quintilio.

Il tizio sul cavallo si fermò dopo averci superato. Lo vedemmo dallo specchietto scendere da cavallo. Ci osservava con atteggiamento sorpreso.

  • È un atlantideo. Si chiama Rameter, un portaordini.
  • Chi è? Non ci canzonare maestro. Va bene che ci devi addestrare ma...

Scandurra fermò la sua 500 e così fecero gli altri al seguito. Uscimmo tutti. Il maestro si diresse verso quell'uomo. Distava da noi 15metri circa. Alto, muscoloso e dalla folta capigliatura legata dietro, parlottava sottovoce col nostro mentore. Ci chiedemmo se tutto questo fosse una presa in giro per metterci alla prova. Di cosa, poi. Il fruttarolo folle ritornò con fare truffaldino e si mise al volante dell'auto. Il baldo cavaliere rimontò a cavallo e proseguì la sua corsa. Raggiunto il Passamontagna, incrocio tra Viterbo e Ronciglione, ad uno di noi gli si accese la lampadina:

    - Ma avete notato che non c'è più l'asfalto stradale? Siamo passati su di una strada sterrata. Che fine ha fatto la provinciale?
    - Vedrai, durerà per poco. Se scendi verso città, a pochi decine di metri ritroverai la strada normale insieme al tempo normale – rispose ridacchiando Scandurra.
    - Vuoi dirci che abbiamo vissuto un'esperienza nel lontano passato dell'umanità?
    - No, abbiamo aperto una breccia nel Tempo e un mondo affiancato si è mostrato a noi.

Ci fermammo alla piazzola del Passamontagna. Non volevamo andar via da quel mondo antico. Ci rifiutavamo di imboccare la via per Viterbo. Avevamo paura di lasciarci alle spalle un'epoca spettacolare, dove gli atlantidi dominavano su quella terra che fu poi degli Etruschi (colonia rossa anch'essa). Con dovuto rispetto, mi rivolsi a Scandurra:

    - Maestro, cosa succederebbe se rimanessimo in questo mondo antidiluviano?
    - Dieci abitanti di qui dovrebbero passare nel ventesimo secolo e non sarebbe nemmeno risolto il problema... è complicato assai, ma soprattutto non è giusto. Abbiamo da fare delle cose importanti, non possiamo abbandonare un mondo agli sgoccioli. Non è per caso se state acquisendo le materie oscure, non lo dimenticate. Il fuoco va tenuto sempre acceso, soprattutto quando tutto si oscura intorno a noi.

Rientrammo tutti nelle nostre macchinette, abbacchiati e delusi, quando un qualcosa, un movimento improvviso dietro di noi ci fece girare la testa verso il lago. Un'aeronave immensa quanto lo specchio d'acqua dei Cimini, si alzò verso il cielo, si fermò a poche centinaia di metri dalla superfice del lago per cinque secondi, non di più, e poi sparì alla nostra vista in un lampo. Dal movimento dell'acqua capimmo che era decollata dal fondo del Lago di Vico. Magnifica nella sua complessità aerodinamica, non sembrava però extraterrestre. Non ci spiegammo perché, apparteneva comunque a questo mondo, magari di una grande civiltà: Atlantide, appunto.

Quintilio chiese spiegazioni al maestro:

    - Come mai fanno uso di cavalli e poi viaggiano in astronave? Oppure sono popoli diversi, dei regrediti insieme a dei supersviluppati?
    - Si può viaggiare a piedi o a cavallo e percorrere centinaia di chilometri in pochi minuti e navigare tra le stelle con lo stesso principio. L'importante è conoscere il mistero del tempo e dello spazio, il resto è un gioco da ragazzi.
    - Come mai gli atlantidi bazzicavano pure la Tuscia?
    - Qui fanno delle ottime frittate con gli strigoli. Le erbette di campo così, le trovi in poche parti del mondo... eh eh eh. Il territorio nostro è particolarmente prezioso. Da qui si viaggia che è una bellezza. È il posto più prossimo alla serie di mondi tangenti. Le botole sono ricettive e funzionali, che io sappia non ci sono stati incidenti di immersioni in varchi interdimensionali, fatta eccezione per non graditi ospiti. La terra che vi tiene è viva, porosa, mista di materia densa e tenue. Più in generale, i popoli si muovono per conoscere o per conquistare e a volte per entrambe le ragioni. E quando la terra sembra troppo piccola si punta verso le stelle e poi, beh e poi ti aspettano altri universi. Siamo viaggiatori nati, fino a quando non troviamo un bel posticino e con l'amore della nostra vita viviamo soddisfatti e in pace. È quello che auguro a tutti voi.

Nella conca del cielo ardeva il tuono. Tornammo sull'asfalto della strada Cimina a riveder la nostra amata cittadina, interscalo cosmico non segnalato sulle mappe. Giunti a Piazza del Comune, entrammo gongolanti al Bar Centrale. Era ora di cena e qualcuno di noi volle consumare un pasto adeguato, altri se ne tornarono a casa. Quei quattro avventori presenti al bar ci facevano tenerezza, perché ignari di quante cose immense e sublimi si nascondevano dietro le pieghe del tempo e dello spazio. Le esperienze mirabolanti non ci insuperbivano, anzi, ci sentivamo piccoletti di fronte all'infinito. Acquistavamo pian piano un respiro cosmico, una veduta più ampia e profonda della realtà. Emergevano bruciandosi, come in un'Opera al Nero, in tutta la loro inutilità le nostre miserie, le invidie, gli orgogli, le brame di possesso; prendevamo così le dovute distanze dalle cose comuni, senza rimpianti. Non ci sfiorava nemmeno l'idea di lucrare su quanto in nostro possesso. Possedere, che brutto verbo. La Vita andava vissuta senza frontiere e la gioia era nel vedere che ''tutto abbiamo in prestito'' e che ci aspetta qualcosa di diverso, di elevato, ben lontano da tutte le filosofie e scienze del mondo. Le fessure, o meglio, le brecce che Scandurra apportava alla struttura del reale, servivano a connetterci con le storie di altre civiltà, antichissime o in divenire. Crescevamo e in questo fermento qualcosa si risvegliava in noi. La memoria di ciò che eravamo, ben oltre quel sistema di significato chiamato 'cultura' che ci imprigionava. Ci diceva:

- Rinunciate senza sforzo a ciò che è conosciuto, usatelo solo là dove è necessario, siate abbandonati, lasciate ogni presa, ogni identificazione; solo così aperti, sinceri, seri e senza maschere, solo così i vincoli cadono e le ali si sciolgono libere, e noi si è librati in volo, senza lasciar tracce, senza ricompensa, liberi nel cielo che è il sacrale del mistero. Essere idonei a riceverlo è tutto: se in noi c'è l'ordine, l'armonia come nella stanza pulita, con le finestre aperte, allora il vento profumato dei diecimila fiori di Deya entra e tutto compenetra. Vivete in voi non come vi dico ora, vivete in voi come avvenimento nuovo, originale perché originario, che sia vostro non mio, che sia vostra scoperta. La realtà per ciascuno è l'esperienza viva, è la cosa appresa ora. Liberatevi dalla corrente del mondo che travolge tutti, donando senza ricompensa, amando senza ricerca del piacere. Si è vero uomo, maestro con la maestria del comprendere, con la maestria dell'agire, con la maestria che con l'amore è perpetua libera creazione.

Con Scandurra ci affacciavamo sull'ignoto ed esso era grande.

Mi destai dall'onda del ricordo, quando una leggera pressione mi colpì la faccia e la testa. Un senzacorpo si stava avvicinando velocemente verso di noi. Ma come diavolo potevo vedere uno spettro se non possedeva un corpo? Semplice, c'aveva comunque una forma. Una sagoma umanoide multicolore, cangiante che lasciava una scia di particelle luminose, come nei cartoni animati di Walt Disney. Pura elettricità mossa da una coscienza, forse un'anima allo stato puro, chissà. Alta tre metri, illuminava tutto il boschetto in cui ci eravamo accampati. Guardai preoccupato Scandurra. Lui chinò il capo in segno di rispetto e salutò allargando le braccia a croce. Lo stesso fece la sagoma elettrica, poi si girò velocemente verso di me. Scattai subito in piedi e salutai in tutta fretta. Ricambiò un po' seccata. Così mi sembrò.

  • Si chiama Ha LL Fast, nome che riproduce la sua frequenza vibratoria. Se la pronunci come si deve, lei ti sente ovunque tu sia. Vibrazioni subspettrali ovviamente, essendo spettri eh eh, che viaggiano tra le botole senza limiti né impedimenti.
  • È una donna? - feci io.
  • Mah, è difficile definirla così. Era comunque una bonazza quando c'aveva il corpo, ma alta com'era mi sentivo troppo ciuco [piccolo], adesso poi...
  • Perché, adesso sono repellente? - una voce bellissima, gentile, dai toni alti, provenne dalle parti di quell'essere elettrico.
  • No, no, anzi. Però cara mia, avevo difficoltà quando eri di ciccia, figurati adesso che pari un fulmine.