1.
Aprèslude
di Gottfried Benn
Devi saperti immergere, devi imparare,di Gottfried Benn
un giorno è gioia e un altro giorno obbrobrio,
non desistere, andartene non puoi
quando è mancata all’ora la sua luce.
Durare, aspettare, ora giú a fondo,
ora sommerso ed ora ammutolito,
strana legge, non sono faville,
non soltanto – guardati attorno:
la natura vuoi fare le sue ciliegie,
anche con pochi bocci in aprile
le sue merci di frutta le conserva
tacitamente fino agli anni buoni.
Nessuno sa dove si nutron le gemme,
nessuno sa se mai la corolla fiorisca -
durare, aspettare, concedersi,
oscurarsi, invecchiare, aprèslude.
DAREST SHARMA 5
Esistono mondi e territori segreti di cui si parla solo a bassa voce...
Il maestro dell'Ombra? Chi era? Cosa rappresentava? Scandurra con una certa fretta, insolita per lui, tornò e mi fece accovacciare e si produsse nel suo numero più spettacolare sebbene più misterioso, quello del passaggio attraverso la botola transitoria. Non capivo proprio come diavolo facesse a trovarle dappertutto, eppure riusciva ad alzare un lembo di tessuto cosmico per ogni occasione e necessità. Come aprire un chiusino. Semplicemente.
Ci trovammo presso un condotto quadrato, basso e lungo e fievolmente illuminato da quella luce giallognola, che evidentemente era la fonte presente ovunque. Bisognava camminarci strisciando. Lui era silenzioso e malgrado indossasse quel pesante cappottone, filava liscio che era una bellezza. Io un po ' meno, ma mi arrangiavo. Il condotto girava verso destra e così ci trovammo poco dopo, davanti ad una porta di servizio, metallica e senza maniglia né serratura.
- Ora ci vuole attenzione, Angelo. Entreremo nello stanzone del loro maestro. Occhio. Ricordati quello che ti dico sempre. Manda il lumen. Si deve spandere come l'olio quando non sta più dentro la bottiglia e niente e nessuno potrà invitarsi da solo.
Mi sembrò pure troppo facile l'operazione. Scandurra toccò la porta e questa si aprì con uno scatto. Entrammo in quello che secondo il maestro doveva essere lo ' stanzone ', in realtà ci trovavamo in una sala circolare, del diametro di almeno 35/40metri, con al centro una colonna trasparente che collegava il soffitto col pavimento, per una altezza di almeno 6metri. Dentro il cilindro fluttuava uno psicofluido [ sostanze psi che rispondono ad interferenze umane ] ovale di luce azzurra. Non c 'era nessuno oltre a noi. Guardai il mio maestro con espressione interrogativa. Lui mi fece cenno con la mano di attendere paziente. Infatti, poco dopo, dalla parte opposta ecco apparire un montacarichi dal quale uscirono un manipolo di 6 soldati, che con passo marziale si diressero verso di noi attraversando quel grande spazio a pianta circolare, il quartier generale secondo Scandurra. Furono su di noi in poco tempo e ci circondarono. Dalla medesima porta entrò colui che in seguito rappresentò per il sottoscritto, l'archetipo del maestro oscuro. Presenza e incubo degli anni a venire...
***
Non posso continuare il racconto dell'incontro con l'Ombra in persona, senza prima cimentarmi in una riflessione. Questo perché vediamo ciò che conosciamo e più ampliamo lo spettro della nostra consapevolezza, più ricordiamo. Scandurra ci esortava: abbiate il coraggio di conoscere per assaggiare! Ecco, dovevamo partire da questo approccio solo apparentemente formale. In realtà, Scandurra ci metteva in guardia su di un aspetto fondamentale del cammino che rischiava di essere sottovalutato: quando vi si apriranno i rubinetti mentali, scorrerà tanta di quella acqua da inondare il mondo intero. La corrente sarà così forte da travolgervi. Allora non vi potrete permettere di aver paura. Infatti, il maestro non si lamentava tanto per la mancanza di allievi; pochi erano quelli veramente coraggiosi che rimanevano. Non insegnava solo un metodo o un modo di pensare. Le materie oscure erano l'oggetto del conoscere e del suo insegnamento. Poi, ognuno di noi le digeriva come poteva e ne aveva subito contezza quando entrava in pista. Scandurra non ha mai anteposto la teoria alla pratica. Mentre sperimentavamo ci faceva capire cosa stavamo facendo, quali dinamiche, energie, leggi erano in gioco. Le potevamo sentire e mentre esse ci attraversavano le facevamo nostre, erano parte di noi. Per raggiungere questi livelli, era imperativo tirar fuori ogni oncia di coraggio, allontanare ogni titubanza, eludere i fantasmi della nostra memoria bio-storica che lungo il cammino avremmo incontrati. Passando attraverso una botola, durante un IVI (Immersione Varchi Interdimensionali) ci giocavamo veramente tutto. Potevamo uscirne malconci o addirittura fulminati; lasciarci qualche pezzo di ciccia; subire un 'amnesia parziale o un 'inversione di attese cinetiche permanente. Quindi, non era un giro di giostra e non tutte le pance tenevano il botto. Le mie Cronache, nella loro forma romanzata, potrebbero ingenerare la convinzione di una automatica vittoria delle forze benigne su quelle maligne. La contrapposizione tra potenze creative e ostacolatrici, deve sempre tener conto della dinamica degli opposti, dell'effetto bilancia. Non è sempre immediata la lettura delle cose e della realtà. A volte una resistenza alle nostre azioni, non è per questo motivo totalmente negativa; potrebbe ritardare un evento tragico così da permetterci una via di fuga. O ancora, da ostacolo divenire prova da superare.
Beh, sulla questione del coraggio dipendeva l'intera avventura dell'anonima talenti. Le nostre storie personali diventavano decisive. Come eravamo, la cultura acquisita, l'educazione, la fede, rappresentavano il terreno di scontro, freno o accelerazione della trasformazione. Questione di energia: ognuno aveva la sua, unica, caratteristica, riconoscibile. Se deficitaria, incompleta, limitata, per cambiarla bisognava fare un doppio, un triplo salto mortale. Rovesciarci, strammazzando al suolo ogni volta che la nostra energia personale si scontrava con le prove che Scandurra ci faceva affrontare. Capimmo poco dopo che era questione di ''pancia''. Se riuscivamo a controllare quel calore febbrile che sentivamo dentro e a neutralizzare quel brivido che inchiodava lungo la schiena ogni nostra reazione vitale, tutto diventava facile. Come? Sostituendo la paura tradotta in anti-energia col lumen, l'energia della luce allo stato puro. Immettendo in una stanza oscura la luce rischiarante, avremmo avuto la meglio su qualsiasi fronte ostile.
***
Malgrado fosse ancora lontano, appariva alto. Caspita! La forma era umana, segaligna, camminava lentamente come se avesse difficoltà fisiche. Indossava una specie di argentea vestaglia lunga fino a nascondergli i piedi. Ci mise quasi un minuto per raggiungerci. Il volto era quello di una persona malata, scavata dalla sofferenza. I tratti del viso erano duri ma non perversi. Glabro, aveva occhi come fessure che non voleva o poteva aprire di più. In una lingua a me sconosciuta e indistinguibile si rivolse a Scandurra. La voce era sibilante e frammezzata da pause asmatiche. Sembrava avere 60anni. Il mio maestro gli rispose in italiano:
- Non è un dispetto quello di fregarti la spoletta. Mi prendo un minimo vantaggio che poi sai bene, perderò. Vorrei solo che capissi quanto casino fai immettendo quel morbo nero anche nel mio mondo. Non riusciresti più a governare i piani. Mi son dovuto muovere per impedire che qualche fesso dei tuoi, si pappasse il mio amico. Ma li tieni a stecchetta per dieta o non c 'hai più una lira?
Accennò ad un sorriso l'Ombra. Loro due avevano un rapporto strano, come se si conoscessero da millenni per giocare una partita a scacchi mai conclusa, senza che nessuno avesse però voglia di terminare il gioco. Ma non era un gioco. Poi, lentamente si diressero verso il montacarichi. Li seguii circondato dalle guardie. Chissà cosa mi credevo. Avevo immaginato botte da orbi, ma evidentemente lo scontro se c 'era, non faceva rumore.
Quello che avevo definito un montacarichi, era un cubo trasparente di una qualche sostanza tipo plexiglass, 6m per 6m, che si spostava volando nello spazio interno dell'astronave piramidale. Vidi tutta una serie di piani, terrazze immense, hangars, costruzioni sferiche sovrapposte e torri altissime; e un via vai di altri cubi svolazzanti che sembravano guidati da pazzi piloti ubriachi, tanto saettavano veloci, e malgrado questo si sfioravano senza mai toccarsi. Non sentivo il movimento dentro quel taxi alieno. A dirla tutta, non capivo nemmeno chi lo guidasse. Ero abbastanza vicino all'Ombra per avvertirne l'odore – metallico – e scrutare la sua lunga tunica d'argento riempita di una miriade di segmenti, rette, cerchi piccolissimi, simboli, ma la cosa più incredibile era che si muovevano come se stessero dentro uno schermo televisivo. Guardare quello strano essere di un altro universo, temutissimo da tutti, insieme a Scandurra, era veramente spiazzante. Il mio maestro si esprimeva in viterbese e il bello era che l'Ombra dimostrava di capirlo perfettamente, sebbene continuasse ad interloquire con il suo idioma alieno. Agganciammo una sede cubica che dava su di un altro tunnel. Vi entrammo e dopo una ventina di passi, una guardia che ci precedeva aprì un portone. Uscimmo all'aperto. Ci trovavamo nel bel mezzo della piazza d'armi interna del castello di Darest Sharma. Era mattina presto, l'aria frizzantina ben si gemellava col cielo terso; un brivido freddo mi gelò il sangue.