''Col
ricordo risvegli i sensi''.
Scandurra
''…
ce l'hai presente il bumeranghe, sì, quello che usano l'australici?
Beh, il suo baricentro si trova dove non c'è massa, al di fuori di
esso: così è per lo spirito dell'uomo''.
Scandurra
''…
gli atlantidi c'avevano una conoscenza tale
da
illuminare a festa la Via Lattea, o da farla esplodere. È bene
giungere così in alto? L'uomo saprà mai contentarsi del giusto?''.
Scandurra
Deya
mi mancava. La città-labirinto, crocevia dell'universo dove il
Grande Tempo scolpiva la materia, luogo di mille intrighi, di ordini
oscuri e di luminosi esseri, rappresentava il centro della
conoscenza. Deya, nome magico che mi risuonava dentro. Forse avrei
rivisto Ranna. Quella tipa così distante, altera, nobile, mi
affascinava.
Ci
inoltrammo nel bosco. Ogni tanto Scandurra si soffermava a tastare un
frutto per vedere se fosse maturo (deformazione professionale?);
staccava un ramo a 'V' e lo imboscava nel cappottone; sfiorava un
fiore a calice e palpeggiava il tronco di un albero; spianava col
piede un piccolo 'montarozzo' di terra fresca. Insomma, aveva
comunque qualcosa da fare e quello che faceva sembrava avere un
senso, ben al di là delle apparenze. Conosceva ogni piazzola,
sentiero, fosso che incontravamo. Un perfetto viaggiatore di mondi e
universi, senza passaporto perché di casa dappertutto.
La
temperatura si faceva più tiepida all'imbrunire. Gli odori erano
forti e spade di luce rossoviola attraversavano le fronde e toccando
terra sembravano continuare il loro viaggio altrove. A mala pena si
intravedevano movimenti di animali – o chissà che altro – tra
gli arbusti.
-
Caro Angelo, se non vi fossero due opposti non sarebbero possibili i
campi di forza. 'Ste forze agiscono in parallelo per coesistere,
altrimenti non potrebbe circolare l'energia, né scorrere le
correnti luminose e tenebrose nel cosmo ed in ogni dimensione. Se
vuoi scacciare il diavolo devi scaldare l'acqua santa col fuoco.
Dappertutto le forze tendono ad equilibrarsi e ad annientarsi in
specifici ritmi di aggregazione e disgregazione. Queste sono le
leggi delle materie oscure. Tienile bene a mente, ti serviranno
presto.
-
Scusami Scandurra, sono un po' confuso...
-
In fondo... tutto si riduce a una misurazione di forze.
Intanto
mi indicò di sedermi ai piedi di una roccia grigionera che non
sembrava così naturale, conficcata nel bel mezzo di un piccolo
spiazzo. Un menhir messo lì non certo a caso, magari ad indicare un
… campo di forza, appunto.
-
Ricevi in questo modo lo spirito del luogo. Un lasciapassare per
essere accolto come amico. Non si entra a casa degli altri senza
prima bussare.
-
Che genere di abitanti si trovano qui?
-
I senzacorpo... spettri... adesso seguirò le loro impronte
spettrali per cercare un contatto.
-
Perché? Cosa ci debbono dire?
-
Sono io che devo informarli su certe cose.
-
Spettri dici, sono quindi anime di defunti?
-
No, sono antichi abitanti del posto legati a questo piano anche
quando cambiano di stato. Spettri che mantengono un centro di
coscienza sostenuto da un'energia quasi infinita. La loro vita
continua senza per questo abbandonare il posto dove hanno vissuto
prima.
-
Ma li posso vedere anche io?
-
Se c'hai core [coraggio]...
Ecco
di nuovo una prova. Ogni passo, un incontro fatidico. Scandurra ad un
certo momento prese dalla tasca del cappotto un pugno di terriccio
giallastro, lo gettò per terra e si accovacciò. Premette le mani su
quel composto. Era il suo rituale. Le mani aperte, parallele con le
dita separate: segno ancestrale di quelli che erano in contatto con
le ombre. Mani, ponti con l'aldilà. Mormorò una frase
incomprensibile che produsse un effetto risonanza, poi si alzò e
attese.
Mentre
sostavo ai piedi del masso, mi venne in mente un episodio, uno dei
tanti, in cui provai un'emozione travolgente. La primavera dell'anno
scorso, Scandurra ci portò a noi dell'anonima, sul Monte Venere in
prossimità del Lago di Vico, a pochi chilometri da Viterbo.
Raggiungemmo una serie di grossi massi naturali (forse) vicini alla
sommità; da lì potevamo ammirare quella magica terra al tramonto.
-
Questa è l'ora buona per vedere le porte del cosmo aprirsi in tutto
il loro splendore. Mettetevi a cerchio e prendete le distanze a
braccia aperte... come a scuola. Il cerchio chiama il punto che
spinto con decisione mette in moto l'ingranaggio... è tutta una
questione di misurazione di forze.
Così
facemmo. Eravamo in quell'occasione in nove. Sei maschi e tre
femmine, di età diverse ma tutti accomunati dallo stesso ardore.
Sebbene fosse caldo, un venticello fresco ci colpì ad altezza collo.
Un tuono profondo ci scosse, proveniva da est. Il cielo era sereno.
Di seguito, un altro tuono più forte ancora ci raggiunse dalla
stessa direzione. La terra sotto i nostri piedi tremò. Guardai un
po' preoccupato i compagni e una sorta di tremore circolò fra noi.
Cosa stava per succedere? Quale diavoleria ci serviva Scandurra?
- Bene, ora possiamo ritornare alle nostre macchine – ci invitò Scandurra divertito.
- Tutto qui? - fece Claudia.
Ci
precedette il maestro con la sua andatura caracollante. Tra di noi ci
scambiammo qualche commento di sorpresa mista a delusione. Raggiunte
le tre automobili accostate ai bordi del sentiero montano, ci
salutammo un po' interdetti e procedemmo lentamente sullo sterrato
verso la provinciale. Quando, come apparso dal nulla, incrociammo un
magnifico cavallo baio guidato da un cavaliere con tunica rossa e
calzari, come nei film mitologici di Maciste ed Ursus. Sembrava una
comparsa di Cinecittà.
- Ma che girano un film? - feci io.
- Boh? Mi sembra 'na carnevalata. Grande, grosso e cojone. A quell'età ancora si traveste da saettone [bamboccione giocherellone] – rispose Quintilio.
Il
tizio sul cavallo si fermò dopo averci superato. Lo vedemmo dallo
specchietto scendere da cavallo. Ci osservava con atteggiamento
sorpreso.
- È un atlantideo. Si chiama Rameter, un portaordini.
- Chi è? Non ci canzonare maestro. Va bene che ci devi addestrare ma...
Scandurra
fermò la sua 500 e così fecero gli altri al seguito. Uscimmo tutti.
Il maestro si diresse verso quell'uomo. Distava da noi 15metri circa.
Alto, muscoloso e dalla folta capigliatura legata dietro, parlottava
sottovoce col nostro mentore. Ci chiedemmo se tutto questo fosse una
presa in giro per metterci alla prova. Di cosa, poi. Il fruttarolo
folle ritornò con fare truffaldino e si mise al volante dell'auto.
Il baldo cavaliere rimontò a cavallo e proseguì la sua corsa.
Raggiunto il Passamontagna, incrocio tra Viterbo e Ronciglione, ad
uno di noi gli si accese la lampadina:
-
Ma avete notato che non c'è più l'asfalto stradale? Siamo passati
su di una strada sterrata. Che fine ha fatto la provinciale?
-
Vedrai, durerà per poco. Se scendi verso città, a pochi decine di
metri ritroverai la strada normale insieme al tempo normale –
rispose ridacchiando Scandurra.
-
Vuoi dirci che abbiamo vissuto un'esperienza nel lontano passato
dell'umanità?
-
No, abbiamo aperto una breccia nel Tempo e un mondo affiancato si è
mostrato a noi.
Ci
fermammo alla piazzola del Passamontagna. Non volevamo andar via da
quel mondo antico. Ci rifiutavamo di imboccare la via per Viterbo.
Avevamo paura di lasciarci alle spalle un'epoca spettacolare, dove
gli atlantidi dominavano su quella terra che fu poi degli Etruschi
(colonia rossa anch'essa). Con dovuto rispetto, mi rivolsi a
Scandurra:
-
Maestro, cosa succederebbe se rimanessimo in questo mondo
antidiluviano?
-
Dieci abitanti di qui dovrebbero passare nel ventesimo secolo e non
sarebbe nemmeno risolto il problema... è complicato assai, ma
soprattutto non è giusto. Abbiamo da fare delle cose importanti,
non possiamo abbandonare un mondo agli sgoccioli. Non è per caso se
state acquisendo le materie oscure, non lo dimenticate. Il fuoco va
tenuto sempre acceso, soprattutto quando tutto si oscura intorno a
noi.
Rientrammo
tutti nelle nostre macchinette, abbacchiati e delusi, quando un
qualcosa, un movimento improvviso dietro di noi ci fece girare la
testa verso il lago. Un'aeronave immensa quanto lo specchio d'acqua
dei Cimini, si alzò verso il cielo, si fermò a poche centinaia di
metri dalla superfice del lago per cinque secondi, non di più, e poi
sparì alla nostra vista in un lampo. Dal movimento dell'acqua
capimmo che era decollata dal fondo del Lago di Vico. Magnifica nella
sua complessità aerodinamica, non sembrava però extraterrestre. Non
ci spiegammo perché, apparteneva comunque a questo mondo, magari di
una grande civiltà: Atlantide, appunto.
Quintilio
chiese spiegazioni al maestro:
-
Come mai fanno uso di cavalli e poi viaggiano in astronave? Oppure
sono popoli diversi, dei regrediti insieme a dei supersviluppati?
-
Si può viaggiare a piedi o a cavallo e percorrere centinaia di
chilometri in pochi minuti e navigare tra le stelle con lo stesso
principio. L'importante è conoscere il mistero del tempo e dello
spazio, il resto è un gioco da ragazzi.
-
Come mai gli atlantidi bazzicavano pure la Tuscia?
-
Qui fanno delle ottime frittate con gli strigoli. Le erbette di
campo così, le trovi in poche parti del mondo... eh eh eh. Il
territorio nostro è particolarmente prezioso. Da qui si viaggia che
è una bellezza. È il posto più prossimo alla serie di mondi
tangenti. Le botole sono ricettive e funzionali, che io sappia non
ci sono stati incidenti di immersioni in varchi interdimensionali,
fatta eccezione per non graditi ospiti. La terra che vi tiene è
viva, porosa, mista di materia densa e tenue. Più in generale, i
popoli si muovono per conoscere o per conquistare e a volte per
entrambe le ragioni. E quando la terra sembra troppo piccola si
punta verso le stelle e poi, beh e poi ti aspettano altri universi.
Siamo viaggiatori nati, fino a quando non troviamo un bel posticino
e con l'amore della nostra vita viviamo soddisfatti e in pace. È
quello che auguro a tutti voi.
Nella
conca del cielo ardeva il tuono. Tornammo sull'asfalto della strada
Cimina a riveder la nostra amata cittadina, interscalo cosmico non
segnalato sulle mappe. Giunti a Piazza del Comune, entrammo
gongolanti al Bar Centrale. Era ora di cena e qualcuno di noi volle
consumare un pasto adeguato, altri se ne tornarono a casa. Quei
quattro avventori presenti al bar ci facevano tenerezza, perché
ignari di quante cose immense e sublimi si nascondevano dietro le
pieghe del tempo e dello spazio. Le esperienze mirabolanti non ci
insuperbivano, anzi, ci sentivamo piccoletti di fronte all'infinito.
Acquistavamo pian piano un respiro cosmico, una veduta più ampia e
profonda della realtà. Emergevano bruciandosi, come in un'Opera al
Nero, in tutta la loro inutilità le nostre miserie, le invidie, gli
orgogli, le brame di possesso; prendevamo così le dovute distanze
dalle cose comuni, senza rimpianti. Non ci sfiorava nemmeno l'idea di
lucrare su quanto in nostro possesso. Possedere, che brutto verbo. La
Vita andava vissuta senza frontiere e la gioia era nel vedere che
''tutto abbiamo in prestito'' e che ci aspetta qualcosa di diverso,
di elevato, ben lontano da tutte le filosofie e scienze del mondo. Le
fessure, o meglio, le brecce che Scandurra apportava alla struttura
del reale, servivano a connetterci con le storie di altre civiltà,
antichissime o in divenire. Crescevamo e in questo fermento qualcosa
si risvegliava in noi. La memoria di ciò che eravamo, ben oltre quel
sistema di significato chiamato 'cultura' che ci imprigionava. Ci
diceva:
-
Rinunciate senza sforzo a ciò che è conosciuto, usatelo solo là
dove è necessario, siate abbandonati, lasciate ogni presa, ogni
identificazione; solo così aperti, sinceri, seri e senza maschere,
solo così i vincoli cadono e le ali si sciolgono libere, e noi si è
librati in volo, senza lasciar tracce, senza ricompensa, liberi nel
cielo che è il sacrale del mistero. Essere idonei a riceverlo è
tutto: se in noi c'è l'ordine, l'armonia come nella stanza pulita,
con le finestre aperte, allora il vento profumato dei diecimila fiori
di Deya entra e tutto compenetra. Vivete in voi non come vi dico ora,
vivete in voi come avvenimento nuovo, originale perché originario,
che sia vostro non mio, che sia vostra scoperta. La realtà per
ciascuno è l'esperienza viva, è la cosa appresa ora. Liberatevi
dalla corrente del mondo che travolge tutti, donando senza
ricompensa, amando senza ricerca del piacere. Si è vero uomo,
maestro con la maestria del comprendere, con la maestria dell'agire,
con la maestria che con l'amore è perpetua libera creazione.
Con
Scandurra ci affacciavamo sull'ignoto ed esso era grande.
Mi
destai dall'onda del ricordo, quando una leggera pressione mi colpì
la faccia e la testa. Un senzacorpo si stava avvicinando velocemente
verso di noi. Ma come diavolo potevo vedere uno spettro se non
possedeva un corpo? Semplice, c'aveva comunque una forma. Una sagoma
umanoide multicolore, cangiante che lasciava una scia di particelle
luminose, come nei cartoni animati di Walt Disney. Pura elettricità
mossa da una coscienza, forse un'anima allo stato puro, chissà. Alta
tre metri, illuminava tutto il boschetto in cui ci eravamo accampati.
Guardai preoccupato Scandurra. Lui chinò il capo in segno di
rispetto e salutò allargando le braccia a croce. Lo stesso fece la
sagoma elettrica, poi si girò velocemente verso di me. Scattai
subito in piedi e salutai in tutta fretta. Ricambiò un po' seccata.
Così mi sembrò.
- Si chiama Ha LL Fast, nome che riproduce la sua frequenza vibratoria. Se la pronunci come si deve, lei ti sente ovunque tu sia. Vibrazioni subspettrali ovviamente, essendo spettri eh eh, che viaggiano tra le botole senza limiti né impedimenti.
- È una donna? - feci io.
- Mah, è difficile definirla così. Era comunque una bonazza quando c'aveva il corpo, ma alta com'era mi sentivo troppo ciuco [piccolo], adesso poi...
- Perché, adesso sono repellente? - una voce bellissima, gentile, dai toni alti, provenne dalle parti di quell'essere elettrico.
- No, no, anzi. Però cara mia, avevo difficoltà quando eri di ciccia, figurati adesso che pari un fulmine.