«Prendi,
se così devi, questo fastello di sogni;
sciogline
la corda, ed essi ti si avvolgeranno attorno».
William
Butler Yeats - The Rose,
1893
Precipitavo
in un pozzo scuro senza fine apparente. Largo tre metri di diametro,
sembrava fatto di roccia levigata da mani umane. Cadevo velocemente e
non riuscivo a mantenere un assetto lineare. Dapprima a testa in giù,
poi rotolando cinque o sei volte, ancora di lato e supino, ero
completamente in balia della gravità. Strillai come un figlio
piccolo.
Scandurra,
nelle prime istruzioni per oltrepassare le botole, ci suggeriva, in
caso di attraversamento di pozzi o camini per la verità non rari, di
fare il morto a galla,
di non tentare assolutamente altre manovre, se ci abbandonavamo si
sarebbero verificate specialissime condizioni fisiche: l'energia
tangenziale e l'energia radiale presenti in tali condotti, divenivano
complementari. Un po' sgomento mi abbandonai nel vuoto, che poi
proprio vuoto non era. Una mano invisibile mi sostenne
immediatamente.
Quando
ci liberiamo dalle sovrastrutture create ad arte dal processo di
acculturazione del sistema e non facciamo più resistenza a ciò che
è ancestrale e vive in esilio dentro di noi, allora tutto si
accende. Esso
è il sole che fa crescere tutto, la linfa che ci nutre all’interno.
L'energia
del luogo mi condusse a velocità sopportabile, planavo a pancia in
giù come il tiro a foglia morta di Mariolino Corso, a distanza di
sicurezza dalle pareti del pozzo. Scomparve la paura. Controllavo
completamente la situazione. Una leggera luminescenza mi avvolse e
vidi, così, il termine del percorso. Atterrai in una piazzola
sotterranea circolare, poco più ampia del pozzo. Dietro di me una
porta con grata di ferro di un metro e ottanta, indicava senza
equivoci l'unica via di uscita. La raggiunsi e tentai di spingerla
senza esito. Non aveva serratura, pareva incastrata. La tirai,
niente. Poi, dopo qualche secondo di turbamento, mi accorsi che non
aveva cardini. Le sbarre erano infilate nella roccia. Al di là della
porta, c'era un tratto di strada rettilineo e per venti metri si
poteva ancora distinguere. Cosa potevo fare? Prenderla a spallate mi
sembrò una buona idea... Presi una breve rincorsa e mi schiantai
addosso alle sbarre. Rimbalzai all'indietro come una palla di gomma.
Era tosta come... una porta di ferro, appunto. E adesso? Cosa mi
rimaneva da fare? Non possedevo quel potere, veramente unico di
Scandurra di trovare sempre e ovunque quelle piccole fessure
interdimensionali a corto raggio, ma sufficienti a spostarsi per
diverse decine di metri e sventare qualsiasi pericolo.
Mi
sedetti tutto indolenzito al centro della piazzetta. La luminescenza
che mi permetteva di vedere al buio, stava esaurendosi. Tentai
allora di chiamare Scandurra con schemi d'energia psichica già
sperimentati con successo. Ma lo stato di coscienza alterato mi
impedì di visualizzarli. Dovevo ritrovare il mio centro. Quando
perdi l'equilibrio, attaccati al tuo centro e non cadrai. Già,
ma proprio perché avevo perso il mio centro, non avevo più
equilibrio. Insomma, la mia testa girava come un elica e non trovavo
pace. Poi una speranza si fece strada: Scandurra sarebbe comparso per
portarmi via. L'aveva fatto in precedenza. Lui sentiva,
eccome, ogni cosa di suo interesse e mai ci avrebbe abbandonato al
nostro destino. Facevo parte dell'anonima talenti, cacchio!
Passarono minuti e poi
ore. Niente, Scandurra sembrava affaccendato in altre faccende. Ero
intrappolato chissà dove, senza poter fare alcunché. Pensa, Angelo,
pensa. Meglio, abbandonati, Angelo, abbandonati, fai scorrere il
lumen e così tutto si rischiarerà. L'alone magico di luce mi
avvolse di nuovo. Un cappotto caldo per giorni di freddo intenso.
Scintillavo come un lampione. Mi avvicinai alla porta, la spinsi
leggermente ed essa cadde in avanti come un ferro vecchio insieme a
pezzi di roccia. Un gioco da ragazzi.
Il
lumen ci tira fuori da ogni guaio. Diciamo: è tremendamente efficace
quando ci imbattiamo nella fanga
puzzolente che la Vita, a volte, ci vomita addosso. Una potenza che
Scandurra ci ha trasmesso per utilizzarla sia quando ci troviamo in
seria difficoltà, sia per il prossimo bisognoso. Possiamo, infatti,
orientarla verso chi si trova a mal partito, convergendola sulla sua
anima per deviare le forze del kaos. Non tutto è permesso. Non
sempre si riesce a cambiare sostanzialmente le linee destinali delle
persone, tuttavia anche una pur piccola deviazione lungo la strada
della Vita e si attenuano le energie distruttrici. Un dono immenso al
servizio degli altri. Dio crea persone come Scandurra per alleviare
la sofferenza degli universi, per bilanciarli. Il mio maestro non è
un santo, almeno nell'accezione religiosa del termine. Anzi, spesso
mi pare che si comporti ai limiti della morale corrente. Forse non
riusciamo a capirlo fino in fondo. Quel che è certo, anziché vivere
come tanti stronzi che tiranneggiano il prossimo, accumulando
ricchezze materiali e facendosi una posizione, Scandurra sceglie di
viaggiare negli universi a raddrizzar torti e a far casino
(leggi: intricare le strategie dell'Ombra). Non so nemmeno come
inquadrarlo sul piano iniziatico, ma etichette e classificazioni dei
metafisici gli vanno comunque stretti. Fuori classe, outsider,
briccone divino, mago, sciamano di provincia, folle-saggio:
semplicemente Scandurra.
Un particolare mi
ha incuriosito sin dalla prima ora: la serenità con cui Scandurra
affronta il Grande Ignoto. I motivi per cui non prova sgomento di
fronte a spettri e magie, sono più di uno. Nel maestro è presente
un altro registro, più nascosto e arcaico, che entra in attività di
fronte alla provocazione dell’ignoto. Scandurra sa che la
quotidianità è ambigua, duplice, fluida, esiste sempre qualche
faglia temporale dove ci si può perdere. Quando la civiltà,
appollaiata in cima alla propria idea di realtà vacilla e crolla su
se stessa, ecco che tornano alla luce tutti i mostri dimenticati e
prende il sopravvento la faccia oscura della vita. In fondo per lui
non è importante che non si creda, ma che non si tremi. Egli non
mette mai in dubbio l’esistenza di forze misteriose ma anche di
fronte ai più terribili portenti si comporta come se il nemico fosse
uno qualunque, senza paura e senza perdere la speranza di combatterle
e di vincerle. È quasi curioso vederlo che, pur in difficoltà di
fronte a entità barontiche, mantiene il suo comportamento e la
fiducia nelle proprie conoscenze e capacità. Le
manifestazioni magiche e metapsichiche, oltre a quelle sovrannaturali
atterriscono solo chi non ci crede, mentre chi è disposto ad
accettarle, ammettendo che possa esistere qualcos’altro oltre
al mondo che ci circonda, sfugge alla morsa del terrore, e trova
proprio nella sua accettazione la forza di reagire alla minaccia
dell’ignoto. Questa è esattamente la reazione di Scandurra: la
magia dell'Ombra, i fenomeni sovrasensibili, i fatti che la scienza
non può spiegare, non lo impressionano più di tanto, perché è
disposto ad accettarli. Quindi tutt’altro che “scettico” o
“credulone”, la sua mente non si fossilizza sulle verità imposte
dal razionalismo, invece mantiene un’elasticità di giudizio che,
lungi da farne un bevifrottole, gli permette di estendere il
confine del reale oltre il limite stabilito dai nostri cinque sensi.
Va comunque detto che quando i meno attrezzati si recano da lui a
bottega, curiosi schizzati velleitari fissati e desiderosi di potere,
Scandurra non li asseconda minimamente, anzi. Il pericolo è che a
leggere e praticare certa roba senza i dovuti accorgimenti e privi di
saldezza interiore, ci si espone a determinate influenze. Dopo un po’
l’esoterismo si rivela per quello che in buona parte è: un’agenda
piena di indirizzi di esseri ostili.
Per
non farci ossessionare da enti occulti e larve, lungo e complicato è
l'allenamento magico a cui ci sottopone Scandurra. Semplice
nell'enunciazione, tortuoso nella pratica. Il
risveglio dell'anima avviene ora, in questo mondo, grazie a un atto
di conoscenza: l'immaginazione. L'anima assorbita dalle esperienze
comuni si accartoccia, si dilacera, ma l'immaginazione può
ri-allinearla, scioglierla dal suo stato miserando. L'Arte e
Madrenatura ci vengono incontro. Facendoci inondare da immagini di
pace e di potenza, si attinge ad un piano esoterico. Se non ci
facciamo guidare da questi archetipi – Scandurra li chiamava segni
stellari – rischiamo di perdere il contatto con la Realtà: quando
ci ritiriamo in noi stessi, isolandoci da ogni stimolo esterno,
emergono immagini vorticose che ci rapiscono, perché provengono da
un abisso senza Dio. Il piano sottile si raggiunge grazie allo stato
meditativo, che ci fa muovere col cosmo. Affluiranno immagini.
Dobbiamo però dare loro ordine. Ecco allora l'uso del simbolo
magico, dell'archetipo. Durante l'apprendistato, il maestro ci
consegna delle piante officinali che trova nelle campagne viterbesi,
da lui considerate tra le più magiche del mondo, e prima di
raccoglierle recita una preghiera o sussurra il nome dell'angelo
giornaliero. Le mettiamo sotto il cuscino la sera, prima di
coricarci. Esse danno intelligenza ai simboli evocati marcando il
territorio magico.
Mi misi in marcia di
buzzo buono. I timori si erano dileguati. Mi caricai di luce. Bella
sensazione, davvero. Feci dieci quindici passi e mi trovai fuori,
all'aperto. Ero uscito da un tumulo, o almeno ci somigliava
parecchio. Di fronte a me una casa a due piani sotto un cielo
verderosso. Assomigliava a quelle dimore di legno tipiche della
provincia americana. Un bel tetto, un porticato, grandi finestre...
una finestra della veranda era illuminata. C'era qualcuno. Oh, oh! E
adesso? Che significato aveva la mia presenza in questo posto? Perché
quello strano figuro incappucciato mi aveva catapultato lì?
Parcheggiata di fianco alla casa, c'era un automobile blu dal profilo
arrotondato, in perfetto stile anni cinquanta. Ritenni naturale, non
so per quale precisa considerazione, avvicinarmi e bussare. Non
avvertivo niente di avverso e tutto lasciava intendere che mi
trovassi sulla Terra. La struttura abitativa era quanto di più
umano, di più normale potesse esistere. La porta si aprì e il
padrone di casa era un extraterrestre...