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domenica 1 novembre 2009

Archeologia proibita: la storia segreta della razza umana



Inedite informazioni storiche e scientifiche sul nostro passato
Michael Cremo, Richard L. Thompson
(I Nuovi Delfini, Gruppo Futura, 1977)
 
"La nostra civiltà, come ogni civiltà, è una congiura" (Louis Pauwels)
Isola di Manitoulin (lago Hurona, America Settentrionale), anni Cinquanta. Nel corso di una campagna di scavi condotta da Thomas E. Lee, del Museo Nazionale del Canada, vengono rinvenuti nei depositi glaciali di Sheguiandah degli "utensili sofisticati in pietra". L'analisi del materiale, porterà il geologo John Sanford, della Wayne State University, ad ipotizzare per i reperti un'età compresa tra i 65 mila e i 125 mila anni1. Una datazione straordinaria, tale, se confermata, da rimettere in discussione i principi dell'archeologia ufficiale! Come sottolinea Michael Cremo, commentando il caso in questione nell'introduzione al volume scritto assieme a Richard L. Thompson2, secondo le teorie ufficiali, gli esseri umani sarebbero apparsi la prima volta nel Nord America - raggiungendo il continente dalla Siberia - soltanto 12 mila anni fa! In pratica, si tratterebbe di "ritoccare" le datazioni ufficiali anche di ben cento mila anni!
Se le implicazioni legate ad uno scenario del genere sono ben immaginabili, quello di Sheguiandah non è che uno dei tantissimi casi "incredibili", e certo non il più clamoroso, dei quali nel libro di Cremo e Thompson viene offerta una raccolta imponente, frutto di otto anni di ricerche. Una lunga rassegna di scoperte "impossibili", rinvenimenti inspiegabili, venuti alla luce dal XIX secolo ad oggi, che non solo pongono seri interrogativi sulle datazioni ortodosse, ma rispetto ai quali vengono a vacillare appunto le fondamenta stesse dell'archeologia, oltre che, per esempio, della paleontologia.
Soprattutto, quale filo conduttore dell'intera opera, emerge una denuncia della parzialità e del dogmatismo della scienza ufficiale, che avrebbe costruito le proprie certezze ignorando ogni scoperta contrastante con le ipotesi approvate e denigrando e isolando ogni ricercatore promotore di teorie alternative o soltanto "colpevole" di essere disposto a prendere in esame dati "imbarazzanti".
Ci è sembrato interessante proporre il caso di Sheguiandah fin dalle prime righe di questa recensione - che, essendo tanto più proposta da chi non può vantare alcuna competenza in materia, vuole avere come unico obiettivo quello di invitare alla lettura di un libro certamente "scomodo" - perché appare emblematico per i retroscena e per lo stesso "finale" della storia. Per i quali, meritano di essere riportati per intero i seguenti brani dal testo:
"Lo scopritore dell'insediamento fu cacciato dalla sua posizione nel Servizio Civile e per molto tempo gli venne rifiutato qualsiasi lavoro; i canali di pubblicazione letteraria furono tagliati; e le prove furono distorte da diversi famosi scrittori...; le tonnellate di reperti svanirono nei bidoni usati come deposito del Museo Nazionale del Canada; per essersi rifiutato di licenziare lo scopritore, lo stesso direttore del Museo Nazionale, che aveva proposto di far pubblicare una monografia sui reperti, fu licenziato dal governo; il prestigio e il potere dei funzionari ufficiali furono ampiamente utilizzati per entrare in possesso dei sei reperti di Sheguiandah che non erano stati destinati al Museo, e il luogo dell'insediamento è stato trasformato in una località turistica...".
"Sheguiandah" - queste le eloquenti parole conclusive - "avrebbe costretto i bramini dell'antropologia a confessare di non essere onniscienti. E avrebbe necessariamente portato a riscrivere quasi tutti i libri presenti sul mercato. Doveva essere eliminato. Ed è stato distrutto".
La rassegna dei casi "inspiegabili", per molti dei quali peraltro è stata definitivamente cancellata ogni prova, è impressionante. E se sulla valutazione di reperti come orme o ossa e sulla relativa datazione si possono in effetti registrare valutazioni discordanti, se per tanti singoli casi si sono scontrati pareri diversi ed opposti, certo si rimane sconcertati di fronte alla notizia del ritrovamento - avvenuto nelle miniere del Sud Africa - di centinaia di sfere di metallo in un deposito minerale del Precambriano datato 2,8 milioni di anni, o delle statuette di argilla rinvenute nell'Idaho o in Europa in giacimenti di milioni di anni fa! Tra i reperti "impossibili", troviamo il muro di mattoni rinvenuto in una miniera durante l'estrazione di carbone risalente al Carbonifero (1928, Texas), tubi metallici in formazioni di gesso del Cretaceo (1968, Francia), un'iscrizione in un blocco di marmo estratto ad una profondità di venti metri (1830, Filadelfia). "Certamente" - scrivono gli autori in merito a tali episodi - "si tratta di prove molto bizzarre, corredate di pochissime prove. Ma sono storie che circolano e ci chiediamo quante ne stiano circolando, e se qualcuna possa essere vera".
Ampia attenzione viene invece dedicata ad una estesa casistica, la cui documentazione comprende anche i pareri di eminenti scienziati e le relazioni pubblicate in prestigiose riviste o presentate in occasioni di congressi ufficiali. Una prima sezione è riservata ai ritrovamenti aventi per oggetto ossa incise o spezzate in modo non naturale, risalenti al Pliocene, al Miocene ed a periodi ancora più remoti. Vengono poi esaminati i casi di ritrovamenti di "oggetti in pietra di fabbricazione insolitamente antica", e quelli relativi ai resti di scheletri umani "anomali".
Naturalmente, data la complessità delle argomentazioni, qui ci limitiamo soltanto ad accennare ad alcuni dei casi più interessanti descritti (tra questi alcuni venuti alla luce in Italia), rinviando per ogni approfondimento alla lettura del libro. Quella reperibile in italiano, è peraltro un'edizione ridotta: una scelta voluta dagli autori per non appesantire il lettore con le analisi geologiche e gli studi specialistici, riportati invece nell'edizione integrale in inglese (ricca di oltre novecento pagine).
L'opera di recupero delle "prove sepolte" parte da St. Prest (Francia nordoccidentale), dove nel 1863 Jules Desnoyers, del Museo Nazionale Francese, nota segni incisi su un frammento di tibia di rinoceronte non imputabili ad agenti naturali. Desnoyers scoprirà che anche i fossili esposti presso il Museo di Chartres e presso la Scuola mineraria di Parigi presentavano le stesse incisioni, spiegabili, come sosterranno anche vari paleontologi, soltanto con l'azione volontaria di un essere umano. Un'ipotesi che forse sarebbe apparsa ovvia, se non fosse che il sito degli scavi di St. Prest appartiene al tardo Pliocene, epoca in cui per l'archeologia ufficiale, viene spiegato, "la presenza di esseri capaci di fare un uso sofisticato di oggetti in pietra risulterebbe quasi impossibile"! La scoperta non mancherà di provocare accese polemiche - l'ipotesi di Desnoyers, come del resto viene onestamente riportato, sarà contestata da vari archeologi - e alla fine tale ritrovamento finirà per cadere nell'oblio. Eppure a tutt'oggi nessuna prova definitiva che possa escludere l'azione di esseri umani sarebbe stata presentata, e per gli autori "non esistono sufficienti motivi per rifiutare categoricamente queste ossa come prova della presenza umana nel Pliocene". Perché, si chiedono commentando la scoperta di Desnoyers, di tali reperti non si parla nei libri di archeologia? Per la risposta a questo interrogativo, vengono riportate le parole di Armand de Quatrefages, membro dell'Accademia della Scienza francese e professore al Museo di Storia naturale di Parigi, per il quale "le obiezioni sollevate contro l'esistenza di esseri umani nel Pliocene e nel Miocene sembrano di norma collegate a considerazioni teoriche più che all'osservazione diretta"3.
Alle stesse conclusioni si arriverà per tante altre scoperte "anomale" avvenute in Inghilterra, Grecia e Italia, che non necessariamente ci riportano all'Ottocento o all'inizio del Novecento. Un caso recente, siamo nel 1970, ha per scenario il Nord America: ossa di cervidi, che per lo scopritore Richard E. Morlan, dell'Istituto di Ricerche Archeologiche del Canada e del Museo Nazionale Canadese dell'Uomo, mostrerebbero chiari segni di intervento intenzionale umano anteriori al processo di fossilizzazione, sono state rinvenute in un uno strato geologico databile fino a ottantamila anni. Ancora una sfida quindi alle teorie ufficiali sull'origine dell'uomo nel continente americano...
Ancora più ampia è la sezione relativa ad utensili ed armi in pietra. Tali ritrovamenti, spesso corredati da una grande quantità di prove, furono numerosissimi nei decenni successivi alla pubblicazione dell'Origine delle specie di Darwin e, viene sottolineato, per decenni sono stati oggetto di discussione nei congressi scientifici, finché "intere categorie di dati sono scomparsi dalla scena".
Rinvenimenti contrastanti con le teorie ufficiali sull'evoluzione umana sarebbero state fatte anche negli ultimi decenni in Pakistan, Siberia, India, Usa, Messico. Ma il copione sembrerebbe essere sempre lo stesso: le scoperte in grado di mettere in discussione le teorie dominanti sull'evoluzione verrebbero ancora oggi sistematicamente soppresse. Ciò si sarebbe verificato soprattutto per i ritrovamenti di scheletri umani "anomali", cioè rinvenuti in contesti geologici incredibilmente antichi, anch'essi tutt'altro che rari pure nel ventesimo secolo. "Benché queste ossa umane abbiano attratto inizialmente un notevole interesse" - viene osservato - "sono praticamente sconosciute. La maggior parte della letteratura corrente fornisce l'impressione generale che, dopo la scoperta del primo Neanderthal nel decennio 1850, non si siano verificate scoperte significative di scheletri fino al ritrovamento dell'Uomo di Giava successivo al decennio 1890".
Nella rassegna relativa ai resti di scheletri umani, si va dal "femore di Trenton" (New Jersey), rinvenuto in uno strato risalente al periodo interglaciale (centomila anni), allo scheletro rinvenuto a Gallery Hill (nei pressi di Londra) in un deposito risalente a oltre trecentomila anni fa. Soprattutto quest'ultimo caso darà vita a pareri discordanti (la maggior parte degli archeologi sosterranno che lo scheletro sia stato sotterrato recentemente). Ma come viene osservato, le prove fornite in questo caso, come del resto in molti altri, non sono sufficienti a risolvere i dubbi. Tra i reperti anomali, la cui natura apparirebbe invece molto meno discutibile, troviamo teschi, orme, vertebre, mentre gli autori fanno solo un accenno a quelle che vengono definite "anomalie estreme".
"E' davvero piuttosto curioso" - questo il commento di Cremo e Thompson - "che tanti ricercatori scientifici del diciannovesimo secolo e dell'inizio del ventesimo secolo abbiano riportato indipendentemente e ripetutamente di segni su ossa e conchiglie del Miocene, del Pliocene e del primo Pleistocene che indicano segno di interventi umani. [...] Tutti questi scienziati si sbagliavano? Forse. Ma i segni di tagli su ossa fossili sono un oggetto davvero strano su cui sbagliarsi, un soggetto ben poco romantico o ispirante". Se poi non si avrà ulteriore notizia di scoperte del genere, viene spiegato, non sarà perché non si siano presentati nuovamente episodi simili, ma semplicemente perché nessuno scienziato si azzarderà più a parlare di ritrovamenti "anomali": "Se si accetta l'esistenza di tali prove nel passato, viene da chiedersi come mai non se ne trovino più oggigiorno. La risposta, un'ottima risposta, è che nessuno le cerca. [...] Se un paleoantropologo è convinto che nel medio Pliocene non potevano esistere esseri umani capaci di fabbricare attrezzi, è assai poco probabile che rifletta sull'esatta natura dei segni che appaiono sulle ossa fossili di quel periodo".
Gli interrogativi si fanno ancora più inquietanti quando gli autori, nella seconda parte del volume, passano ad analizzare le "prove" sulle quali l'archeologia ha invece fondato il proprio impianto teorico ed in particolare la teoria evolutiva ufficiale. Una teoria che per Cremo e Thompson presenterebbe molte ombre, anche per mancanza di prove definitive, e che viene giudicata inadeguata a spiegare troppi aspetti ed interrogativi, che tuttora non troverebbero risposta.
A questo riguardo, alcune considerazioni ci sembrano comunque opportune. Attorno all'evoluzionismo, il dibattito oggi è quanto mai aperto, anche per la diffusione che in questi ultimi tempi stanno registrando le teorie creazioniste. Di certo fino a pochi anni fa sarebbe stata impensabile la notizia, accolta con comprensibile clamore dalla stampa, che in uno degli Stati Uniti si è arrivati a proibire l'insegnamento dell'Evoluzionismo nelle scuole. Insomma, siamo ben consapevoli di quanto sia difficile addentrarsi su tale terreno. Ma negli ultimi tempi anche all'interno del mondo scientifico molti scienziati hanno posto la necessità di rimettere in discussione se non altro alcuni aspetti della teoria evolutiva. Se fino a poco tempo fa negli ambienti accademici era impossibile anche soltanto accennare a mettere in dubbio alcuni assunti secondari, oggi il clima sembra essere cambiato. Prova ne è la pubblicazione di una lunga serie di volumi, dove si arriva a proporre il superamento di alcuni punti salienti del darwinismo. Ed è proprio in riferimento al dibattito interno all'evoluzionismo, che il libro di Cremo e Thompson è forse tanto più attuale. Sia per l'esigenza, ribadita con forza, di un dibattito e un confronto libero e a tutto campo. Sia perché rispetto a posizioni "intransigenti" (la critica creazionista), gli autori, pur non nascondendo di riconoscersi in una precisa visione religiosa - quella vedica - per la quale l'esistenza dell'uomo sarebbe molto più antica di quanto asserito dalla scienza ufficiale4, si limitano ad avanzare l'ipotesi che "esseri umani ed esseri scimmieschi esistono contemporaneamente da lungo tempo", non addentrandosi sul problema specifico delle origini.
Tale prospettiva, almeno in parte, non è incompatibile con alcuni dei nuovi orientamenti che stanno emergendo all'interno delle correnti evoluzionistiche che, rifiutando la teoria monogenetica e lineare dell'evoluzione, propendono invece per l'ipotesi di una linea evolutiva non univoca, una prospettiva che non esclude la compresenza di più specie nello stesso periodo5.
In questa opera Cremo e Thompson non hanno comunque la pretesa di formulare una compiuta teoria alternativa, un obiettivo questo che, come viene spiegato, sarà oggetto di un secondo lavoro, e va riconosciuto che le convinzioni degli autori non hanno condizionato l'esposizione dei tanti casi presentati nel libro. E come spiega nella prefazione E. Johnson (autore di Processo a Darwin), "alla fine, l'importante non è perché i ricercatori erano motivati a cercare un tipo di prove, ma se hanno trovato qualcosa che valga la pena di riportare e che possa valere la seria considerazione della comunità scientifica".
Dall'analisi delle prove e delle relazioni scientifiche, emergerebbe come in molti casi le conclusioni alle quali sono arrivati numerosi archeologi ortodossi, sarebbero state tratte in modo decisamente discutibile, sulla base di analisi inadeguate o di una interpretazione dei dati forzata. All'indomani della pubblicazione dell'Origine delle specie, l'obiettivo era stato quello di fornire ad ogni costo prove a sostegno della teoria di Darwin, e soprattutto in grado di screditare le altre posizioni. Cremo e Thompson spiegano infatti come alla fine dell'Ottocento quella di Darwin non fosse l'unica teoria sull'evoluzione, ma come esistessero concezioni differenti. In particolare, molti archeologi accettavano l'idea che l'uomo moderno avesse fatto la propria comparsa in tempi molto più remoti di quanto non sostenga oggi l'archeologia ufficiale. L'antropologo Frank Spencer scrive per esempio: "dalle prove accumulate sotto forma di scheletri, sembra che il tipo di scheletro umano si possa far risalire molto addietro nel tempo, un fatto evidente che ha portato molti ricercatori ad abbandonare o a modificare le loro opinioni sull'evoluzione umana. Uno di questi apostati fu Alfred Russel Wallace"6. Proprio la posizione di Wallace che, come viene sottolineato, condivide con Darwin l'elaborazione della teoria dell'evoluzione attraverso la selezione naturale, rappresentava però per lo stesso Darwin la peggiore delle eresie. La maggiore critica al darwinismo, era costituita dalla mancanza di prove fossili dell'evoluzione umana, ma ecco che nell'ultimo decennio dell'Ottocento viene annunciata la tanto attesa scoperta dell'anello mancante, la prova della specie che testimoniava il passaggio dall'uomo alla scimmia: l'uomo di Giava, battezzato dallo scopritore, Eugene Dubois, "Pithecanthropus" (nome formato dalle parole greche indicanti "scimmia" e "uomo"). Tale scoperta contribuirà all'affermazione della teoria di Darwin, ma soprattutto a far perdere terreno alle altre, a partire da quella di Wallace. Ma fin da subito era stata giudicata priva di fondamento da molti studiosi, per i quali non poteva esserci la certezza che i resti rinvenuti a Giava potessero far pensare all'esistenza di un essere avente in parte caratteristiche scimmiesche ed in parte umane. Nel corso degli scavi Dubois aveva in particolare rinvenuto un resto di calotta cranica, in un primo tempo addebitata ad una scimmia antropomorfa, e un femore fossilizzato di tipo umano. Nella relazione ufficiale Dubois, cambiando tra l'altro il proprio parere, ipotizzerà che i due resti appartenevano allo stesso essere, che chiamò appunto Pithecanthropus. Ma non ci sarebbe alcuna prova dell'appartenenza dei due frammenti allo stesso essere e non invece a due esseri distinti. Tanto più che il femore era stato rinvenuto a tredici metri dal resto di calotta cranica! Lo stesso Dubois in seguito si ricrederà e molti antropologi sconfesseranno tale ipotesi. In ogni caso, infine, il risultato sarà raggiunto: per il mondo intero l'anello mancante, la prova tanto attesa, era stata trovata.
La storia dell'archeologia ufficiale non manca di essere caratterizzata anche da falsi clamorosi, come dimostra la storia di Piltdown. All'inizio del Novecento viene annunciata da Charles Dawson, membro della Società Geologica, una strabiliante scoperta: il ritrovamento a Piltdown (Sussex) di un teschio umano con mascella da scimmia. La notizia susciterà come comprensibile grande eccitazione. Ma fin da subito fu vista con sospetto da numerosi archeologi. Si scoprirà ben presto che il teschio era il frutto di una manipolazione. In questa vicenda ci troviamo di fronte non ad errori involontari, ma ad una vera e propria truffa. Il problema più generale, viene evidenziato, è rappresentato dai tanti episodi in cui le conclusioni discutibili o errate a cui arrivano gli archeologi, non sono frutto di malafede, ma sono prodotte dalle loro convinzioni. Forti condizionamenti, per dire di un altro aspetto analizzato nel libro, possono essere esercitati anche dalle stesse fondazioni che finanziano le ricerche: quelle condotte in Cina da Davidson Black sull'Uomo di Beijiling, si sarebbero svolte "all'interno del ben più ampio scenario dello scopo esplicitamente dichiarato della Fondazione Rockefeller, che rifletteva lo scopo implicito della grande scienza: il controllo del comportamento umano da parte degli scienziati".
Interessante è pure l'analisi di Vayson de Pradenne tratta da Fraudes Archéologiques (1925): "Si trovano spesso degli uomini di scienza posseduti da idee preconcette i quali, pur senza commettere vere e proprie frodi, non esitano a presentare i fatti osservati in modo da canalizzare l'attenzione altrui nella direzione che concorda con le loro teorie". Così per de Pradenne ci troviamo non di rado di fronte a "una vera e propria truffa nella presentazione stratigrafica dei reperti, una truffa causata dalle sue idee preconcette, ma eseguita più o meno coscientemente da un uomo in buona fede che nessuno definirebbe un imbroglione. E' un caso che si è verificato spesso".
Secondo Cremo e Thompson, reperti interpretati in modo errato sarebbero presenti nei musei di tutto il mondo: "Anche se, considerati separatamente, questi casi di filtraggio delle conoscenze sembrano poco importanti, l'effetto cumulativo è travolgente e riesce a distorcere e ad oscurare radicalmente il quadro delle origini e dell'antichità dell'uomo".
"Forzature" nell'analisi dei fossili a parte, la teoria evolutiva proposta dalla scienza ufficiale si reggerebbe in piedi soprattutto grazie ad una sistematica eliminazione dei dati "scomodi": "Questa gratuita eliminazione di prove, prove sostenute da ricerche solide e valide quanto quelle che sostengono tutte le scoperte attualmente accettate, rappresenta una truffa perpetrata da scienziati che desiderano promuovere uno specifico punto di vista. Questa digressione dalla verità non sembra il risultato di un complotto organizzato deliberatamente [...] ma piuttosto del risultato inevitabile dei meccanismi sociali di filtraggio del sapere che sono in atto nell'ambito della comunità scientifica".
Sta di fatto, come ben spiega Phillip E. Johnson, che Cremo e Thompson dimostrano come ci si trovi di fronte ad un "doppio criterio di valutazione" dei reperti da parte dell'archeologia ufficiale: "I reperti degli esseri umani o dei loro attrezzi vengono accettati e riconosciuti se rientrano nei modelli ortodossi dell'evoluzione umana, mentre reperti altrettanto validi, che però non rientrano nel modello preconcetto, vengono ignorati o addirittura distrutti".
"Tali scoperte" - sottolinea ancora Johnson - "scompaiono ben presto dalla stampa e nel giro di poche generazioni diventano invisibili. Di conseguenza, è praticamente impossibile che teorie alternative sulla storia dei primi esseri umani ottengano qualche riconoscimento. Le prove stesse che potrebbero sostenerle non sono più reperibili e non possono più essere valutate".
Se questo è vero per i decenni passati, oggi nuovi ritrovamenti starebbero mettendo in crisi l'intero impianto teorico ufficiale. Il libro si conclude non a caso con una panoramica sulle ultime scoperte avvenute nel continente africano, oggetto peraltro di accese dispute. In anni recenti l'archeologia ha registrato prese di posizione anche clamorose, attraverso le quali archeologi e paleontologi hanno rimesso in discussione quelli che fino a poco tempo fa erano dei veri e propri tabù inviolabili. Ampia risonanza ha avuto per esempio sui mezzi di comunicazione l'ipotesi che tende ad escludere l'uomo di Neanderthal dalla linea evolutiva dell'uomo7.
Secondo Archeologia proibita ben altre certezze verrebbero a crollare, tanto che si arriva a contestare la legittimità dell'inclusione nella linea evolutiva anche dell'Astrolopithecus e dello stesso Homo Habilis.
Certamente si tratta di ipotesi di fronte alle quali è comprensibile un atteggiamento di scetticismo se non di incredulità. Ma dalle argomentazioni esposte nella critica alla conduzione delle ricerche e ai metodi "discutibili" con cui la scienza è arrivata a definire tanti principi, emerge come una buona dose di prudenza si possa fondatamente avere anche rispetto ai risultati dati per sicuri nei manuali e nei libri scolastici. A rafforzare la necessità di un atteggiamento maggiormente problematico, sono poi gli stessi commenti di archeologi ufficiali. Il giudizio di Pat Shipman, rispetto alla "confusa relazione tra le specie discendenti", è emblematico:
"Potremmo affermare che non abbiamo assolutamente nessuna prova sull'origine dell'Homo e così togliere tutti i membri del genere Australopithecus dalla famiglia degli ominidi... Provo un'avversione così viscerale a questa idea che sospetto di non essere in grado di valutarla razionalmente. Sono stata educata sulla base della nozione che l'Australopithecus è un ominide".
"Ecco" - questo il commento degli autori - "una delle affermazioni più oneste che abbiamo mai sentito da uno scienziato 'ufficiale' implicato nella ricerca paleoantropologica".
Una delle "anomalie" più sconcertanti venute alla luce in Africa è rappresentata dalle orme impresse su di uno strato di ceneri vulcaniche vecchie di 3,8 milioni di anni, scoperte nel 1979 a Laetoli (Tanzania Settentrionale). Orme che sembrerebbero chiaramente prodotte da ominidi. Tali reperti sono stati analizzati in un articolo pubblicato dal National Geographic in cui l'autrice, Mary Leakey, riporta le parole di Luise Robbins, esperta di impronte dell'Università del North Carolina: "hanno un aspetto troppo umano, troppo moderno, per essere state trovate in un tufo così antico". "Noi siamo comunque rimasti sorpresi di incontrare un'anomalia così evidente" - è il commento degli autori a questo caso - "nell'ambito insospettabile degli annali più recenti della ricerca paleoantropologica ufficiale. Quello che ci ha veramente sconcertato è stato vedere che scienziati di fama mondiale, i migliori della loro professione, erano capaci di osservare queste impronte, descrivere le loro caratteristiche umane, e ignorare la possibilità che le creature che le hanno lasciate potessero essere umane come noi. Evidentemente la loro corrente mentale influisce nei normali canali precostituiti".
Ma se sono sempre più numerosi gli scienziati che si rendono conto della necessità di riaprire la discussione sulle tante incongruità e sulle contraddizioni esistenti, l'atteggiamento scelto ancora oggi dalla scienza ufficiale è immutato: i dati "scomodi" si ignorano o si arriva alla soppressione delle prove. Cremo sottolinea che quando parla di soppressione delle prove, non si riferisce certo all'azione di un gruppo di "scienziati cospiratori" ma, come abbiamo visto, più semplicemente ad un "normale procedimento sociale di filtraggio della conoscenza".
Archeologia proibita è innanzitutto una denuncia dell'esistenza di un procedimento che, "apparentemente innocuo", alla lunga finisce per avere un "notevole effetto cumulativo". Al di là dei contenuti espressi, uno dei meriti maggiori del libro è proprio quello di far riflettere sull'esistenza di tale meccanismo, che appare ancora più rilevante se si parte da una consapevolezza. E cioè che i presupposti e le certezze sulle quali si basa l'archeologia, ed in particolare il darwinismo, più di quanto non valga per altre discipline, costituiscono le fondamenta dell'impianto teorico dell'intera scienza e dell'attuale visione del mondo.
In un articolo pubblicato ne Le Scienze8 - in cui si rifletteva su quale fosse il pensiero che più di ogni altro ha finito per condizionare la visione del mondo che l'uomo si porta con sé nel terzo millennio - è stato ben evidenziato proprio come: "da Darwin (piuttosto che Einstein, Marx, Freud ndr) dipende in larga misura la moderna concezione del mondo".
Si comprende allora quanto la difesa dell'ortodossia in questo campo assuma un'importanza che supera i confini della disciplina stessa e come accettare di rimettere in discussione anche solo alcuni aspetti, possa rappresentare un fatto ben più destabilizzante di quanto apparentemente si possa immaginare. E se un atteggiamento di chiusura può essere comprensibile quando ci si trova di fronte a teorie fantasiose e tutt'altro che basate su presupposti solidi, il rifiuto di discutere e confrontarsi su reperti o prove documentate, magari anche con il solo intento di confutare interpretazioni considerate prive di fondamento, non è accettabile. E gli interrogativi posti da Cremo e Thompson "perché ci si rifiuta di prendere in considerazione certe scoperte?"; "perché non se ne discute?", ci sembrano interrogativi più che legittimi.
 
1 Il sito sarà analizzato da quattro geologi. Per tre di loro i reperti risalivano all'ultimo periodo interglaciale e quindi potevano avere un'età compresa tra i 75 mila e i 125 mila anni. Nella dichiarazione congiunta tutti e quattro si accorderanno per un'età di minima di 30 mila anni. Per sconfessare tale conclusione sarà avanzata l'ipotesi di uno slittamento di fanghi, ritenuta però poco credibile.
2 Titolo originale: The Hidden History of the Human Race, Bhaktivedanta Book Trust-International, 1996.
3 Fossiles et Hommes Sauvages, 1884.
4 Michael Cremo e Richard Thompson, come spiegano nell'introduzione, appartengono all'Associazione internazionale per la Coscienza di Krishna, che si occupa della relazione tra la scienza moderna e la visione del mondo che emerge dalla letteratura vedica, ed è in questa prospettiva che hanno iniziato la loro ricerca.
5 In L'errore di Darwin di Hans-Joachim Zillmer (Piemme, Casale Monferrato, 2000) è addirittura avanzata l'ipotesi che esseri umani e dinosauri abbiano convissuto insieme*.
6 Alan R. Liss, The Origin of Modern Humans: A World Survey of the Fossil Evidence, New York.
7 la Repubblica, giovedì 30 marzo 2000: "L'uomo di Neanderthal non è nostro antenato - Glasgow, le analisi del Dna rivelano: non ci furono incroci sessuali con il Sapiens", articolo di Claudia Di Giorgio.
8 Le Scienze, settembre 2000. L'articolo, intitolato "L'influenza di Darwin sul pensiero moderno", è di Ernst Mayr**.
 

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