Chi legge "esamini tutto, ma ritenga solo ciò che è giusto".

La mente non è un vessillo da riempire, ma un fuoco da accendere.

mercoledì 28 aprile 2010

IUS 11

Il passato sta ancora accadendo, mi avvertiva Scandurra. A quei tempi, leggevo narrativa d'anticipazione, fantascienza insomma, ma anche testi sulle presunte cospirazioni, gli intrighi dietro le quinte della storia. Il maestro a tale proposito era chiaro (traduco dal dialetto alcuni passi da 'Cronache di Atlantide',).
“Ogni fatto segue un modello, come fanno i sarti quando devono realizzare un abito, ma ad un livello più profondo di quanto noi che ci stiamo dentro possiamo sapere. Certo che esistono quei bastardi che comandano il mondo. Seguono il modello. Loro lo leggono, noi no. Ma sono visibili, non hanno bisogno di nascondersi, siamo noi così rincoglioniti da non vederli. Vedi la patatella, sta' sotto terra e noi vediamo le sue foglioline che fuoriescono appena, ma se facciamo attenzione diventa facile trovarla. Bisogna fare molta attenzione alle cose, anche se non sempre emergono chiaramente, abbiamo comunque sempre la possibilità di scorgere delle tracce disseminate qui e là. Il popolo ha tante preoccupazioni di lavoro e salute, perciò ha un certo timore reverenziale nei confronti del potere dei mercanti che ci comandano da tanti secoli. Prima regnavano re giusti e re bastardi, ma li scoprivi facilmente; dopo è avvenuto qualcosa di strano e si sono indebitati, hanno pensato solo a trarre vantaggio personale dalla loro posizione; sin troppo facile poi che qualcuno, sotto sotto, ha comprato tutte le cambiali dei re e li ha tenuti per i coglioni. In seguito i mercanti sono riusciti a indebitare il mondo intero e il gioco è fatto. Ma questo è solo il modello letto da sopra, quello di sotto è pure peggiore. Ti fregano l'anima. Ti avvelenano la terra sotto i piedi, l'aria si addensa. L'elettro orbita più veloce e girano all'inverso le particelle. Incasinano ogni cosa. Se può tornare utile alla loro causa, interviene Jack lo squartatore per rimediare qualche litro di sangue alla bestia; in ogni epoca c'è un esattore: il tempo si esaurisce più in fretta. Angiole', hanno messo la scadenza”.
Chiedevo spesso a Scandurra chi governava il mondo, i nomi. A me venivano in mente i massoni, o gli ebrei, i preti, oppure i banchieri.
“Non sono di queste parti”.

Scandurra, 168cm per 75kg di imprevedibilità, mostrava una pancia importante - “omo de panza, omo de sostanza” -; olivastro di carnagione, portava capelli nerissimi e un ciuffo a cascata attaccato sulla fronte, un 'emo' ante litteram. Occhi scuri vivaci da furetto. Pareva, anche fisicamente, uscito da quei romanzi sudamericani del realismo magico alla Allende, per intenderci. Non correva mai, camminava lentamente e poteva ricoprire pure grandi distanze, ma senza segni di fatica. Scandurra era un tessitore di reti e pessimo nelle scelte di abbigliamento. Era capace di non azzeccare nemmeno un colore quando sceglieva cosa indossare. Pantaloni a zompafosso, calzini rigorosamente corti, dai colori di volta in volta neri verdi gialli rossi, curiosamente possedeva però una serie di camice di pregevole fattura e costose, tutte uguali a righe blu e grige sempre portate fuori dai calzoni. In inverno indossava sovente un maglione a collo alto e scarponcini militari neri, se faceva freddo si metteva sulle spalle un cappotto tipo bulgaro sfollato, mai visto con cappello o sciarpa. Scandurra aveva una mente strategica e non sudava mai (non credo usasse botulino). Quando c'era un problema contingente che non riuscivo a risolvere, mi diceva di essere flessibile e di cambiar strategia. E quando applicavo la sua dritta e all'inizio non succedeva niente, oppure le cose peggioravano, incacchiato nero mi rivolgevo di nuovo a lui:
“Sìì flessibile e cambia strategia. - mi ripeteva stancamente - Tanto prima o poi il problema si risolve da solo e tu crederai pure di averlo risolto con la flessibilità e il cambio di strategia”.
Vi confesso che più di una volta pensavo fortemente che mi prendesse per i fondelli in maniera spudorata. Mi sembrava un bersaglio sempre mobile, non si riusciva mai a prevenirne le mosse. Lui diceva di non scoprire niente, ma di ricordare tutto.

Ero, e lo sono ancora, appassionato di rock e ambient, quanto di più lontano dai gusti di Scandurra. Amava ascoltare col suo magnetofono Phillips, le musicassette di Franco Califano, Charles Aznavur (si scrive così?), Claudio Villa, Adamo, Fausto Papetti. Bruciava bastoncini di incenso Auroville che si mischiavano all'odore di fave broccoletti melanzane cicorione, a seconda della stagione in un milieu magico-esoterico unico e irripetibile. Ed era amico di un antico abitante di Atlantide.

Le mattine dei mesi estivi, mi alzavo presto e mi fiondavo alla sua bottega. Lo trovavo chino sul giornale del giorno prima, se lo faceva mettere da parte dal barrista della via. Gli chiesi perché leggeva le notizie già accadute, lui alzava gli occhi al cielo e sbofonchiava:
“Le cose non accadono, si ripropongono come i peperoni”.
Rimanevo come un cedrone, tanto per stare in tema. Facevamo una capatina mattutina al 'baretto' come lo chiamava lui. Appena Scandurra entrava nel locale, al titolare gli si illuminavano gli occhi. 'Porta bene lo stregone', diceva. I suoi affari quella mattina sarebbero andati alla grande. Il maestro prendeva un caffettuccio corretto al mistrà, come gli ubriaconi diceva, con una bella bomba alla crema, io insieme ad un maritozzo con panna, una spuma. Verso le 10,30 appuntamento con la merendina mattutina, mi mandava dal pizzicagnolo a prendere uno sfilatino con la coppa e i sottaceti per me, per lui una rosetta con la mortadella e due peroncini freschi. Non l'ho mai visto approfittare dell'amicizia e dei favori che elargiva al prossimo. Pagava sempre quello che acquistava, ricordandomi di non fare mai debiti materiali e di pagare con moneta spirituale quelli invisibili.

Si avvicinavano alla sua bottega pure provocatori, cacadubbi, tanto per rompere. A me innervosivano molto. Scandurra quando riteneva colmo il vaso, quando si venivano a creare dissidi in seno al nostro cenacolo, in separata sede li dissuadeva a modo suo e loro non si facevano più vedere.

A volte capitava di chiudere bottega a mezza mattina, per andare a fare una capatina in chiesa. L'avevamo a due passi – cinquanta metri. Mi diceva che non c'era niente di più fresco in estate che entrare in una chiesa antica. Ovviamente la nostra non era una scelta di ristoro fisico soltanto. Facevamo un bel giro al suo interno da sinistra a destra, per poi sederci alla prima panca vicino l'ingresso, e osservavamo la volta altissima, gli affreschi, le statue, i candelabri, le immaginette votive. Mi caricavo. Quel profumo di incenso mi piaceva e mi faceva star bene. Di tanto in tanto capitava il parroco, arricciava il naso non appena scorgeva Scandurra e si dava, invece la vecchina recitato il rosario e prima di andarsene, gli chiedeva un appuntamento. Ritornando a bottega, gli si faceva incontro quel suo, per modo di dire, gatto spellacchiato chissà da quale birbonata. Lo chiamava in tanti modi come le sue nove vite. In realtà gli dava un nome per ogni occasione. Torzo, Panzanella, Coglilova, Fregnone, Puzzoloso, Fiatella, Gattomoretto, Guerro, Quelcoglione, erano alcuni dei nomignoli del micio. Mi assicurava che aveva più avventure di Mandrake. Il gatto, mi ripeteva spesso, è il primo cittadino dei due mondi, l'uomo sensitivo viene dopo, semmai.

sabato 24 aprile 2010

I.U.S. - 10

Agur-Ntà mi aveva accennato all'abisso senza fondo, dal quale avrei potuto mettermi in contatto con lui. Ma che cos'era? Intanto, mi sorrise e salutò Scandurra col segno atlantideo, si girò lentamente e si diresse verso l'astronave. Forse non andò proprio così. Fu come inghiottito da quel vascello fluttuante; vi entrò alla maniera di un atleta di salto con l'asta che, dopo aver superata l'asticella, cade pesantemente sul materasso, sparendoci dentro. Quel gigante frutto di una ingegneria esotica quanto impossibile per le nostre cognizioni, mutò in un caleidoscopio di colori, fortissimi di intensità da nascondere il resto del paesaggio. L'odore di officina meccanicà sparì, l'astronave fu fagocitata dal campo azzurrino spiraliforme, vorticoso. Dopodiché sparì anch'esso nel nulla da dove era venuto. Rimasi impietrito. Guardavo avanti a me non so più che cosa. Ci pensò il maestro a scuotermi dal torpore, dandomi una pacca dietro la testa. “E che sarà mai, Angelo. Manco avessi visto un fantasma”. Sorrisi, non avevo nemmeno la forza di chiedere il centinaio di chiarimenti a Scandurra. Il ritorno fu all'insegna del silenzio, rotto solo da un suo pensiero a voce alta: “ Debbo chiamare Duilio, la radietta non me funziona, piglia solo 'na stazione, non so proprio dove sò finite quell'altre”. Mi accompagnò a casa, dandomi l'appuntamento per la sera. Ma mi svegliai il giorno dopo, verso l'ora di pranzo. Mia madre mi aveva lasciato riposare. Le chiesi se Scandurra fosse passato la sera prima: non era passato nessuno.

Il pomeriggio mi recai alla bottega magica. Scandurra era impegnato a sistemare le bottiglie di vino del consorzio. Tutto pacioso mi chiese come stavo. “Te sei fatto un sonnarello, pupone della mamma”. Sapeva del mio crollo fisico e mi invitò a prendere un 'beverone' a base di succo di frutta, latte e rum. Benché abitualmente bevevo solo un bicchier di vino a pasto, presi lo stesso quel mix. Lo trangugiai in un sorso. Me lo aveva messo in una tazza da latte color marrone. Il sapore era forte ma buono. Mi sentii subito come rinforzato. Il retrogusto però non sapeva di succo, sviluppava un prolungato calore in gola e poi... riconobbi quell'odore mischiato al sapore di officina, lo stesso del campo che si era sviluppato intorno all'astronave. Che cosa era successo? Cosa mi aveva fatto ingerire Scandurra? Glielo chiesi.
“È il gusto dell'abisso senza fondo. Ora dovunque ti troverai, starai sempre sull'orlo. È un grosso peso e da questo momento rammentati una cosa. La vita è come un albero di Natale, c'è sempre qualcuno che rompe le palle”. Ridacchiava e questo farmi fesso da parte sua, mi indispettiva alquanto. Era mai possibile che prima disponeva e poi mi spiegava? Ebbi pure un certo timore a quel punto. Adesso cosa mi sarebbe successo? La testa mi girava: il rum, la preoccupazione, la presa in giro. Piano piano tutto passò. Ero libero, pacificato; dapprima pensai che fosse l'effetto dell'alcol. Poi, i miei occhi incominciarono a vedere e allo stesso tempo a sentire. Sentire con gli occhi. Mi mancava proprio questa esperienza. Ma cosa si profilava davanti a me?

Il sovrannaturale, il sacro, il mistico erano ambiti prettamente legati a categorie teologiche. Piani dissimili da quelli puramente fisici. Così credevo prima di conoscere Scandurra. Pensavo che il mondo interiore fosse, appunto, interno, collocato in un qualche stato dell'essere che la metafisica indù aveva indagato e descritto meglio della filosofia occidentale. Insomma il naturale e il sovrannaturale erano domini differenti, livelli non sovrapponibili. Eppure una fessura, una qualche interfaccia doveva pur esserci tra i piani. Il maestro mi fece sperimentare che noi viviamo come pesci in uno stagno, bersagliati da forze sconosciute in mondi paralleli che noi capiamo tanto poco quanto i pesci capiscono il mondo sopra la superficie del loro bacino idrico. Scandurra proponeva questo: se l'ipersfera (o come dicono i fisici, l'iperspazio) semplifica le osservazioni del mondo fisico, si può trovare in quello le fonti delle arti metafisiche come la magia, l'astrologia e il misticismo. L'ipersfera è l'abisso senza fondo, anzi, la fossa cosmica intorno alla quale orbitano dalla materia stellare a quella sottile, eterica. E non solo. Gli stessi eventi, trovano la loro origine da quell'abisso. Il tempo ci abita e si manifesta prima a lento rilascio, poi sempre più veloce. Tutto è pensiero, amava ripetere, ma un pensiero di cui pochi son capaci di averne coscienza. Un pensiero fatto di essere+energia. Dentro ogni cosa, c'era la botola attraverso la quale ci si poteva affacciare sull'abisso senza fondo. Scandurra mi aveva aperto i rubinetti mentali collegati direttamente alla fossa. Finché sono chiusi, nessun uomo può percepire tutta la realtà e forse, è un limite necessario.

Come mai prima di allora, compresi la potenza di cui era depositario Scandurra. Una potenza debordante che avrebbe fatto commettere qualsiasi crimine ai potenti della terra per ottenerla. Oggi ne parlo, perché il maestro non è più tra noi, o meglio, probabilmente è più qui di un tempo, solo fuori portata per chiunque cercasse di carpirne i segreti con intenti meschini. Qualcuno sorriderà, ritenendo che sia la solita menata sui buoni propositi, il fine elevato quale condizione necessaria per acquisire l'arcano. Quando menti folli sono in sincronia creano una realtà alternativa, uccidono per ragioni inventate, trovano ragioni per agire facendo di se stessi un punto fermo nell'universo. È contro tali uomini che Scandurra si batteva e lo faceva a modo suo. All'inizio della mia avventura, a Viterbo la gente conosceva il mio maestro semplicemente come mago di quartiere, uno dei tanti occultisti, rispetto alla media ci indovinava, questo lo rendeva unico, però rientrava comunque nella sociologia di una società frammentata, dissociata, nevrotica. Il suo camuffamento era efficace, un guaritore semianalfabeta, magari sui generis in quanto non si faceva pagare e viveva dell'attività commerciale di frutta e verdura, ma pur sempre una persona dal basso profilo, restio ad una vita di relazione normale. Un sociopatico come ce ne sono tanti. Da evitare, certo, secondo cattolici borghesi democristiani comunisti cartesiani. In pratica, ma di nascosto, ci andavano pure loro. Scandurra possedeva segreti.

I suoi segreti appartenevano ad un pensiero antico, no, nemmeno, un pensiero senza tempo e sfaccettato, trascolorante verso forme mediate, elusive, volutamente sincretistiche. È giunto il tempo: ho ricevuto una vecchia consegna, ossia quella di portarli di nuovo alla luce. Per millenni, l'arte dannata e oscura era retaggio di pochi iniziati, spesso reietti e perseguitati dalle chiese e dai mercanti, oggi è svelata attraverso il mio raccontare, senza veli, dando le coordinate per chi volesse seguire il medesimo cammino. Non crediate però, amici, che per il solo fatto di divulgare un segreto, esso sia utilizzabile come una formula matematica – anche se a volte, lui me lo faceva credere. Per far sì che sia attivata la potenza ci vuole qualcosa che è nascosta dentro di noi, la chiave, poi trovatala bisogna cercare e trovare la porta. Solo chi ha già aperto la porta può insegnare ad altri come fare, così, un anello si aggancia al precedente fino a formare una catena che regge i mondi.

martedì 20 aprile 2010

INCONTRO CON UN UOMO STRAORDINARIO – Contatto! - 9




Ora, tutti gli apocalittici per nulla integrati che mi stanno seguendo, credo abbiano la sana curiosità di sapere cosa mi disse l'atlantideo. Ma di ciò più avanti. Ora mi preme fare alcune riflessioni sui massimi sistemi, già, e non per spocchia e narcisismo, semplicemente perché la potenza di cui era portatore Scandurra, rispondeva a precise, per quanto comunicabili, leggi cosmiche. Non stava insegnandomi una fuga dalla storia: piuttosto, la incorporava mappandola, e così facendo la dominava. Da più parti, nelle forme più varie e da un secolo a questa parte, la figura del maestro, del guru, dell'istruttore spirituale, è tornata alla ribalta, con personaggi particolarissimi che non sempre rispondevano agli stereotipi letterari o religiosi. Tra loro, le monete false e autentiche si avvicendavano con estrema facilità, ma non per questo venivano meno i discepoli, anche quando i presunti maestri risultavano essere dei cialtroni. La sete di assoluto e la brama di potere andavano di pari passo. Se esiste un criterio di valutazione, seppur relativo, sulle cosiddette guide, ritengo sia quello della gratuità del messaggio e dell'insegnamento in primis, poi la funzionalità della sua applicazione. Se metto in pratica un metodo che mi porta a vivere uno stato speciale di coscienza fatto di gioia, serenità e conoscenza, tutto induce a credere che quanto mi insegna il maestro è moneta sonante. Poi, se mi trasmette un corpus di tecniche e dottrine misteriche, non se le fa pagare a tanto a stage. Se è quello che dice di essere, l'iniziato non chiede ma tutto gli viene dato, quello che serve e niente di superfluo. Il triste caso di Ramta, è emblematico dei tempi che stiamo vivendo; quanto di più falso, manipolativo, spudorato ci possa essere oggi, riscuote successo e denaro a palate. Il senso critico di chi cerca la conoscenza è assai limitato, se una volgare imbrogliona americana riesce a gabbare tanta brava gente con così poco. Ma tantè. Il vannamarchismo è il migliore alleato del sistema.
Detto questo, passiamo a cose interessanti.

Scandurra non solo non ha mai accettato un soldo da nessuno che favoriva, anzi, non di rado metteva mano al portafoglio e, meglio ancora, metteva in moto le energie necessarie perché una data resistenza, un blocco, un ostacolo venissero dissolti. Ripeto, sebbene fosse circondato da libri di magia e stregoneria, edizioni rare di alchimia e spagiria, non ne faceva uso, diceva che servivano per eludere gli scettici e i creduloni. Lui manipolava gli archetipi, che però denominava “stelle”, dissolveva latenze e simulacri psichici, faceva parlare i resti animici dei defunti, e quando le cose si mettevano assai male, chiamava i suoi vecchi compaesani atlantidi per trovare rimedio a problemi riguardanti l'altro mondo. Non aveva alcun rapporto con l'autorità viterbese, viceversa non di rado la sua bottega era oggetto di controlli da parte della polizia e pure spiato da pie donne al servizio di un vescovo 'solerte' (in realtà, un vigliacco puttaniere invidioso). Non ebbe comunque mai fastidi con la giustizia, visto che non violava il codice penale, se non bastasse poteva vantare – si fa per dire - tra i suoi “clienti” giudici, avvocati, militari, politici e non solo del posto. Addirittura, alcuni preti ricorrevano alle strane arti di quell'oscuro 'fruttarolo', ignorante nei modi e tremendo nell'azione. Un noto esorcista di Viterbo chiedeva spesso consigli a Scandurra.

Più volte mi ero avventurato in discorsi che vertevano su chi governava il mondo, su cosa si poteva fare contro il male, insomma questioni della massima importanza, che né la cultura cattolica né quella laica mi avevano mai convinto sia come analisi che come possibili vie d'uscita. A Maritain e Marcuse, preferivo il “fruttarolo delle stelle”. Per lui, quei porci bastardi a capo della cricca mondiale, ci controllavano attraverso l'uso del sesso e delle fantasie corrispondenti, così da frammentare la nostra coscienza già fiacca in molteplici parti, che formavano un mare mentale, senza sponde, attraversato da correnti sotterranee terribili alternate da ristagni insopportabili. I porci bastardi, come li definiva, controllando le nostre fantasie ci condizionavano il destino. La cricca imperante sa tutto tranne la verità. Scandurra ridacchiava allora, perché lasciava intendere sin troppo palesemente questo concetto che amava ripetere: “Io non so nulla tranne che la verità”.
“Vedi Angelo, tutto nel mondo è mistero e noi, poveri sopravvissuti, abbiamo l'obbligo di occuparcene. E chi se non noi?”.

“L'Universo adopera trucchi e mascheramenti e quei cog... di professoroni scambiano la merda per la cioccolata e ti raccontano pure che è bella vista da lontano”. Ribattevo che allora la fisica si sbagliava su tutto e che l'osservazione della realtà era quindi fuori portata. Ma Scandurra sosteneva che il problema riguardava solo l'interpretazione delle cose. Vedi sempre quello che sai, e non ci sono santi, ripeteva, non ci sono storie. Noi osserviamo attraverso filtri, opinioni, soltanto l'intuizione, una scarica elettrica che fa il giro della testa, velocissima a tal punto che nemmeno si muove perché è già arrivata, ecco, scopriamo che una cosa può esser vista in un altro modo, forse quello più prossimo alla verità. Un po' di mentuccia romana mischiata a dei fiorellini di campo, diventa un propellente che ti fa arrivare dove vuoi; attenzione, Scandurra diceva pure che le droghe erano per i deboli che si accontentavano di vedere il riflesso della Luna nella pozzanghera, mentre noi ci andiamo direttamente. Due foglie di piante diverse se fatte bollire insieme, diventano la candela che scintilla e avvia il nostro motore e partiamo. Prima di sperimentarle, credevo che le esperienze descritte dal maestro fossero comunque interiori, psichedeliche per intenderci. Lui rispondeva:”Pisichedè... mah, quello che provi dentro, se è totale, lo provi fuori”.

Di fronte a me l'atlantideo. Il volto lucente, di una bellezza non umana, virile e dolce.
“Ora sei parte del tutto”. La sua voce la sentivo dentro e fuori di me.
“L'abisso senza fondo si è aperto, così potrai chiamarmi. Fratello 'Scandù_rra' – pronunciò il nome del mio maestro come mai lo avevo sentito – ti indicherà come metterti in contatto. Dovrai mutare qualcosa in te. Le particelle antiche si risveglieranno dai millenni, la luce stenderà i suoi raggi.”
Ero incantato ma forse pure intronato. Ascoltavo quello che mi diceva, ma non compresi subito. Particelle, parte del tutto, abisso, raggi. Quell'uomo forse era come me e come gli altri, eppure così diverso, così lontano appariva. L'astronave fluttuante dietro di lui l'avrei potuta quasi toccare, un sogno vero per ogni ufologo, ma che dico, per ogni abitante di questo mondo. Non riuscivo a trattenere i pensieri. Mi svuotavo. Dentro/fuori non erano più categorie fisse. La grandezza, ecco, la grandezza mi avvolgeva. Mi sentivo anch'io grande nella mia fragilità di uomo del XX° secolo. L'atomica, l'astronautica, cosa erano di fronte alla grandezza di una civiltà incredibile antichissima, un popolo che aveva raggiunto le stelle e poi, ancora oltre, universi dimensioni realtà, e dopo tutto questo la sparizione dall'amato pianeta e poi ancora, il ritorno.

Ero forse tra i primi uomini a ricevere la visita degli atlantidi. Almeno nei primi anni settanta. Che dite? Era l'epoca del rock, della rivoluzione dei costumi, del viaggio sulla Luna. I capitalisti contro i comunisti e tutti contro la religione. E noi a Viterbo incontravamo il fantastico oltre ogni immaginazione. Mi ero imbattuto nel passato remotissimo della Terra e mi sembrava di vivere un milione di anni nel futuro.

venerdì 16 aprile 2010

INCONTRO CON UN UOMO STRAORDINARIO - 8


Scandurra mi diceva che l'umanità è sulla Terra per essere felice e non per subire torture fisiche e psicologiche, conseguenti a squinternate credenze che hanno finito per diventare leggi. Ribattevo che la realtà poi ci faceva penare e malgrado le religioni, la scienza, le ideologie, le cose andavano sempre peggio. E lui di rimando: “ Per secoli alcuni grandissimi stronzi hanno generato una fede cieca verso ciò che non si vede e non c'è e una drammatica disattenzione verso ciò che si sentirebbe, solo rimanendo un secondo in silenzio. I preti ci dicono che Dio c'è ma non si vede, che il Regno di Dio c'è ma lo si vedrà dopo nell'aldilà, contraddicendo quanto invece indicato da Cristo. Tutto è sottoposto al giudizio della vista. In realtà si vede ciò che si conosce. Se non conosco Dio come posso vederlo? Basterebbe mettersi in uno stato di vero silenzio, ascoltare prima e sentire poi. Così facendo si incomincia ad apprendere e a conoscere. Se sto zitto, dopo un po' di rumore di fondo come quello del nastrino magnetico non inciso, qualcosa incomincerai a sentire. Un suono profondo, esteso. È l'inizio. Quando tutto è incominciato”. Il maestro mi diventava pure cosmologo.
“Il pensiero non è l'effetto del cervello, come dite voi che avete studiato? Il nerone?”. In questi casi lo correggevo non per fare il maestrino, ma perché mi divertivo un mondo quando interpretava lo zuccarone. “Neurone, Scandurra, alcuni scienziati ritengono che il pensiero sia una proprietà del neurone”. E lui, ridacchiando, terminava col dire: “ Il pensiero non è una proprietà del neurone, ma dello spazio dove si accende. Un suono quindi, sempre una vibrazione iniziale”.
I primi tempi che bazzicavo la bottega magica, chiedevo insistentemente a Scandurra lumi sulla religione, sullo spirito. Mi rispondeva che per fare esperienza di ciò che i professoroni chiamavano il sacro, tutto ciò che bisogna fare era guardare nel cielo notturno: la Via Lattea si estendeva come un lenzuolo sopra i templi della terra, squarciato da stelle cadenti. E mi lasciava così sospeso mentre pronunciava Via Lattea, con un tono di nostalgia infinita. Se non cerchi il potere, mi diceva, allora conoscerai l'universo e vi potrai andare. Ogni uomo è dotato della grande energia vivente, la luce, che è parte stessa della densità multidimensionale del cosmo. Potrai viaggiare in istantaneo se muovi il meccanismo scatenante che lega l'energia pura alla forma materiale. Basta estrarre luce dalle cose, da qualunque cosa.

A due metri dalla mia postazione di fortuna, un cespuglio, di fronte a Scandurra c'era l'uomo proveniente da Atlantide. No, non è l'incipit di un fantasy anni 40, ma è quanto mi è accaduto in un pomeriggio di Agosto, sopra un poggio-stargate a pochi chilometri da Viterbo. Il mio maestro era in grado di comunicare attraverso un sistema psicotecnico – ulteriori dettagli in seguito - con un altra dimensione inserita in un flusso temporale dissimile da quello in cui ci stavamo muovendo. L'uomo, lo avrei saputo poi, aveva un nome, Agur-Ntà, il cui suono lo avvertivo all'altezza del mio sterno.
Agur-Ntà era più antico dei Fenici, degli Egiziani di Ramsete, prima ancora dei testi Veda indù. E me lo trovavo di fronte, imponente, luminoso come forse 12mila anni fa lo erano gli antichi uomini della Terra, fatti di materia ed energia radiosa.
Ad un certo momento Scandurra si girò verso la mia direzione e mi fece cenno di avvicinarmi. A quel punto sentii le mie gambe molli, feci una fatica spropositata per dirigermi verso di loro. Non avevo più un corpo. Avevo la testa leggera. Gli fui davanti e notai che non respiravo, avevo difficoltà, ansimavo ma non riuscivo ad immettere aria nei polmoni. Credevo di svenire. Agur-Ntà mi sorrise e mi toccò la spalla destra. Un calore buono, fortificante mi investì. Ripresi completo possesso delle mie facoltà, ma la cosa incredibile è che mi trovai nel suo campo di forza – direi oggi – in una condizione di sospensione, di stasi: questa era la descrizione idonea. Si rivolse a me, come se fosse la cosa più naturale del mondo e il bello, è che lo capivo perfettamente.

lunedì 12 aprile 2010

INCONTRO CON UN UOMO STRAORDINARIO - 7

L'antico cittadino di Atlantide, con tono sommesso, parlottava con Scandurra amabilmente, almeno così pensai. Sembravano due vecchi compagnoni che si incontravano dopo anni di lontananza. Già, lontananza spaziale o temporale? Formulai varie ipotesi, anziché tentare di capire cosa si dicevano e in quale lingua. Forse una sorta di semantica universale, oppure l'idioma della razza madre dell'umanità? Comunque interloquivano senza interruzione. Non usarono, in quell'occasione, la telepatia, sistema a quanto pare molto in uso secondo i contattisti. Riuscii ad intercettare alcune parole dell'atlantideo, le pronunciava aspirando, le ricordo benissimo e come avrei potuto dimenticarle, del resto:

NTÀ MARMUU NTÀ K(C)ARIS ETROO DOR

Mi venne in mente, secondo l'etichetta, la remota possibilità che il mio maestro mi presentasse l'amico. Attesi con evidente frenesia. Intanto la gigantesca astronave fluttuava come in un acquario, poco più su e dietro le spalle dell'astronauta. Era immensa, sembrava fatta di metallo e qui il condizionale è d'obbligo, forse di una lega particolare, perché mutava sensibilmente di lucentezza, così pure il suo colore andava dalle tonalità di grigio azzurro fino al nero. La sua forma era di piramide allungata rovesciata su di un fianco, piena di protuberanze coniche, cilindriche e altre che non riuscivo nemmeno a distinguerle. Poi, il vortice azzurrino era un portento. Girava e proiettava scariche elettriche (?) verso l'esterno. L'aria si era fatta, come dire, densa, erano spariti gli odori di campagna sostituiti da quelli di officina meccanica o di laboratorio chimico; non saprei descriverli meglio. Ragazzi, mi trovavo in pieno IR del terzo tipo. Forse quell'essere non era un extraterrestre, oppure era più terrestre di noi uomini moderni.

Faccio una necessaria precisazione. Mi son deciso a svelare alcune delle mie esperienze sul blog e senza tentazioni di pubblicarle sul cartaceo (qualche editore pazzo lo avrei trovato) e magari farci qualche soldino, come molti colleghi spiritualisti (presunti) fanno con mirabile coerenza; dicevo, mi son deciso perché i tempi lo richiedono. Poiché quanto avvenuto in quegli anni a me e a pochi fortunati, ritengo sia utile se non determinante proprio per affrontare quanto ci resta prima del grande cambiamento. Gli insegnamenti di Scandurra ci conducono ad affrontare con stato d'animo diverso e profondo questo scorcio di kali-yuga ormai giunto alla fine. L'operazione di divulgazione da me decisa mi espone ovviamente a critiche legittime e intelligenti, ma pure a sfottò o sberleffi da parte di una maggioranza di lettori poco inclini ad interrompere per un po' la logica e lo scetticismo. Ho le spalle grosse e in virtù della lezione di Scandurra, niente e nessuno potranno mai cambiare quanto ho visto e appreso. Ogni cellula del mio corpo e particella dell'anima è pregna di Vita vissuta, di esperienza fatta e digerita. Quello che mi preme è donare a chi è pronto a ricevere quanto posseggo e conosco. A molti rimarrà il rammarico di aver rinunciato ad una chance per capire l'uomo e il mondo.

Ho sufficiente materiale da farne una trilogia libraria. E come un romanzo in progress, lo pubblicherò tutto entro giugno del 2012. Gli anni in cui vissi e sperimentai con Scandurra, rimangono impressi nel mio cuore e nella mia mente, mi hanno trasformato profondamente. Alchimia pratica, materie oscure, come le chiamava lui. Debbo però pure sottolineare che per il mio maestro, il fenomeno per quanto strabiliante serviva a poco se non si faceva un passo verso il risveglio. Non era nemmeno un fanatico della dottrina, se questa non era in grado di cambiare le cose o l'uomo. Col suo parlare tranquillo, semplice e dalla sintassi creativa, era in realtà capace di dispute dialettiche e di scontri logici con chiunque. Un nostro amico di avventura, esperto di radiotecnica e di elettronica – diverrà in seguito medico e fisico, un mezzo genio – insieme ad un altro, laureato in filosofia, cercavano a volte per sfida o per diletto di incastrare Scandurra. Alla fine, ci azzittavamo per ascoltarlo. Ogni obiezione, ogni diatriba, si esauriva. La conoscenza sacra, diceva, è come una ceriola imbottita di prosciutto, costa più del panino con la mortadella, che rappresenta invece il sapere profano. Però, in definitiva, è solo una questione di gusto...

Lungo un decennio, dal 1971 al 1981 - nel pieno della mia amicizia e discepolato con Scandurra - gli effetti del suo insegnamento e delle esperienze fatte insieme, si traducono in una visionaria tragicità cosmologica, i miei molti appunti e resoconti coniugano alle visioni verso dimensioni altre, lo sguardo del ricercatore sul campo, fino a rendere i due piani intercambiabili. E la cerniera tra la percezione magica e il mondo esterno è data da una dottrina eversiva, ironica, luminosa e oscura. Fuori da ogni scolastica esoterica. Privo di intenti manipolativi, Scandurra non ha fondato una setta, non ha condizionato mai nessuno. Era un viaggiatore insolito proveniente da mondi lontanissimi che ha fatto scalo a Viterbo, un microsobborgo dell'impero amerikano. Ha incontrato un manipolo di amici, dalle estrazioni diverse ma con un unico obiettivo: uscire da un mondo di merda, borghese, ideologizzato, un mondo servo di una scienza essa pure al servizio del sistema, senza compromessi chimici né derive occultistiche.

giovedì 8 aprile 2010

INCONTRO CON UN UOMO STRAORDINARIO – Il Vascello fantasma. 6




E pensare che fino al 1971 non sapevo nulla di Carlos Castaneda e il suo mentore don Juan, altrimenti lo avrei citato per plagio. Seguivo con tutta l'anima e l'intelligenza un autentico uomo di potere e testimone di una tradizione millenaria. Tradizione che Scandurra faceva risalire agli atlantidi, civiltà avanzatissima al punto tale da poter fare a meno di strumenti e di tecnologia; capace di viaggiare tra le stelle con vascelli-fantasma (così il mio maestro chiamava i dischi volanti) oppure di autodistruggersi. Mi raccontava che Atlantide fu colpita da un cataclisma cosmico e geologico: a causa di un uso perverso della scienza alchemica da parte di una elite di goeti, si venne a creare un sisma fuori da ogni scala che produsse 13 onde oceaniche alte cinque chilometri che sommersero l'intero continente situato tra l'Europa e l'America. La gilda, attuando reazioni nucleari prodotte con gli ultrasuoni, scosse a tal punto la materia e lo spazio che si liberò un tuono di inaudita potenza da provocare uno squarcio nel continuum. Un varco dimensionale agganciò l'intero continente così da impedirne l'inabissamento. Non fu distrutta Atlantide, ma scomparve dalla nostra percezione ordinaria.
La collina dove ci eravamo recati per assistere chissà a quale evento ufologico, in realtà era ben altro e molto di più. Scandurra chiamava questi luoghi 'prese', punti-di-contatto con dimensioni tangenti la nostra. L'uomo che intravedevo tra le rovine di un antico casale, non era un villano medievale. Sulla sua tunica vi era impresso un drago stilizzato, uno dei simboli di Atlantide. Il Drago era a custodia del Giardino delle Esperidi così come del mitico continente: forse lo stesso luogo.
Il maestro mi aveva mostrato una finestra temporale, meglio, un portale. Che uomo era realmente Scandurra? Da cosa o da che gli derivava un tale potere? Scombussolato com'ero, forse impaurito, non lo so, ma quella sagoma che lentamente si muoveva e ci veniva incontro, non era certamente di questo mondo, di questo tempo, di questa parte di realtà. Avvicinandosi a noi, mi accorsi che era alto più di due metri, il viso risplendeva di una luce ulteriore, distinguibile persino in un pomeriggio d'estate. Sorrideva con quel suo viso bello, i tratti somatici erano quelli di un europeo del nord. Era ormai a pochi metri da noi, quando sgranai gli occhi. Ehilà, mi accorsi di una cosa strabiliante: comparve o c'era sempre stata, poco distante da lui, un'astronave pazzesca. Somigliava – scusate il paragone ma era quello che mi venne in mente – a quella disegnata da Karel Thole per una delle innumerevoli copertine di Urania, libri periodici di fantascienza della Mondadori. Ecco, adesso penserete che vi racconto delle panzane o che ho svalvolato. E come darvi torto. Siccome non mi può interessare di meno di quello che pensano gli scettici di professione, e visto e considerato che tutti coloro che mi seguono li considero meno fessi di quelli del Cicap e più aperti mentalmente, continuo.
Il vascello era di dimensioni notevoli, lungo trenta metri e largo almeno dieci, antenne, pinnacoli, geometrie aliene, insomma una visione fantastica. Era sospeso ma galleggiava, ondeggiando. Da quello che sembrava il tubo di scarico dell'astronave, fuoriusciva una spirale azzurrina gigantesca, occupava praticamente tutta la sommità del poggio. Appresi in seguito che non si trattava di gas di scarico, bensì ci trovavamo di fronte ad una specie di intercapedine dimensionale, una scorciatoia VQM verso l'infinito ed oltre. La spirale girava vorticosamente e mi metteva un certo disagio, nemmeno timore, disagio come se mi trovassi fuori posto. Ricordo bene questa sensazione. La provai altre volte.
Intanto l'uomo era di fronte a noi. Scandurra si alzò e gli andò incontro con fare normalissimo. Mi sembrava tutto surreale, felliniano: un fruttivendolo di Viterbo che intratteneva rapporti con un pilota proveniente da un'altra dimensione o galassia, anzi, un atlantideo redivivo in visita parenti. Pezzi grossi, banchieri, leader politici, praticamente merdacce rispetto al mio maestro.

martedì 6 aprile 2010

INCONTRO CON UN UOMO STRAORDINARIO - L'ALTRO REGNO. 5

All'inizio del mio apprendistato col maestro Scandurra, ero solito investirlo con domande sull'occulto, i fenomeni paranormali, lo spiritismo. Il più delle volte, con fare gigione, mi rispondeva che più che parlarne bisognava provarle. Non c'era giorno che non facevamo i cosiddetti “esperimenti”. Trascurando la scuola, mi immergevo nel pomeriggio e per buona parte della notte in pratiche di magia cerimoniale, medianismo, regressione ipnotica, raccolta dei semplici. Frequenti erano i contatti con i luoghi di potenza sia in città che in provincia, tra etruschi e templari, catari e massoni; ogni traccia magica, presidio, magione, rovina o grotta, tomba o casa infestata, mi faceva credere di essere un personaggio tratto da un romanzo di Lovecraft. Lettore nonché cultore di ufologia, abbonato al mitico mensile Il Giornale dei Misteri, ero collegato a vari gruppi ufologici che pullulavano in Italia negli anni settanta. Il fenomeno dei dischi volanti mi affascinava in modo particolare che cercavo ingenuamente, come tanti miei colleghi, di scoprire finalmente il segreto delle sfere multicolori che sfrecciavano sopra le nostre teste da millenni. Scandurra non poteva non sapere. La mia ossessione doveva trovar ragione in una risposta, anche estorta, al mio maestro. Sembrava facile, ma non lo era. Lui svicolava come una biscia quando diventavo insistente. Giocava al gatto col topo. Mi lanciava continuamente trappole. Un pomeriggio infine, forse impietosito dalla mia insistenza, ci recammo in un posto dove avrei trovato, a suo dire, la risposta alla mia domanda. Poco distante da Viterbo, viaggiavamo sulla strada Tuscanese con un andatura da passeggiata archeologica a bordo della sua mitica 500, ad un certo punto svoltammo a sinistra per una stradina sterrata e ci fermammo presso un fosso. Un piccolo cavalcone ci permise di oltrepassarlo a piedi, per poi dirigerci verso una collinetta, sulla cui sommità avrei trovato quanto desiderato. Ero elettrizzato, perché il mio maestro riservava spesso sorprese incredibili. La mia immaginazione creava astronavi-madri sbuffanti di vapore e pronte al decollo. Alieni benedicenti e cordiali, insomma tutta la casistica a portata di mano...
Avevo addirittura staccato Scandurra sulla salita, meglio di un grimper sul Passo Coppi. Quasi senza fiato giunsi in cima. Sembravo un bambino davanti ai regali di Natale, ma anziché i doni trovai le rovine di un casale. Niente più. La delusione fu profonda. Mandai dei colpi al maestro, subito ritirati per ovvia prudenza. Dopo un po' fece capolino dal sentiero, si asciugò il collo col fazzoletto e fece un bel respiro. : “Caro Angelo, abbiamo fatto tardi, il disco è appena partito, peccato”. Essere preso per i fondelli pure, mi sembrava troppo. Stavo per avere una peste emozionale quando vidi Scandurra acquattarsi dietro una fratta e fece cenno di avvicinarmi...

Era un bel pomeriggio di Agosto, un caldo pazzesco. Il maestro la chiamava 'la callaccia', ti si attaccava addosso e non ti faceva respirare. Insetti rompiscatole ci si avvicinavano senza timore. Lui scrutava il cielo come se dovesse aspettare da un momento all'altro chissà cosa. Dopo una prima curiosità, pensai in una sua nuova fregatura per saggiare la mia pazienza già esigua. Ci trovavamo ad alcuni metri dalla casa diroccata. Ad un certo punto, vidi una figura comparire al centro di quella che doveva essere la camera principale. Si distingueva benissimo. L'uomo portava delle brache, paragonabili a dei grossi mutandoni lunghi sino ai polpacci, muniti di lacci per sostenere i panni da gamba. Indossava delle calze solate o almeno questo sembravano. Sopra le calze-brache, una tunica gli scendeva fino al ginocchio. Sembrava uscito da un set cinematografico per un film in costume medievale, vista la nitidezza del vestiario. Aveva un ciuffo di capelli a caschetto e rasato tutt'intorno, dalle tempie alla nuca. Si muoveva lentamente in direzione dell'uscio o di quello che rimaneva... Il sudore mi calava sugli occhi, pensai di avere delle allucinazioni. Con un fazzoletto mi detersi il viso. Quella sagoma era sempre lì. Dimenticai di respirare. Non volevo far rumore. Malgrado la calura provai un brivido di freddo lungo la schiena e i capelli dietro la testa mi si rizzavano, a conferma che mi trovavo di fronte alla presenza di un perispirito. Che c'entravano, però, i dischi volanti con tutto questo?
(continua)

lunedì 5 aprile 2010

INCONTRO CON UN UOMO STRAORDINARIO - IL PRIMO PASSO. 4

Scandurra era diverso da qualsiasi altro guru mago sensitivo, che la pubblicistica potesse mai descrivere. Era un briccone divino. Attraeva per i suoi modi spicci, volutamente grossolani e popolari, una faccia birichina - ma sarebbe meglio definirla da figlio di madre ignota - e occhi che sembravano guardare oltre la persona. In realtà, lo ricordo per le sue idee strabilianti e per le gesta inusitate. Mi ha insegnato prima di tutto che un ricercatore spirituale - ma lui lo definiva un apprendista di materie oscure - necessitava di un'attitudine alla nobile umiltà di capire un mondo nei suoi propri termini. Quando studiavo e praticavo le cosiddette 'materie oscure', dovevo prima di ogni altro atteggiamento sospendere la mia incredulità e seguire perfino negli eventi più strani e inesplicabili un modello o una logica nascosti: questa passione per l'entrare nei processi mentali di un argomento lui la comparava all'eros. Eros, amore o amplesso del mondo, è una forza reale che può sbloccare i misteri dell'universo. Scandurra caricava le proprie immagini magiche col potere dell'eros. Oggi, mi rendo conto che quanti sbraitano alla luna di cose arcane o gli intellettualoidi con la panza e la tessera di partito come L'Eco Umberto nazionale, i credenti come gli agnostici furbetti, sono degli illetterati metafisici. La Chiesa si abbarbica sulla ragione e su altre moderne nevrosi; la Scienza avvinta dagli interessi delle Corporation, quando non addirittura direzionata verso la follia della ricerca del Bosone di Higgs per imitare il Creatore o per negarLo; e tutti a reprimere l'immaginazione. Scandurra, un venditore di frutta di un piccolo capoluogo di provincia, licenza elementare conquistata con le "zeppe" come mi confessava allegramente, ebbene un povero ignorantello almeno secondo questa società, manipolava materia mente e natura. Mi diceva sempre:"pensa con le figure". Pensare per immagini. Questo il primo passo sulla Via. E tanti primi passi mi fece fare, tanto che un giorno gli dissi, un po' scocciato, che a furia di fare primi passi avevo fatto il giro del mondo e lui, tranquillamente, mi rispondeva:"Il mondo, ma questo è solo il primo passo....".

sabato 3 aprile 2010

INCONTRO CON UN UOMO STRAORDINARIO - La porta verso un altro universo. 3


Che cosa intendeva Scandurra per magia? Abracadabra? Sim sala bin? Nulla a che vedere con le cialtronerie di maghetti furbetti, tanto meno può esser messa in relazione con le 'vannamarchi' che infestano televisioni e giornali truffando la povera gente. No, la magia del mio maestro è cosa ben diversa da quanto noto a livello profano e persino dissimile da quanto sostenuto da pseudo-iniziati oggi in voga, che sbraitano sul web parlando di arconti demiurghi arcangeli senza aver mai fatto esperienza diretta di niente. Gli anni '70, in quel di Viterbo, hanno significato una congiunzione cosmica specialissima che ha provocato un'apertura di un portale arcano, tanto da rivaleggiare con le più notorie città magiche del mondo come Londra, Torino, Praga. Esagero? Chi ha conosciuto quell'uomo, chi ha vissuto a Viterbo in quel periodo e si è imbattuto in quei personaggi che seguivano Scandurra, può testimoniarlo.
Dicevo: che cosa era la magia per il mio maestro? Il dominio sui poteri dell'immaginazione, dell'inconscio e dell'eros. Un mondo che connetteva, in un modo dimenticato per l'uomo moderno, conscio e inconscio, individuo e cosmo. Scandurra ci insegnò le operazioni metafisiche della mente. Egli non era un erudito, anzi, se possibile quantificare la sua ignoranza, sapeva poco o niente di cose profane; scriveva in dialetto viterbese, parlava pure peggio in una sorta di slang appartenente al sottoproletariato urbano; non sapeva far di conto se non addizionare e sottrarre. Insomma per i benpensanti era l'emblema di una testa di legno, inutile per la società o addirittura pericoloso. Per chi lo ha conosciuto era un genio, un uomo di potere, forse un folle di Dio, per alcuni del diavolo.

Scandurra mi insegnò (insegnare per lui era 'far vedere') che gli uomini erano connessi gli uni agli altri nonché al loro universo per mezzo di raggi invisibili. Vidi, grazie ad una sua digitopressione portata su di un punto dello sterno, una realtà intorno a me decisamente diversa, fantasmagorica, composta di filamenti e aloni dai colori sgargianti o grigio-neri, che entravano e uscivano dalle persone da direzioni verticale orizzontale obliqua, con un andamento ondulatorio e velocità variabile. La visione era curiosissima, simile ad un effetto moviola: la sua bottega, la strada all'esterno, i palazzi intorno, inseriti in una specie di acquario a galleggiare. Tale percezione serviva a conoscere la natura delle persone oltre le maschere, la natura della materia oltre la forma aggregante, la natura del tempo non lineare. Incredibile. La prima volta che ebbi la visione delle materie oscure (così le chiamava senza aver letto Blake) per alcuni giorni provai fastidi agli occhi, all'udito e all'equilibrio; in seguito, imparai a gestire la visione. Tempo, spazio e conoscenza in un'unica esperienza. La fisica quantistica? Double Slit? Entanglement? Quisquilie, pinzellacchere. Scandurra proveniva da un altro universo allo scopo di ripristinare un sistema interdimensionale perduto, qui in terra, insieme a pochi altri viaggiatori. Non voleva discepoli, ma amici. Se ne fregava dei soldi e delle cose, pur potendone possedere a iosa. Preferiva essere sottovalutato e ignorato, sebbene fosse capace di violare a piacimento le leggi della fisica: apporti, telecinesi, chiaroveggenza, precognizione. Apriva portali su altri mondi – oggi si direbbe stargate – per poi richiuderli con facilità, come fossero portiere di automobili. Non so quanti crederanno a quanto da me descritto, dico soltanto che la Potenza, quella vera, abitava in un quartiere popolare e antico di Viterbo e riceveva donne e uomini tra frutta e verdura e gli cambiava la vita, il destino. A volte ho creduto veramente che nulla gli fosse vietato... come quando una sera d'estate prendemmo la provinciale verso Monteromano e a qualche chilometro dal paese gli chiesi cosa sapeva dei dischi volanti. Gli descrissi gli effetti che producevano sugli uomini e sulle cose, quando a dieci metri dal paese mi chiese: “Tagliano pure la corrente elettrica?” Pochi secondi dopo, un black out colpì Monteromano, lampioni stradali, luci casalinghe, cessarono di funzionare. Scandurra sorrise e attraversò lentamente la via principale con la sua cinquecento. Sconcertato, provai ad avere spiegazioni da lui, invano.