La moderna
sensazione da fine dei tempi ha (…) tratti unidimensionali; viene
associata a un agire umano che non conosce collaborazione e
antagonismo alcuno. Per questo motivo la terapia è inefficace, anche
quando viene chiamato in causa il fattore morale. Un moralismo privo
di un punto d’Archimede, cioè di un’istanza trascendentale, può
solo girare su se stesso: sul piano umano e “troppo umano”. Oggi
si sentono persino filosofi dire: “Se questo o quello non ci
fossero, tutto sarebbe a posto”. È invece probabile che, se non ci
fossero questo o quello, le cose si presenterebbero in modo ancor più
orribile – a prescindere dal fatto che non appena un’immagine
terrifica svanisce, a essa ne subentra subito un’altra.
Queste tesi, e
altre simili, traggono alimento dall’identificazione di ragione e
morale. Il mondo è pieno di uomini ragionevoli che si rinfacciano
l’un l’altro la loro irragionevolezza. Nonostante questo, le cose
seguono il proprio corso, che palesemente è altro rispetto a ciò
che tutti si aspettavano. Chi sta a osservarlo è più vicino alle
fonti di quanto lo sarebbe nel caso in cui prestasse ascolto ai
partiti, indipendentemente dal fatto che essi affrontino la
situazione nelle loro frazioni o in plenum.
Che le cose non si
svolgano in conformità ai programmi, e che in base ai programmi ci
si possa, tutt’al più, barcamenare, è meno inquietante di quanto
in genere si supponga. La prospettiva più spaventosa è quella
rappresentata dalla tecnocrazia, una sovranità sotto controllo,
esercitata da spiriti mutili e mutilanti. Una fine del mondo priva di
aspetti trascendentali, metafisici, senza la potente luce che da essi
promana e annienta la paura: ecco un’immagine ben triste. Essa
sorge da un’epoca di impoverimento, da una fantasia già
atrofizzata.
Se non ci fermeremo
a dipingere gli orrori, ma riusciremo a vedere nel confronto diretto
con essi una tappa del nostro cammino, potremo procedere oltre. In
tal caso il singolo non sarà più l’uomo abbandonato a se stesso,
debole voce tra milioni di altre, bensì l’arbitro di grandi
decisioni, purché diventi consapevole della propria libertà, la
quale lo rende indipendente dalla storia e perfino dalle cose e dai
loro vincoli. Egli, allora, terrà in pugno il mondo. (…)
Si è spesso
osservato come l’individuo sia più ragionevole preso per se stesso
rispetto a quando è frammento inserito in una collettività. Ecco
perché deve cominciare da se stesso e in sé andare. Esistono
problemi che sembrano insolubili estensivamente, ma che possono
essere risolti intensivamente, nel momento in cui l’individuo ne
“viene a capo”. Ciò accade, in particolare, quando il declino
sembra inevitabile. L’individuo non può autoescludersi, ma può
uscire dal regno della quantità e delle statistiche e penetrare in
domini nei quali vige una diversa legge.
Questo è il compito che
si pone, e che da sempre si è posto, all’uomo. Con la morte di
ogni individuo giunge a compimento anche un declino del mondo: si
spegne il mondo in quanto rappresentazione di quel singolo. Rimane
sua proprietà. Resta da domandarsi come costui si possa rassegnare
al proprio declino, per esempio al manifestarsi di una malattia
mortale o durante la notte che precede l’esecuzione. Trovarsi soli
di fronte alla propria finitezza è uno dei grandi incontri. Né dèi
né animali ne sono partecipi.
Si può obiettare
che in questo modo la partecipazione a tale esperienza divenga fatto
privato. È obiezione troppo superficiale, poiché nel trionfo del
singolo si libera una potenza che non conosce misura, una libertà
nel senso più profondo, che sfida ogni numero. È il Monte degli
Ulivi, è la cella di Socrate. Essi sempre ci accompagnano.
Si riconosce la
statura di uno spirito dalla misura e dal modo in cui si lascia
prendere dal panico. Questa è osservazione che non vale solo dal
punto di vista etico e metafisico, ma anche nella pratica, anche
nella dimensione del tempo. In qualunque catastrofe, per esempio
nell’incendio di un teatro o nel naufragio di una nave, la comparsa
di un individuo che non perde la testa può avere come conseguenza
non solo la sua personale salvezza, ma anche quella altrui. Tanto
meglio se questo individuo è il direttore del teatro o il comandante
della nave, la cosa, però, non è necessaria. A manifestarsi in un
simile spirito non è una più profonda conoscenza dei fattori
tecnici, ma quel che di invulnerabile vi è in lui. Anche quando la
possibilità di salvarsi è esclusa, anche in un naufragio solitario
nell’Artide, un comandante di questo genere farà sì che le cose
si svolgano in modo umano, e non secondo il modello offerto dagli
animali in preda al panico o da un’orda di cannibali.
Se nella pratica
dobbiamo sforzarci di scongiurare la catastrofe, nella teoria
dobbiamo tener conto della sua probabilità e, perfino,
inevitabilità. In un mondo caduco tutto è caduco. Il malato chiama
i medici, assume i farmaci, e a buon diritto. Ma, altrettanto
opportuno è che faccia i conti con la propria morte e si prepari al
grande viaggio, non importa se ritiene che abbia una meta oppure no.
Egli mette in ordine il mondano, prima di dargli l’ultima
benedizione. Solo dopo essere andato incontro alla caducità, e alla
paura che in essa dimora, potrà dominare la malattia, qualunque ne
sia l’esito. È un pregiudizio ritenere che le malattie siano
destituite di senso. Le malattie sono delle prove.
Non ci mancano
criteri di misura. L’intera notte a languire nelle segrete del
circo, e le forze ormai allo stremo. Terrore, persecuzioni, arresti,
interrogatori, torture, profanazioni come preludio. Durante la notte
le belve avevano squassato le sbarre; la loro agitazione e le loro
urla si imprimevano profondamente negli animi. Ancor più terribile,
il vociare della gente che già alle prime luci del giorno cominciava
a riempire l’anfiteatro. Era un vociare allegro, impaziente di
curiosità. Un contendersi i posti. Rivenduglioli vantavano a pieni
polmoni le loro bevande. Più tardi arrivavano i notabili, i
cavalieri e i senatori, infine il Cesare in persona. Coloro che
pensavano e sentivano altrimenti erano in assoluto soprannumero. Poi
si sollevavano le grate; il pugno di uomini veniva spinto nell’arena.
Il sole abbacinava. E tuttavia era più debole della luce interiore.
Così crollano gli imperi, così il mondo si trasforma.
LA
SOLITUDINE ESSENZIALE CHE SALVA IL MONDO(Da:
Ernst
Junger,
Al muro del tempo,
Adelphi)
Chiedevamo
insistentemente a Scandurra come si potevano preparare le genti agli
eventi di portata cosmica previsti per il solstizio d'inverno
dell'anno 2012. Sebbene fosse lontano quel giorno, il solo fatto di
conoscere la fine di un mondo, del nostro mondo, ci si riproponeva
come i peperoni. Ci veniva spontaneo, innanzitutto, pensare a dei
rifugi possibili, luoghi che potevano offrire riparo dai fenomeni
catastrofici – non sarebbero stati soltanto negativi, tuttavia non
erano da escludersi - che si sarebbero abbattuti su questa nostra
amata Terra. Dovevano pur esistere posti speciali, immuni dalle
conseguenze della fine del Tempo. Dio Onnipotente non poteva lasciare
naufragare il genere umano nel vuoto del nulla, come i frammenti di
comete spente. Di fronte alle nostre preoccupazioni, legittime del
resto, il maestro rimaneva dapprima in silenzio, e questo ci
atterriva alquanto, poi rimandava ad un momento più propizio le
dovute risposte. Quel momento arrivò alla fine dell'anno 1973. Mi
ricordo benissimo dove si svolse la rivelazione: sulla Torre del
Diavolo, punto di osservazione e di avvistamento appartenente ad
epoca medievale, situato sulla Faggeta tra i Monti Cimini. Il vento
gelido che spazzava ogni residuo calore, non ci fece perdere
l'attenzione necessaria. Scandurra col suo fare tranquillo, anche
quando affrontava le azioni più rischiose, ci ammaestrò su cose che
da principio ci apparvero non pertinenti al caso, sembrando, infatti,
una delle tante istruzioni magiche della Via secondo le materie
oscure. Che fessi!
Tutti
voi avrete avuto da piccoli un luogo segreto, reale o fantastico
poco importa. Bene, rievocate quel luogo dove vi nascondevate quando
i vostri genitori vi rimproveravano per qualche marachella commessa,
oppure quando volevate stare per conto vostro a immaginare mondi
fantastici. Forza, richiamate quel posticino così sicuro,
invulnerabile. Ricostruitelo con precisione, avanti. Trattenetelo
sullo schermo della vostra mente. Così, più nitido, più
delineato, dai! Ora io lo fisserò indelebilmente,
cristallizzandolo. Non spaventatevi per il calore che sentite
intorno all'ombelico. Ben fatto. Ora... seguite le mie istruzioni
per meglio consolidare il campo eterico. Concentratevi sul luogo
segreto della vostra infanzia; tenete un'attenzione prolungata;
raccoglietevi. Semplice come succhiare una caramella alla menta.
Guarda un po' il caso, ho in tasca delle caramelle dai vari gusti.
Aprite la mano destra e darò ad ognuno esattamente quella preferita
da figliarelli. Vediamo se ho indovinato.
Ci
mise in mano una caramella. Io l'assaggiai con circospezione. Il suo
sapore inconfondibile mi risvegliò ricordi e sensazioni antiche.
Cacchio, Scandurra sapeva pure questo. Vrrr! Una vibrazione seguita
da uno squarcio, simile al rumore di una vecchia e arrugginita porta
che si apre. Dopo qualche secondo mi trovai in quel luogo segreto che
scelsi quando da bambino risiedevo a Stimigliano, in Sabina. Non ci
stavo con la mente, almeno non mi sembrava, ma ero presente in carne
ed ossa. Era buio pesto in quella piccola casetta azzurra, come la
chiamavo, in realtà un ricovero attrezzi nei pressi della mia
abitazione, che il tempo passato l'aveva irrimediabilmente diroccato.
Passai alcuni secondi a tentare di vedere i particolari, quando si
accese la luce azzurra – sebbene non ci fosse mai stata la
lampadina - e tutto si trasformò come ai tempi del '63. Piccola ma
accogliente, profumava di campagna d'estate. Mi avvicinai all'angolo
dove mi sedevo di solito. Ebbi la voglia di alzare quel ciocco di
legno sotto il quale nascondevo un coltellino speciale, almeno per
me. Scostai il legno e lo trovai, così come lo avevo stipato. Lo
perdetti durante il trasloco a Viterbo il 1964. Invece era lì,
ancora. Me lo misi in tasca con una sensazione di contentezza, anzi,
di gioia per aver ritrovato un oggetto a me caro. Improvvisamente mi
trovai dentro la Torre. Non aprii gli occhi, ma misi la mano nella
saccoccia del cappotto e lo trovai, sì, era nuovamente in mio
possesso.
Aprimmo
tutti gli occhi e la torcia di Scandurra ci illuminò ad uno ad uno.
Come bambinetti felici dei regali della Befana, tirammo fuori dalle
nostre tasche tutte le cose più intime, segrete, pescate nel fiume
del tempo. La sorpresa fu tanta. Due coltelli di foggia diversa, una
trottola di legno, tre sassi colorati, una biglia multicolore, un
quadernino nero, un mazzo di figurine di modelli di automobile, una
catenella d'oro, un orologio da taschino, un falcetto, questo era
l'elenco surreale della nostra infanzia incantata. Ci sentivamo
stralunati ma eccitati, con
in mano un pezzo del nostro passato più spensierato e felice.
Eccoli
lì i vostri talismani contro i mali. Ah, se vi guardaste allo
specchio, sembrate figliaroni troppo cresciuti con i giocattolini
creduti persi. Non tutti gli uomini potranno ritrovarli, non tutti,
ma nella memoria ci sono, eccome, ben registrati da adesso in
avanti. Quando si è bambini ci si affaccia di continuo sull'altra
realtà, fatta di potenze, energie, esseri incredibili, avventure
formidabili, e luce e l'ombra sempre in lotta. La realtà magica
sovrasta e contrasta quella ordinaria, ma pochi se ne accorgono,
induriti dalle stronzate che raccontano a scuola, frammentati da
impulsi desideri paure di questa stronza società. Troppa gente non
ricorda chi sia veramente. La magia è ricevente e trasmittente.
Essa capta onde informazioni messaggi. L'universo ermetico è un
cerchio magico formato di tanti piccoli anelli, produce e condensa
l'energia eterica che noi mettiamo a profitto. Possiamo
dimenticarlo, ma esso vive in eterno e prima o poi bussa alla porta
della Vita.
Allora,
maestro, basta trovare il talismano della nostra infanzia per
salvarsi dalla fine del Tempo? - fece uno di noi.
Non
sarà così per tutti. Vi sono luoghi privilegiati senzatempo,
luoghi magici, sacri, in cui radunarsi quando cielo e terra si
toccheranno e si aprirà il Varco. Terre sottili, alcune sono
visibili ma non sono percepite, altre sono invisibili e tangenti al
nostro universo e vengono sentite dai medium di ogni tipo. Ve li
svelerò e voi li svelerete al mondo. Sarete presi per il culo, o
internati nei manicomi. Cosa importa. Nessuno vi potrà fermare
perché avrete accesso alle botole interdimensionali con la stessa
facilità con cui aprite la porta di casa. Chi vi ascolterà troverà
il modo di prepararsi come si deve agli eventi. Almeno sarà così
per chi rimarrà su Madreterra. Vedrete che la gente non sarà
sempre appecoronata sotto il dominio degli stronzi mondiali.
Scatterà qualcosa, un bottone magico sarà premuto al punto giusto.
Scatterà qualcosa. Un fattore di crescita. Noi siamo pedine nelle
mani del Creatore. Coscienti, però, per questo dobbiamo contribuire
al piano cosmico, altrimenti che c**** ci stiamo a fare quaggiù.
Maestro
– feci io – parli di fattore di crescita, cioè?
È
il ribaltamento del voltaggio interiore.
(continua
con l'ultimo IUS)