1.
Dopo duemila anni, il sacrificio di Cristo è ancora presente nel nostro encefalo, dentro le nostre cellule, fa parte di noi, al di là di qualsiasi credo religioso. Forse, grazie a questo, godremo di un qualche genere di salvacondotto quando il varco previsto per la fine del 2012 si aprirà e ci inghiottirà trascinandoci nella grande mareggiata cosmica. Non bisogna dirsi cristiani, cattolici o ebrei, islamici o indù: siamo tutti portatori di cellule cristiche.
2.
Le interferenze del sovrannaturale nella nostra realtà si stanno verificando oggi più che mai. Và anche detto che esse sono di duplice segno, e proprio per questo dobbiamo aprire l'occhio del cuore per riconoscerle, onde evitare illusioni e trappole. Questa raccomandazione tanto più è valida per chi si avventura per le vie del Grande Ignoto. Ci sono forze spirituali oggettive nemiche dell'uomo, contro le quali è necessario combattere con le armi in dotazione da sempre e cioè fede e conoscenza. Non credo in chi sostiene che il male è complementare del bene e che quindi andrebbe trasformato; o peggio, che non esiste perché tutto fa brodo. Ho imparato a mie spese.
3.
Una Tradizione "che non sia anonima, non sia generica, non sia opinabile, non sia immaginaria, non sia volubile, non sia inesistente, ma porti chiaramente impresso uno dei nomi seguenti: Cristianesimo, Giudaismo, Islamismo, Buddismo, Confucianesimo, Taoismo, Parsismo". "Tutte queste famiglie possono, più o meno, ricondursi alla Tradizione originaria, o Tradizione adamitica" (Articolo di Silvano Panunzio pubblicato su Carattere, riprodotto su L’Alfiere, n. gennaio 1966, pp. 7-8.)
4.
Stiamo entrando in un ciclo di epoche in cui l’anima femminile diventerà sempre più pura e grande, in cui più e più donne diventeranno ispiratrici profonde, madri sensibili e leader sagge e visionarie. Questo sarà il ciclo d’epoche in cui la componente femminile dell’umanità si manifesterà con forza senza precedenti, bilanciando il dominio precedende di forze maschili in una armonia perfetta.
Daniil Andreev, 1950s, Roza Mira (The Rose of the world)
5.
Ho conosciuto Scandurra a 16 anni, mosso dall'aspirazione alla conoscenza. Mi ha accolto come si accoglie un uomo di desiderio, guardando oltre il ragazzotto timido e confuso. Nei suoi insegnamenti ho incontrato il grande Giroscopio Cosmico, colui che indica una via, che offre senza chiedere nulla in cambio. Scandurra faceva agire la luce che toglie la materia dalla tenebra. Non giudicava se non per dare un indirizzo, non chiedeva niente, non ti attirava nei suoi pensieri e sentimenti, non ti offriva una concezione del mondo, non ti proponeva neanche una via interiore se questa via non era già dentro di te: si offriva e così facendo attivava quella Vita presente in ogni essere umano.
B.F., un vecchio discepolo
6.
"...Ognuno di noi ha al suo interno una luce divina, un incanto, un istinto magico, divino, da far emergere verso la superficie di se stesso. Questa luce, questo istinto divino, la consapevolezza di “noi stessi e del TUTTO che ci circonda” non dobbiamo mai soffocarla..." Elena Galanti, fotografa
DEYA: IL PIANETA LABIRINTICO 2
Seguii Roberto che mi indicò il punto del mio trasferimento. Compresi con senso di angoscia che in quell'incredibile labirinto mi sarei trovato da solo a cercare cosa, poi, non avevo ancora capito. Ebbi la sensazione agghiacciante dell'eventualità di perdermi, e forse non era nemmeno la cosa peggiore che mi sarebbe potuta capitare. Dove diavolo mi ero cacciato? Dove mi aveva condotto Scandurra? Avevo pure insistito per viaggiare nell'interdimensionale. Complimenti. Invidiavo pure il mio amico Zac per essere stato il primo dell'anonima talenti a saltare il fosso e poi, quando mi si presentava l'occasione, me la facevo sotto.
Roberto, dopo avermi fatto percorrere mezza nave – rampe, camminamenti a file parallele, botole del tipo 'pompieri' e scale mobili - mi indicò un cilindro verticale di oltre due metri e vi entrai; mi trovai così incassato dentro un lungo budello di legnometallo scuro. Un vapore giallognolo scese su di me. Era fresco e mi pizzicava in faccia. Mi aspettavo chissà quale magia smaterializzante. Invece si aprì d'improvviso la base sotto i miei piedi e precipitai nel vuoto. Non mi smaterializzai ma discesi lentamente come se fossi imbracato da una corda elastica. Ero avviluppato da un alone giallo che mi permise di planare. Il paracadute gassoso mi depositò morbidamente in mezzo ad una piazzetta.
Messo piede a terra, mi resi conto di trovarmi in mezzo ad una curiosissima città piena di gente. La giornata vista dal basso era più assolata, i raggi dell'astro trovavano insolite angolazioni, tagli di luce multicolori colpivano torrette altissime, templi dai più curiosi addobbi e simboli, palazzine ad un piano piene di botteghe e rivendite di tutto, ma proprio di tutto. Fui invaso dal chiasso festoso di una umanità (seppur di un altro universo, così mi appariva) indaffarata a comprare, bighellonare, parlottare, ridere, vendere, barattare. Nessuno fece caso a me, calato dal cielo come un angelo; evidentemente, erano ben avvezzi a cose strane. Il fatto veramente straordinario, almeno per me, riguardava la lingua o meglio, le lingue che questo popolo vivo ed esuberante usava. Distinsi persino un idioma simile all'italiano parlottato da tre tipi, vicini ad un negozio di semenze. Mi avvicinai a loro con cautela. Sembravano completamente presi dall'animata discussione e non si curavano della mia presenza. Allora decisi di intervenire:
“Scusate l'intromissione, ma vorrei avere alcune informazioni. Innanzitutto, ho accidentalmente ascoltato la vostra conversazione e parlavate in italiano. Mi chiamo Angelo. Sono dell'universo Il Luminoso. Sono stato mandato da un certo Asbel”.
Tre uomini, forse affaristi giunti su Deya chissà da dove per lavoro, indossavano cappottoni scuri lunghi sino alle caviglie e copricapi a punta di lana con paraorecchie. Possedevano tratti somatici simili agli slavi e sembravano parenti. Uno di loro, il più autoritario si rivolse a me con voce tagliente:
“Asbel, sì, lo conosciamo. Ti aspettavamo più tardi. Comunque già che stai qui, benvenuto su Deya. Noi siamo della fratellanza Darest Sharma e ti condurremo in un posto discreto dove poter parlare liberamente. Mi chiamo Tarim lo 'scaltro'. Lui è 'l'orologiaio', Finut e l'altro è Bedan, 'l'esattore'”.
“Spero che possiate darmi le informazioni di cui ho bisogno. Asbel non mi ha voluto o potuto dirmi molto”.
“Sei armato?”, fece Tarim.
“Cosa? No, per carità e poi perché dovrei esserlo”.
“Asbel ti ha inviato in un posto tra i più pericolosi dell'universo. Conosce il fatto suo, comunque. Vorrà dire che ti proteggeremo noi”.
Detto questo, Tarim e gli altri si diressero in tutta fretta su per una stradina, leggermente in salita e io li seguii con apprensione. Facevo fatica a reggere il loro passo, anche perché la folla mi rallentava. Sembrava un vicolo di Napoli, pieno zeppo di gente con fagottoni, un vociare alto, frammentato, risa e versi insoliti. Notai la varietà dei costumi. Probabilmente provenivano da mondi diversi e giunti tutti qui, a Deya, un luogo fatidico, fondato da un ingegnere cosmico, folle o perverso, non capivo bene. I palazzi, i monumenti, racchiudevano storie, potenze, vibrazioni incredibili. Asbel me lo aveva accennato. Infatti, sentivo, sapevo, vedevo dapprima lentamente, a singhiozzo, una serie di immagini, provavo sentori e percezioni. Sembrava che la città labirintica mi volesse raccontare la sua storia. Storia antica, estrema, di lotta e di dolore. Quel posto parlava. Come una immensa bobina magnetica, multitraccia, che diffondeva particelle audio-video con effetti sensoriali, psichici.
Continuavo a seguire affannosamente i tre compari. Una sensazione mi investì. Chi erano realmente quei tizi? Amici? Poco probabile, scoprivo ora. Affiorava uno stato di paura all'altezza del mio plesso solare. Sorse in me una fortissima convinzione. Mi avevano ingannato per estorcermi notizie, 'accicciarmi' e abbandonarmi in qualche angoletto di quel cinepraio. Che fine assurda. Parlando italiano, avevano attirato ovviamente la mia attenzione. Ero stato un imbecille. Accennando ad Asbel mi ero scoperto. Volevo vivere come in un racconto d'avventura, eccola l'avventura. Riemerse dal sonno della coscienza la visione globale delle cose, che mi consigliava di scappare. Tutto era chiaro. Li vedevo finalmente come in una radiografia dell'anima: fetenti sicari. Senza pensarci su troppo. Forza. Via e poi qualche santo (funzionano pure in un altro universo?) mi avrebbe aiutato. Così feci.