1.
Nel passaggio da uno stadio di sviluppo ad un altro vi sono due decorsi principali, che nella vita dell'uomo appaiono praticamente l'uno accanto all'altro. L'uno di essi è la grande rottura d'argine, in cui con l'estrema energia a disposizione si attua un mutamento che altrimenti non si riuscirebbe a compiere. Sono le crisi della vita in cui si resta a malapena ancora in vita, e che in verità superano le nostre forze. Ulisse per ascoltare le sirene si fa legare all'albero della nave. Bisogna prendere prima tutte le precauzioni per affrontare il pericolo, trarne sì la conoscenza che da esso deriva, ma senza lasciare lacune. Tali crisi, che mettono seriamente a repentaglio la ragione, si ripetono ciclicamente, cedendo il posto a un sistema valoriale nuovo, ad un altro sentimento di vita.
Il secondo decorso è quasi l'opposto di questo impeto di valanga. L'immagine della valanga collega i due decorsi e permette di scorgerne le condizioni e le relazioni. Ci viene in aiuto l'esempio della stella marina che si gira. Diciamo per caso essa trova un movimento o una serie ristretta di movimenti che improvvisamente costellano l'immagine. E con questo il passaggio è creato organicamente e con facilità. Questo secondo meccanismo considera dunque le piccole operazioni, poco appariscenti, che non costano nulla. Sono facili da compiere e padroneggiare. Il più delle volte non ci rendiamo conto della loro importanza. Esse sono quei piccoli iniziali nuclei di valanga, che si distaccano e poi irresistibilmente diventano una valanga che non può più essere trattenuta. Questa nuova immagine, cresciuta da piccoli inizi, può condurre verso ambedue i lati, quello da superare e quello nuovo da conquistare. Non è necessario che l'uomo porti a termine i grandi compiti con l'impiego di tutte le sue forze. Egli deve compiere le piccole cose facilmente raggiungibili, così come anche l'I King dice spesso che “è divino riconoscere i germi” (16, 2 e altrove).
2.
"Nell’incontro del pensiero con il sensibile, con il molteplice, con il finito, del quale l’Oriente tradizionale non poteva concepire la possibilità di una scienza, è presente l’Io, con la sua interna trascendenza: nell’ a n t e c e d e n t e s i m u l t a n e o e non cosciente della percezione, agisce il pensiero di profondità dell’Io: perciò la sua correlazione con il segreto del Cosmo.
Tale possibilità, oggi comune a quasi tutta l’umanità, ha avuto inizio come esperienza tipica del pensiero occidentale, grazie ai pionieri del pensiero cosciente e del metodo sperimentale. Senza la presenza dell’Io spirituale nel pensiero, non si sarebbero avuti l’elettricità, il telefono, i transatlantici, la radiofonia, i missili, la ricerca nucleare, ecc.: le espressioni più elementari e primitive di tale presenza, che tuttavia permane per l’indagatore che se ne giova, la presenza ignorata. Grazie ad essa, il pensare è la donazione profonda di sé nel percepire, da cui sorge la coscienza dell’Io.
Il discepolo può constatare che la forza radiante dell’Io, come donazione di sé illimitata, è presente nel percepire sensorio. Nella sensazione e nella rappresentazione, essa subisce ogni volta uno smorzamento del suo potere di vita: è l’arresto di forza provocato dalla mediazione cerebrale, necessaria all’assunzione cosciente dei contenuti: il pensiero riflesso, in fatti, non accoglie i contenuti, ma la forma conseguente allo smorzamento vitale, il valore astratto. Lo scienziato tuttavia crede assumere l’oggetto nella sua concretezza e procede di conseguenza, validando come realtà il riflesso astratto del sensibile: assolutezza di una relazione incompiuta epperò inanimata, da cui trae come produzione reale il mondo meccanico, tecnologico, ignorandone la provvisorietà, ossia la contingente strumentalità rispetto all’assunto da cui inizialmente muove.
Mediante la più semplice contemplazione, la coscienza ha la possibilità di congiungersi con le forze profonde dell’Io nella percezione sensoria, ma l’uomo occidentale, che ha avuto tale iniziale dono come la massima possibilità di penetrazione dello Spirito nella terrestrità, dell’immediato percepire assume la forma riflessa come valore sul quale modella il pensiero. Nel percepire ha l’immediato moto dell’Io come moto di puro pensiero, ma lo ignora, perché è preso dal percepito, dalla mera tangenza sensoria: in realtà non afferra il percepito, non lo contempla, non lo fronteggia, non vi incontra il momento della coscienza che si unisce con il mondo.
Si tratta di p e r c e p i r e la forza fluente in questo momento vivo: la sua correlazione con le Gerarchie cosmiche. In realtà l’uomo non percepisce il pensiero, manca del tipo di percezione più elevato a cui possa accedere mediante la coscienza di sé: perciò è privo del reale contenuto della esperienza sensoria. Egli non realizza il potere di donazione soprasensibile del pensiero a cui ogni momento ricorre: ignora la presenza dell’Atman nel moto di profondità con cui si unisce alla terrestrità nel percepire.
La concentrazione conduce lo sperimentatore alla obbiettivazione del pensiero, ma non ancora alla sua percezione, essendo ancora il percepire minimamente consapevole al livello dei sensi. La percezione sensoria è un processo ignoto all’indagatore di questo tempo, perché il potere extraumano che incanta il percepire nella forma riflessa, ogni volta invade la zona della coscienza in cui dovrebbe essere presente l’Io quale penetratore ed elaboratore di tale forma. Nella zona in cui l’uomo dovrebbe essere sveglio rispetto la vita dei sensi, si lascia sopraffare dal risuonare della loro tangenza formale: rispetto ad essi è immerso in stato di sonno. Ma i meccanismi logico-dialettici gli danno l’illusione di essere sveglio.
Il discepolo deve conquistarsi lo stato di veglia rispetto alla normale vita dei sensi: egli deve poter avvertire che, privo di tale stato di veglia, opera nella quotidiana vita come un sonnambulo, malgrado le discipline interiori. Dovunque è percezione, è la presenza dell’Io originario, con l’assoluta incondizionatezza che gli è propria e la sua correlazione con le Potenze sorreggenti l’Universo."
Da: "La tradizione solare'' di Massimo Scaligero - Editrice Teseo Roma.
3.
Non vi è nella storia, nulla di grande che abbia avuto grandi inizi. Quanto di ciò che è nato grande ha avuto poi sorte piccola. La legge della vita prevede, ovunque, che anche gli organismi destinati a diventare maggiori traggano origine da un piccolo seme, quasi invisibile agli occhi degli uomini.
4.
IN PRINCIPIO FURONO I GIGANTI
Giganti che superavano centinaia di volte la massa del Sole: erano così le prime stelle comparse nell'universo alla fine della cosiddetta ''Età buia'', a poche centinaia di milioni di anni dal Big Bang. La loro prima descrizione è stata pubblicata questa settimana su Science. La loro enorme massa è stata cruciale per innescare le reazioni che poi hanno dato forma all'universo che vediamo oggi. A descriverle per la prima volta è la ricerca coordinata dagli Stati Uniti, con la Columbia University di New York. Capire come si formarono le prime stelle è una delle principali questioni dell'astrofisica. Si ipotizza che esse nacquero da nubi calde composte dai due gas primordiali, idrogeno ed elio, che si raffreddarono e si condensarono. Un passaggio chiave di questo processo di raffreddamento sono state le collisioni avvenute fra ioni positivi e negativi dei gas che diedero origine alle molecole di idrogeno (H2). La simulazione pubblicata su Science ricostruisce queste collisioni e mostra in modo chiaro che il processo di raffreddamento dei gas è avvenuto tramite rotazioni di bassa energia degli atomi all'interno delle nubi primordiali. Al raffreddamento ha fatto seguito un addensamento dei gas e da questo processo sono emerse le prime stelle, la cui massa è stata cruciale per le evoluzioni cosmiche successive. Due polarità (caldo e freddo, elio e idrogeno) danno il via al tutto alla fine dell' "Età Buia". Nascono i Giganti. Dal loro smembramento nasce il cosmo. Non vi ricorda nulla?
5.
Andai nei boschi perché desideravo vivere con saggezza, per affrontare solo i fatti essenziali della vita, e per vedere se non fossi capace di imparare quanto essa aveva da insegnarmi, e per non scoprire in punto di morte, che non ero vissuto. Non volevo vivere quella che non era una vita, a meno che non fosse assolutamente necessario. Volevo vivere profondamente, e succhiare tutto il midollo di essa, vivere da gagliardo spartano, tanto da distruggere tutto ciò che non fosse vita…
Henry D. Thoreau, Walden ovvero vita nei boschi
6.
I sistemi complessi, prevedono in determinati momenti della loro evoluzione una duplice possibilità, entrambe possibili ma assolutamente imprevedibili, sia per la struttura stessa del fenomeno (sistemi complessi), sia perché sensibili alle condizioni iniziali (sistemi caotici). Le Biforcazioni sono momenti o situazioni dai quali due possibili scenari possono scaturire, senza alcuna possibilità di prevedere quale opzione verrà determinata dalle impercettibili variazioni delle condizioni iniziali. Le biforcazioni sbocciano in corrispondenza degli attrattori.
7.
Tutte le scuole sapienzali, pongono l'accento sulla necessità dell'attenzione, della presenza mentale, o consapevolezza. Scandurra non è da meno. Sostiene, infatti, che una persona distratta o fagocitata dai pensieri è menomata nel principio stesso della coscienza. “Sostare sui pensieri ti ruba energia. Attento al respiro, così esso non diverrà meccanico. Sìì uno per ogni cosa che fai. Sìì attento così ti dilati e ti appuntisci”. Chi si perde nel flusso caotico e ristagnante dei pensieri, ricordi o fantasticherie accelera la sua morte, mentre, chi è attento e presente a sé stesso si incammina sulla via del risveglio. Cristo più volte ci invita alla vigilanza: “Abbiate sempre i fianchi cinti e le lucerne accese” (Lc. XII: 35), e la Sua è una indicazione che va ben oltre la psicodinamica, il riferimento è di ordine iniziatico. Il buon Buddha non è da meno quando dice: “L'attenzione è il sentiero che conduce all'immortalità, la disattenzione è il sentiero della morte”.
8.
Quando un ciclo di civiltà volge verso la fine, è difficile poter giungere a qualcosa resistendo, contrastando direttamente le forze in moto. La corrente è troppo forte, si sarebbe travolti. L’essenziale è non lasciarsi impressionare dall’onnipotenza e dal trionfo apparente delle forze dell’epoca.
Julius Evola – ‘Cavalcare la Tigre’
9.
Il cielo non si è chiuso.
10.
La realtà ordinaria che conosciamo può essere contraddistinta da due fattori: il movimento e la persistenza nel tempo.
11.
Il portamento di Scandurra è centrato sulla verticale psichica che regge tutta la persona, eretto e abbandonato insieme, riposante perfettamente in se stesso.
12.
DES CHRISTEN HERZ AUF ROSEN GEHT | WENNS MITTEN UNTERM KREUZE STEHT. [Il cuore del cristiano riposa sulle rose, quando sta esattamente sotto la croce] Motto di Martin Lutero.
13.
UNA BREVE RIFLESSIONE SUL MITO E NOSTRO FUOCO SEGRETO
da Galeno68
Annoto questi appunti attingendo alla bisogna, nel fondo pozzo delle consolazioni di un avvenire ulteriore, che le storie e favole della nostra Tradizione nell’allegoria nascondono.
Indizio inequivocabile della consumazione dei tempi, è anche il solo fatto che noi virtualmente qui ci ritroviamo, ad annotare pensieri altrui misti a personali riflessioni destinate in massima parte a non essere nemmeno lette per la scomodità e disumanità intrinseca del supporto di cui ci avvaliamo, che pure, in definitiva, omologa e livella ogni riflessione a pura aneddotica. Il potere sminuente della macchina o della sua incapacità consolatoria delle interiori afflizioni umane. Ma davvero trovo anche utile trascrivere quanto segue: Boccaccio nella sua Genealogie Deorum, rammenta che allegoria deriva da "allon" = alieno, estraneo, dove il significato letterale è solo la scorza che riveste più profondi contenuti. Del pari nell’albero la corteccia…la corteccia, preserva l’interno della pianta, dove nel suo centro scorre la linfa, il nutrimento utile ad ogni sua parte.
Per esempio, determinate considerazioni che si ricavano da letture o esperienze sperimentate in prima persona, ma d'altronde la stessa lettura, se intimamente vissuta, non è forse essa stessa un esperienza dell’anima? Insomma, ciò che intendo dire è che la mia ossessione preminente, riguarda la sostanza di un canto inudibile, epperciò astratto, ma che pure per propagarsi e trovare verità, necessariamente deve rimbalzare sui volumi delle cose: ecco dunque la sostanza, il valore indicibile dell’ispirazione.
Se diamo ascolto e veridicità alle parole di Omero, Virgilio, Apollonio Rodio e ai maggiori poeti dell’antichità il cui messaggio s’è propagato fino ai margini estremi del Rinascimento italiano, (ma si dovrebbe dire Italico) se diamo loro ascolto si comprende che solo profondamente ispirati noi comunichiamo con gli Dèi. Gli Dèi accolgono grati i nostri slanci lirici e solo per questi l’Universo realizza la sua più intima essenza, la misteriosa forza cantata nelle Metamorfosi da Ovidio. L’ispirazione è proprio quel fuoco segreto che da senso più vero al nostro Atanòr, perché l’Alchimia e dunque l’Arte e dunque la Poesia, non derivarono dallo strumento solo materiale dell’intelligenza. Leggevo uno studio del prof. Catinella, dov’è scritto che Clemente Alessandrino fa derivare la parola Mito dalla greca Metos che è seme, granello, sicché ogni mito o favola antica reca in sé il seme occulto, che una volta deposto nelle profondità dell’animo, assieme a questo genera il Nume che diverremo…sempre ammesso, che saremo capaci di prenderci cura del virgulto segreto che nel fondo della coscienza lentamente matura.
Il primo divieto, che i Misteri antichi indicavano all’iniziato, era quello di non porre fine alla propria esistenza prima che questa, da sola, fosse naturalmente giunta al termine dei suoi giorni, poiché ogni momento che ci rimane da vivere, è utile a sviluppare tale segreta essenza che in noi dimora.
Mistero: senso di una cosa superiore all’intelligenza – verità celata sotto finzione – Mysterium è spiegato dal glossario latino come secretum sacrum. Cristo disse: molti i chiamati e pochi gli eletti…lo stesso, a Eleusi, assai prima, vigeva il detto che molti erano i portatori di tirso, ma pochi sarebbero divenuti Baccòi…a significare dell’estrema difficoltà che intercorre dal momento in cui il seme è deposto, alla formazione della coscienza numinosa.
Sostanzialmente, i Miti originari della creazione, credo originano dalla necessità di rivelare l’eminente verità universale attraverso una modalità che lungo il corso dei millenni non avrebbe alterato il proprio valore e che al contempo, potesse offrire più chiavi interpretative a secondo della capacità d’intendimento di quanti vi si accostassero.
Se accettiamo l’idea che prima dell’ultimo diluvio, vi fosse l’esistenza di una Civiltà evoluta, (ormai le prove vi sono e numerose) questa necessariamente doveva riferirsi ai medesimi valori d’amore e d’ingegno e, per quanto lo stravolgimento epocale in quei tempi remoti possa aver sommerso l'ispirazione originaria…penso agli immensi stravolgimenti cosmici narrati nelle favole di Fetonte o alla stessa guerra combattuta da Giove contro i Titani…comunque, i semi immortali, una volta trascorso un periodo indefinito di oscuramento, poterono nuovamente assorbire quel tepore riposto nell’apparente vuoto cosmico, che ravvivò - ravvivò in sé - come recondita necessità, un ulteriore significato della vita, un ulteriore avanzamento della vita stessa al di la di sé, attraverso l’imperscrutabile necessità dell’ispirazione (avrei dovuto scrivere ISPIRAZIONE) appunto, i Miti…la loro abissale commozione riecheggiante nella vastità universale, il loro senso appena soffiato o trasportato da inquieti venti siderali, che in tempi di cui non si può avere nozione, ravvivarono il seme invisibile che relega l’essere al nulla e che, in un certo senso, è come deposto nel grembo della Conoscenza. Questo, "il seme dei metalli" degli alchimisti medievali, il lievito primordiale.
L’estrema complessità di calcoli calendariali cosmici, la profonda struttura della materia, è adombrata nell’allegoria mitologica, dove nelle alterne vicissitudini dei suoi protagonisti divini, nella loro inconoscibile sostanza, la struttura del messaggio, riguarda essenzialmente la verità di un campo energetico che connette tutta la realtà universale…non a caso a Dodona, nel tempio arcaico della Dea, anteriore a quello di Delfi, pendevano dal soffitto un gran numero di campane bronzee, che significavano proprio il valore di tale realtà diffusiva e intimo legame del tutto con il tutto, in ogni sua parte…dove una campana il vento muoveva e cento risuonavano.
Dione-Dodo = Colei che dona, che dona per amore…il più elevato prestigio del senso mitologico...intimamente congiunta alla figura di Giove (androginia arcaica) che a Dodona era chiamato Naios – dio delle sorgenti.
Quest’immensità energetica, è contenitore e ponte delle più elevate percezioni metafisiche. I primi rivelatori della divinità, furono i poeti, che erano sciamani estatici…i Miti, c’informano della possibilità di interagire con la vastità universale esclusivamente mediante il linguaggio delle emozioni, per quanto esse siano temperate sul maglio della ragione. Non per semplice sentimento di vaghezza, il lirismo è presente nel carattere degli dèi, e che essi nell’uomo lo ricercano e l’ammirano: poiché attraverso l’ispirazione noi presagiamo l’immortalità.
14.
LA SAGA DI HOLGER
Holger Carlsen era sdraiato sulla spiaggia pietrosa e sparava, sparava, con la Luger che gli bruciava in mano. Dalla strada piovevano le raffiche dei mitra nemici, sempre più nutrite, sempre più vicine. Le acque del Sund (Öre Sund: è lo stretto fra la Danimarca e la Svezia. Sulla sua sponda occidentale, danese, sorge Helsingör, con il castello di Kronborg, dove Shakespeare ha ambientato il suo Amleto, su quella orientale la città svedese di Hälsingborg) battevano sulle rocce, indifferenti, indifferenti brillavano le stelle e, al di là del mare, baluginavano le luci tranquille della costa svedese. Holger continuava a sparare. Non sapeva se ce l'avrebbe fatta, non sapeva se i suoi compagni sarebbero riusciti, con lui, a condurre a termine la missione. Sapeva soltanto che si trattava di un'operazione importantissima, forse decisiva per le sorti del conflitto: trasportare al di là del Sund, in Svezia, un personaggio di cui ignorava tutto, identità, professione, scopi.
«Udì un miagolìo di pallottole intorno al capo, l'urlo di un uomo che, colpito al petto, tossiva sangue. Holger prese ancora la mira, tornò a sparare. Poi tutto il suo mondo esplose in una fiammata e fu il buio».
Si svegliò, ed era giorno. Una pallottola lo aveva colpito di striscio al capo, ma non era più sulla spiaggia. Si alzò nel cuore di una foresta sconosciuta, dagli alberi immensi, annosi, coperti di muschio. Una foresta vergine in Danimarca? No, non poteva esistere, come non sarebbe potuto logicamente esistere tutto quanto doveva scoprire subito dopo: un gigantesco cavallo nero bardato d'argento, una lancia, una daga, un elmo, un'armatura, una spada e uno scudo. E sullo scudo spiccavano, in campo d'oro, tre cuori rossi e tre leoni azzurri. Così hanno inizio le tumultuose peripezie di Holger Carlsen, sbalzato di colpo da un incantesimo dalla Danimarca occupata dai nazisti, contro cui combatteva, in pieno medioevo, nel mondo delle saghe carolinge, dove sta scatenandosi un altro tremendo conflitto che opporrà le forze della Luce a quelle del Caos e del cui esito egli è chiamato dal destino a decidere, come lo fu, inconsciamente, sulle sponde del Sund. Eventi che egli aveva creduto vivi soltanto nella sfera delle antiche Chansons de Geste lo attendono, con personaggi altrettanto fiabeschi: la strega Gert, il nano Hugi, il viscido Alfric, duca del Mondo Fatato, draghi volanti, unicorni, esseri mostruosi, la splendida e perfida Fata Morgana, la candida, bellissima Alianora, la Vergine-Cigno. L'eroe vivrà sino in fondo la sua straordinaria avventura, riuscirà a dare la vittoria ai buoni ed a rituffarsi nel nostro mondo e nella nostra era, che non è forse la sua. Vagherà poi, infatti, alla ricerca di testi antichi e di libri modernissimi, di trattati di magia e di volumi sulle più recenti speculazioni matematiche, sulle probabilità, sul caso, sulle possibilità alterne. Perché l'amore per la Vergine-Cigno lo richiama «laggiù».
«Ormai non lo vedo da tempo», conclude l'autore della storia, «e da tempo non ho sue notizie. Talvolta mi chiedo se sia tornato dalla sua Alianora... e spero che sia riuscito a farlo».
L'autore è Poul Anderson, la storia s'intitola «Tre cuori e tre leoni»: è una bella, poetica versione in chiave di fantascienza della saga di Holger Danske, Ogier le Danois per i francesi, fratello di Alda, la moglie di Orlando. La leggenda vuole che dorma sotto una delle possenti torri del castello di Kronborg, pronto a ridestarsi ed a brandire la sua invincibile spada Cortana ogni volta che la Danimarca e la Francia si trovino in pericolo.
Leggenda a parte, Anderson sembra aver fatto compiere al nostro eroe un viaggio nel tempo e si appoggia, per questa sua escursione letteraria, ad alcune teorie delineate nel finale. Ma è davvero possibile viaggiare nel tempo?
Peter Kolosimo - Viaggiatori del tempo
DAREST SHARMA 3
Usciti da una specie di sottobosco abbastanza intrigato, si presentò ai nostri occhi un panorama grandioso. I quattro avamposti di osservazione erano davanti a noi: pinnacoli altissimi brunati, piantati nel bel mezzo di una vasta tavola pianeggiante verdeoro, circondata da montagne azzurre. Erano i vertici che formavano un perfetto quadrato ideale, esteso come dieci campi di calcio (parametro da me usato spesso). Sulla punta avevano un faro rivolto verso il cielo, si piegavano un po' al vertice, a mò di ferro di prua della gondola veneziana. Raggiungevano un'altezza di due chilometri, mi assicurò Scandurra. Gli domandai se erano fari o radar o che altro.
“Il problema è che Deya non ha limiti”, disse sibillino il maestro e continuò, “la città assume il dominio di tutto. Ora accucciati dietro questa fratta. Aspettiamoli qui. Meglio assicurarsi una copertura. Come nella campagna viterbese, potremmo imbatterci in qualche canaccio randagio. Sai, c'è sempre un bastardo pronto a mozzicarti”.
Così feci. Mi abbassai il più possibile. Il discorso sul canaccio mi mise in una certa apprensione, che poi svanì. Quello strano tramonto che durava la notte intera, rendeva il paesaggio magico come in un quadro di Rembrandt. La temperatura era mite, sebbene ogni tanto un venticello freddo si faceva sentire dietro le spalle. Ripensavo alla missione. Scandurra, evidentemente aveva colto qualcosa che mi rendeva pensieroso, anche se ad intermittenza.
“Se manovri dentro di te, manovri quello che è fuori di te. La realtà, meglio, la verità per essere compresa deve essere sperimentata. La parola scritta, la fede senza esperienza, non salva. Il mondo è in perenne fecondazione. Il mondo è pancia e cervello. Senti le cose che ti circondano dentro il tuo ventre, se esse invece ti invadono la mente falle scendere in basso”.
Il mondo è pancia. Le parole di Scandurra avevano una forza speciale, anche quando mi ripeteva le stesse istruzioni, esse possedevano potenza, profondità. Mi risuonavano dentro come nuove. Nel frattempo, il maestro come se niente fosse si accese una sigaretta delle sue, nazionali senza filtro. L'odore caratteristico mi rammentò la bottega di frutta e verdura di Viterbo. Raccolse una pianticella dappresso, se la rimirò e recitò una preghiera, un mantra, una parola di ringraziamento.
“Questa è buona in padella con la frittata. Vediamo se ne troviamo altre”.
Mi misi a cercarle insieme a lui. Non riuscii a trattenere una risata. Stavamo in attesa degli amici per chissà quale misteriosa e difficile missione su di un pianeta situato in un altro universo, e il maestro ed io raccoglievamo cicoria. Non c'è che dire, ogni occasione è buona. Per il maestro, se il corpo è lo specchio del divino, la bocca è il fornetto del mondo, dove ogni elemento della terra viene trasformato. Mangiando, o ci innalziamo o cadiamo nella materialità animale. L'alchimista trasmuta ogni cosa in energia cosmica. Le esperienze scandurriane ci hanno permesso l'allargamento della coscienza, la consapevolezza che in ogni momento possiamo trasformare la materia e portarla alla sua luce originaria. Il bene è ciò che estende la coscienza; il male è ciò che la restringe, la nasconde nella tenebra della negazione. Così ogni cosa che facciamo diventa rito, mito, simbolo, immensità. Ogni nostro gesto libero dall'io può cambiare il mondo, risanandolo. Ci ha insegnato ad utilizzare l'energia degli avi, il lumen. Il morbo che l'Ombra sparge per l'universo è l'anti-lumen, ci cristallizza, ci restringe, imprigionando il vivente nelle celle antibiotiche. Scandurra ci dice anche di non personalizzare il lumen, che altro non ci chiede se non di essere riconosciuto e quindi innalzato. Meditando – quella consapevolezza cosmica straniera all'io – risuoniamo con l'Universo. Meditando troviamo le sostanze trasmutatrici, le spolette interdimensionali. Una nuova visione, ci permette di interagire col tutto. Meditare per Scandurra, è ritrovare l'originaria coscienza numinosa, senza divisioni, facendo scaturire dai mondi interiori il suono-parola, il seme del mondo. Dobbiamo però piantarla di parlare con noi stessi, di lamentarci. Il suono-parola è preghiera. Così, ogni nostra parola diventa chimica del cervello, consapevolezza della carne, meditazione appunto.
Scandurra rispecchia un modo ideale di relazionarsi al mondo naturale. Non nel senso di quei movimenti politici come i Verdi, ma in un senso magico. È un artista, ma anche scienziato e mistico amante della Natura: ama in modo intenso e intimo, gli alberi e i fiori, le colline e i fiumi, i venti e i suoni della terra, di cui si prende cura, che celebra e cerca di preservare la loro magia. Lui, ultimo dei maghi atlantidei, reincanta il mondo lavorando all'orticello di casa. Riflettevo su quel tipo tutto ricurvo che palpava il terreno. Viaggiava per dimensioni e, a quanto diceva la bellona, era un eroe in quell'angolo di cosmo; sapeva cose, possedeva poteri, come pochi ed era al tempo stesso di una semplicità unica. Mi tornò in mente la questione del cane bastardo.
“Come facciamo a sentirlo se si avvicina?”
“Se siedi sulla merda, prima o poi puzzerai”, fu la risposta di Scandurra.
“Allora c'è un pericolo effettivo. Ci seguono?”
Scandurra mi fece segno di star zitto. Toccò col palmo della mano sinistra il terreno vicino ad un arbusto verdeviola. Lo compresse, o almeno così sembrava. Ebbi come un giramento di testa, vidi le cose intorno a me girarmi velocemente, poi, si distorsero come uno schermo televisivo quando la valvola disfunziona. Si fece scuro ma non proprio buio. Una nebbia rossa ci avvolse. Le distanze cambiarono, perché tutto il paesaggio sembrava più piccolo, in scala. Oppure eravamo diventati dei giganti. Una manciata di secondi, poi tutto ritornò al suo posto.
“Cos'è successo?”
“Ho dischiuso per un attimo il sottomondo”.
“Cioè?”
“C'è un sopra e un sotto in tutte le cose. Una sbirciatina può tornarci utile. Si stirano le lenzuola quando si piegano”.
Rinunciai a chiedere ulteriori delucidazioni, perché un rumore, o meglio, un sibilo proveniente dal sottobosco dietro di noi si avvicinava. Alzammo la testa e vedemmo un'astronave gigante, grigiorossa di forma piramidale, passarci sopra a non più di … insomma un po' più in alto dei pinnacoli. Si fermò proprio sulla nostra verticale.
“E adesso?”
“Eccoli, così ci risparmiano la faticaccia di ritornare al castello a piedi”.
“Ma chi sono, i cattivi?”
“Non ci amano, però non possiamo pretendere di essere simpatici a tutti? Che dici?”
Quelli di Darest Sharma ci avevano trovati. Scandurra non sembrava minimamente preoccupato. Non so se gestisse mirabilmente le emozioni, oppure la questione proprio non gli faceva né caldo né freddo. Eravamo in missione, me lo ripetevo per mantenere un minimo di concentrazione.
“Non essergli ostile. È gente strana, ma tu lascia irradiarti dal Lumen. Catturalo, concentralo e amplificalo, distribuiscilo internamente e espandilo all'esterno. Fa' questo, solo questo. Vedi, Angelo, ti ho portato a zero per ricostruire dalle tue stesse macerie. Solo così si innesta il Bagliore. Non c'hai più vibrazioni del ricordo, memorie ataviche che possano diventar terreno di influenza per gli ostacolatori. Qui non si tratta di una guerra muscolare, ma magica, si lotta nel sottomondo. È determinante come sei messo dentro di te”.
Dall'astropiramide partì e ci venne incontro una navicella per prelevarci, o almeno quella doveva essere la sua funzione. Mi venne istintivo appoggiarmi alla spalla di Scandurra. Una inquietudine mi prese forte. Ebbi pure timore per il maestro e fu la prima volta che lo provai.
(continua)