Chi legge "esamini tutto, ma ritenga solo ciò che è giusto".

La mente non è un vessillo da riempire, ma un fuoco da accendere.

venerdì 28 maggio 2010

IUS 17

Rabbà disse: se i giusti volessero, potrebbero creare un mondo, perché è detto: sono i vostri misfatti che fanno la differenza fra voi e il vostro Dio. (Isaia 59,2)

''Due particelle +/-  o sanno quello che fanno o è meglio che non s’incontrino mai”,   perché l’atomo che è nato almeno 13,7 miliardi di anni fa,  non poteva venir fuori  rabberciato alla meglio….Questo vuol dire che la prima particella +  e la prima particella -  avevano previsto ogni particolare,  per poter aderire alle tantissime leggi della fisica atomic''. Massimo Corbucci, Alla scoperta della Particella di Dio, pag.  134

"Questa vasta dimora della natura è costruita con molte ali, ognuna delle quali ha il suo ingresso. Il fisico, il chimico, il biologo entrano da porte diverse, ognuno ha la sua sezione di scienza, e ognuno arriva a pensare che sia un suo dominio speciale, distinto da quello degli altri. Noi dobbiamo invece ricordare che tutte le indagini hanno come scopo il raggiungimento del sapere nella sua totalità. Nelle mie ricerche sull'azione delle forze sulla materia, mi sono stupito nello scoprire che si annullavano linee di demarcazione e che emergevano punti di contatto tra il mondo vivente e il non-vivente. Ciò significa che dovremmo abbandonare tutti i preconcetti, gran parte dei quali risultano in seguito assolutamente privi di fondamento e contrari alla realtà". Jagadis Chandra Bose


Una Anonima Talenti si stava formando pure a Viterbo. Eravamo ben decisi e convinti a seguire in tutto e per tutto, il nostro maestro. Diatribe personali, piccole competizioni egoiche, infantilismi ancora da risolvere, sfumavano; ci si aprivano orizzonti altrimenti solo sognati o immaginati. La nostra città smetteva di essere un modesto e dimenticato capoluogo di provincia, per diventare un astroporto verso altre dimensioni, dove un saltafossi degli spazi ignoti ci faceva sperimentare cosa poteva fare realmente l'uomo, grazie all'emersione delle sue meravigliose latenze. Scandurra non voleva costituire un sodalizio superomistico, composto di egolatri intenti solo all'ottenimento di poteri paranormali – sebbene la tentazione di certi personaggi orbitanti nella bottega magica, fosse forte - , ma preparare donne e uomini liberi alle materie oscure, per svolgere compiti specialissimi tra universi tangenti. Da favola e da brivido.

Seguendo le istruzioni sommarie del maestro, mi immersi lentamente nel fosso. L'acqua salmastra era fredda, densa. Con i piedi cercai il fondo, ma con mia grande sorpresa sembrava non esserci. Mi immersi fino alla testa e mossi le braccia e le gambe per rimanere a galla. Mi prese un po' di strizza. Poi, feci esattamente quanto mi suggerì Scandurra: abbassare la testa e piegare il dorso. Presi quanta più aria possibile e mi calai dentro quella pozza. Mi raggomitolai in posizione fetale. Dopo alcune decine di secondi, l'ossigeno nei miei polmoni si esauriva... non vidi più nulla. Buio pesto. L'erbaccia e chi sa cosa altro mi si attorcigliava addosso. Passai momenti di panico. Notai l'esaurirsi del mio spirito di conservazione: giacevo passivo e sconsolato in quel nero acquitrinoso. Non avevo reazioni. Ero come svuotato, inerte. E scendevo in direzione di un fondo che forse non c'era.
Un bagliore frontale, dapprima tenue poi più forte, mi indicò la via da seguire. Con una bracciata mi diressi verso quella luce brillante. Alzai la testa e distesi il corpo e toccai il fondo con i piedi; l'acqua mi arrivava al petto. Tornai a respirare l'aria. Tossii e sputai. Mi trovavo sotto una volta, alta non più di due metri, che dava in una galleria ascendente e illuminata da una qualche fonte non distinguibile. Mi inoltrai con circospezione. C'era un odore di bosco, sebbene non notai alcun tipo di vegetazione. Man mano che salivo l'acqua si abbassava, dopo alcuni metri non ve ne era più traccia. La galleria saliva con un angolo di 10/15gradi, il fondo era morbido, sembrava moquette; era larga circa un metro e mezzo, scavata nella roccia in maniera perfettamente levigata. Che fosse una costruzione artificiale non c'erano dubbi, ma chi l'aveva fatta?
Mi resi conto soltanto dopo alcuni minuti, che ero completamente asciutto; dalla testa ai piedi non c'era nemmeno una goccia d'acqua. Infatti, un leggero vapore caldo inondava la galleria e pensai che potesse dipendere da questo. Non vi erano rumori, nemmeno i miei passi sentivo. Sembrava tutto insonorizzato come in uno studio di registrazione atipico. Provai a fischiettare. Niente, non sentivo niente. Mi prese un po' di angoscia. Dove mi trovavo? Dovevo continuare a camminare? Verso dove? Cosa avrei trovato alla fine della galleria? C'era una fine? Cento domande mi affioravano, senza uno straccio di risposta. Non mi rimaneva che andare avanti, anche perché ritornare indietro, al punto in cui mi trovavo, non avrebbe avuto senso. Almeno così mi convinsi. Aumentai il passo. Sgombra la mente, Angelo. Mi sentivo bene, mi liberai dei pensieri molesti e affrontai l'avventura col giusto piglio. Avevo voluto la bicicletta...

Subentrò ad un certo punto un'idea, non del tutto campata in aria, visto che mi trovavo nel viterbese: ero in un camminamento sotterraneo etrusco. Ovvio pensarlo. Però, così come mi era venuta, scartai l'ipotesi. Conoscevo sin troppo bene il mondo etrusco. Questa galleria era moderna, illuminata non si sa da che cosa e questo, già di per sé, rendeva tutto enigmatico, lontano da vestigia note. La questione della luce che inondava tutta la galleria senza poterne individuare la provenienza, mi intrigava molto. Ricordai di aver letto qualcosa su fiaccole eterne presenti in gallerie segrete e cose del genere, concernenti i Rosa+Croce, ma un conto è apprendere queste cose a mo' di leggenda, con i “si dice, si racconta”, altra cosa è vederle di persona. Mi trovavo dentro un mistero. Mi venne la pelle d'oca e un certo senso di inquietudine.

Erano già passati dieci minuti d'orologio. Dell'orologio proprio volevo parlarvi. Una premessa. Sono sempre stato un appassionato di questi strumenti di precisione, sebbene le mie finanze non mi permettevano acquisti onerosi. Insomma, tra permute e risparmi, ero riuscito a procurarmi un Omega Speedmaster: uno degli orologi più precisi dell'epoca. Bene, dicevo che erano passati almeno dieci minuti, in realtà tale computo lo dovetti fare a istinto, perché la lancetta dei secondi del mio Omega andava visibilmente all'indietro. Sì, amici, all'indietro, ed erano passate secondo il mio cronografo, o meglio, anticipate, almeno due ore. Dove stavo? Forse quel vapore era tossico e mi procurava allucinazioni; oppure la mancanza di ossigeno durante l'immersione, aveva comportato delle alterazioni neurologiche, per cui in uno stato semi comatoso viaggiavo in chissà quale mondo della follia. Mentre elucubravo, inciampai in qualcosa e caddi in avanti, evitai una smusata per pochissimi centimetri, grazie alla prontezza di riflessi mi sostenni con le mani. Questo fatto mi convinse che non sognavo e non ero vittima di allucinazioni: sentivo il mio peso, il piccolo choc da caduta, insomma ero vivo e vegeto e presente a me stesso. Piuttosto, cosa mi aveva fatto cadere? Non vi erano gradini o sassi, niente che sporgesse dal suolo. Feci per rialzarmi e proprio di fronte a me, stava una porta rossa di spesso cristallo, rettangolare, priva di maniglie che chiudeva la galleria. Lasciava intravedere poco, oltre il vetro: forme in movimento. C'era al di là della porta qualcosa o qualcuno, comunque. Forme mobili, vive, quindi. Visto e considerato che mi trovavo lì, non fu né difficile né geniale decidermi di bussare e semmai di spingere la porta. Chi domanda non fa errori.

Mentre mi accingevo ad entrare, ricordai una basilare raccomandazione di Scandurra. Apriti al cosmo, mi ripeteva, e sentirai fluire dentro di te un treno d'onde. Il flusso celeste ti permetterà di entrare nell'ipersfera, nel baratro senza fondo. Cambiando la mia vibrazione e frequenza, potevo mettermi nelle condizioni ideali per entrare in contatto con qualsiasi materia. Conoscenza e prassi; diventare l'oggetto conosciuto; diapason vibrante con ogni cosa; estendere il mio campo di forza in ogni dove. Per conoscere bisogna identificarsi con ciò che si vuole conoscere. Annullare la distanza tra me e quello che guardo. Soltanto in questo modo, posso veramente comprendere. Il mio corpo diventava alchemico, si trasformava. Purtroppo tale trasformazione non era stabile. Richiedeva ancora del tempo. Già riuscire ad innescare mutamenti parziali, limitati, era comunque una condizione eccezionale. Come un'autoallucinazione, vibrava ogni cosa dentro di me, emergeva una nuova tensione. Non mi sentivo più sparso, disciolto in strutture psichiche e fisiche. Non ero più scisso, l'io retrocedeva nella serie cadetta, per lasciare il campo alla mia essenza. Diventavo la chiave-codice per oltrepassare la soglia...

lunedì 24 maggio 2010

IUS 16

Bancario tutta la vita? No, grazie, senza offesa per la categoria. Preferivo crepare come saltafossi, tentare l'impossibile, scoprire mondi, regni paralleli, sforare verso un intermundia oltre ogni ragionevole dubbio, che vivere e morire da nevrotico borghese. Riflettevo su quanto mi aveva confidato Scandurra: sgattaiolava tra dimensioni, aprendo e chiudendo botole, come lui le chiamava, verso un baratro senza fondo, affacciandosi oltre ogni barriera spazio-tempo, poteva così accedere in ogni dove. Notevole, che ne dite? Un Mandrake redivivo. Ma che dico: un dottor Strange, un John Silence, un Cagliostro rivisitato. Mah, tra personaggi letterari, maghi veri o presunti passati alla storia tra luci, poche, e molte ombre, è difficile far paragoni. Scandurra ripeteva di provenire da un'anonima talenti, radunata da un principe della cosiddetta nobiltà nera romana. Una gilda di persone, donne e uomini, dotate di straordinarie capacità paranormali. Eccezioni di natura che per qualche dinamica celeste specialissima, erano venuti al mondo con un compito più che con un destino. Avrebbero comunque dovuto scegliere.

Scandurra ci rendeva partecipi di una visione del mondo di tipo esoterico; aggettivo fin troppo abusato, da alcuni decenni a questa parte. Lui, negli anni settanta, denominava le sue dottrine “materie oscure”, perché esistenti fin dalla fondazione del mondo. E, vi devo confessare, sento con malinconia mista a fastidio, oggi, di “pischelli” spirituali che pontificano di guerre tra Luce e Tenebre, arconti e maghi, senza la benché minima cognizione ed esperienza di quanto vanno raccontando. Vedete, il tirocinio con Scandurra non aveva niente a che spartire con scuole alla Harry Potter, lontano anni luce dalla fumettistica marvelliana o dai manualetti acquariani; era un cammino sacro, con conseguenze radicali sulla nostra vita, produceva, infatti, reazioni fisiopsichiche sconvolgenti; l'impatto di quanto andavamo facendo e acquisendo, riguardava un vero e proprio trasmutamento, fino ad interagire col DNA. Devo dirla tutta, a scanso di equivoci e di aspettative facili: alcuni miei amici che inizialmente hanno “bazzicato” la bottega magica, sono fuggiti a gambe levate e denunciando temporanei disturbi fisici e mentali. Scandurra ci sottoponeva ad un iter pesante, inframmezzato con momenti beati, sì, ma niente era gratuito, tranne il Dono che a fine corsa ci trasmetteva. Lo voglio ulteriormente sottolineare. Amici, quando leggerete queste Cronache, capirete sin da subito che niente è facile sul cammino dello Spirito e della Conoscenza. Lacrime e sangue, ma pure gogna sociale, politica e religiosa. Oggi, non c'è più storia né memoria. Abbiamo dimenticato che da quando il mondo ha preso una piega cosmica siffatta, l'uomo libero è il mostro da perseguitare e uccidere. Lo dico e lo confermo: se volete imbarcarvi in un cammino iniziatico munitevi di mutande di bandone. Nei testi cosiddetti esoterici si glissa colpevolmente su questo pericolo. Non credete troppo al tempestivo aiuto da parte di angeli splendenti che vi porteranno in salvo da arconti birboni; non credete a chissà quali potenze cosmico-divine che vi sosterranno durante l'armageddon. Le cose non stanno come le raccontano. Ci sono ottimi eruditi e qualche volta pure qualcosina di più, che hanno scritto libri interessanti, a volte pure con dati autentici, su questioni esoteriche. Ho notato però che sono manchevoli spesso e volentieri, della pratica, della messa in opera, me ne sono accorto perché il morso del Drago fa male, eccome. Discettare di cose alte, iperuraniche ci riempie, certo, ci eleva, pure, poi, all'atto pratico, quando molto semplicementi ti metti a meditare, o meglio, cerchi di entrare in uno stato meditativo, ecco dietro l'angolo il fardello di paure, pensieri, desideri che ti paralizzano. E stiamo accennando solo all'inizio dell'opera. I mostri interiori sono i più duri da sconfiggere. Lì si trova la grande barriera corallina dell'ego. Impenetrabile. Oltre non si passa. Ho vomitato, defecato sangue e vecchi rifiuti chissà da dove riscappati, subito stati depressivi, incubi diurni e notturni, febbri, sconvolgimenti sensoriali: questo solo all'inizio della Nigredo, intaccando il nocciolo duro dello stato del mio essere. Chi chiacchiera di esoteriche vie; chi proclama trombonescamente di battaglie interplanetarie: in buona parte parla di cose che non conosce, di cose apprese sui libri e spesso mal digerite. Amici che leggerete queste Cronache, la Via è quasi impossibile da praticare, a meno ché non si incontra un folle che c'è passato prima. L'autoiniziazione non esiste, è un concetto new age, facilone e infondato. Diffidate di voci interne – Giovanna d'Arco era un'entronauta atipica e forse unica nel suo genere – che vi inducono ad iniziare il cammino, promettendovi ruoli epocali. Amici che leggerete queste Cronache, se avete nel vostro cuore un fuoco che non brucia e vi induce a cercare, seguitelo, ma preparatevi alla Vigilia delle Armi: sarà lunga e sfiancante.

No, decisamente, volevo provare direttamente il salto. Non poteva bastarmi una vita ordinaria, magari con una fede traballante, un'etichetta da appiccicarsi addosso senza brama, priva di pazzia, di fervore. Francesco d'Assisi abbandonò tutto quello che una vita agiata gli prometteva per unirsi anima e corpo a Dio. Un esempio sull'esempio di Cristo. Uno yoghi cosmico che operava in Umbria. Senza tentennamenti, senza passare per chiese e preti, senza compromessi. Del resto, Scandurra voleva questo da noi: lascia le vecchie credenze e convenzioni, metti sul piatto della Vita quel poco che credi di essere e libera i talenti latenti.

Di fronte a me l'occasione di vivere in prima persona l'incredibile. Avevo già visto cose di altri mondi e dimensioni. Avevo ben impresso nella memoria l'incontro con l'atlantideo, fratello in spirito di Scandurra. La cultura dominante, la religione di Stato, la scienza ufficiale, ci avevano tradito, riducendo il mondo e l'uomo ai minimi termini. Il maestro ci aveva aperto le porte, anzi, le botole verso altro, oltre lo specchio. Non avevo bisogno di alcuna fede, sapevo. Ora dovevo però fare il salto di qualità, buttandomi nel fosso. Già, sembrava una burla colossale. Ma la desideravo come l'aria. Immergendomi in quella melma, sarei passato dall'oscurità della coscienza ordinaria, alla luce della conoscenza. Esoterismo pratico, alchimia operativa, magia stellare... etichette, sempre etichette, per natura approssimative. Le materie oscure erano fatte di cose concrete, di formule funzionali, bisognava però immergersi completamente, saltare oltre la volta, portarsi al di là con quel poco o tanto che eravamo. Non c'è trucco non c'è inganno. I conti? Con se stessi, prima, col Drago, poi.

Spesso, ci facciamo un'idea di ciò che ci aspetta, magari prima di un esame, di un appuntamento galante, di un lavoro. Elaboriamo uno scenario capacie di includere anche l'imprevisto. È naturale, ma non sempre si avvera.

“Il corridoio di accesso è tutt'altro che ben sistemato. Bisogna che abbassi la testa e curvi il dorso. Dovrai ricorrere a miracoli di destrezza per posare i piedi lì.” Questo mi indicò Scandurra.
“Ma non glielo hai detto a Zac. Lui si è buttato alla cieca ed è andato tutto bene. Ora mi fai venire i dubbi...”
“Vedi che non sei pronto. Dai, ci ritorneremo un'altra volta.”
“Va bene, va bene. Farò come mi hai detto. Devo sapere qualcosa in più? Cioè, che fare quando mi troverò lì? Ma dove si trova lì?”
“Angelino mio, che vuoi la carta del Touring Club?”
“Ho capito. Mi immergo.”

giovedì 20 maggio 2010

IUS 15


Quella sera terminò così. Zac era euforico e corse verso casa, salutandoci. Scandurra tutto contento si stringeva al petto il giubbotto di pelle regalatogli dal suo allievo più promettente. Io? Ero in uno stato pietoso. Mi rodevo dall'invidia, ce l'avevo col maestro e poi, dell'avventura dell'amico, niente, tutto rimandato al giorno dopo.
Ma così non fu. Per ordine di Scandurra, su quanto accaduto in quel viaggio dimensionale, spaziale o come diavolo definirlo, il massimo riserbo. Perché mi lasciava così? Perché Zac e non io, era andato in quella missione? E, ancora, perché mi tenevano all'oscuro di tutto? Che il maestro avesse deciso di fare una scrematura tra i suoi fedelissimi? Queste e altre domande angosciose mi mulinavano in testa. Non ci potevo far nulla, non mi stava bene. Avevo dedicato a lui, giorni e giorni di massima attenzione, di pazienza, di sottomissione addirittura; gli avevo, come si dice dalle nostre parti, “portato l'acqua con l'orecchie”, ma tutto questo non bastava, no, non era sufficiente.

Passai notti insonni. Non mi ero più recato da Scandurra e cercai con tutta la volontà di pensare ad altro. Mi misi a studiare e a frequentare la Biblioteca provinciale. Ritornai ad allenarmi con la squadra di calcio del mio quartiere e mi riconquistai un posto da titolare. Le domeniche andavamo a giocare per il campionato e le trasferte diventavano vere e proprie avventure, tra tifosi assatanati e arbitri “venduti”. Insomma, ritornai al mondo reale.

Il morso della vipera non cicatrizza. Il mondo occulto ribussò alla mia porta. Una sera, insieme a mio padre, vedevamo la partita del mercoledì di coppa, dove era impegnata una squadra italiana contro una tedesca. A quei tempi il nostro era un calcio tattico fino all'ossessione, Gianni Brera sosteneva il modulo e auspicava maggior atletismo, ma era ben conscio che l'italiano aveva limiti ben precisi. Insomma, noi si giocava in contropiede e l'avversario ci assediava. Il portiere italiano diventava l'eroe della notte. Una telefonata ci fece trasalire. Andai a rispondere.
“Angelino che fine hai fatto”, era Scandurra con tono sardonico. “La notte è troppo bella per passarla davanti al televisore. Dai, ti vengo a prendere”. Ero tentato di rispondergli con un secco 'no'. Il richiamo della foresta era però più forte.

Ero deciso a tenermi sul distaccato forte, non volevo fargliela passare liscia. Ripensandoci oggi, mi viene da sorridere, ma il 1972 avevo 14anni e certe mie posizioni erano naturali. Scandurra guidava con la sua solita flemma, poteva benissimo chiudere gli occhi e zigzagare per le viette di Viterbo antica senza problemi. Uscimmo dalle mura cittadine e ci recammo verso la fontana del Boia. Vi confesso che il cuore mi stava per sfondare il petto dall'emozione. Accostò e scendemmo. Stavo per incamminarmi verso il fosso quando il maestro mi trattenne.
“Dove vai? Pensi di scendere laggiù? Ti senti pronto? Stasera volevo soltanto fare un giretto e bere da questo fontanile dell'acqua fresca. Tutto qui.”
“Ma Scandurra, mi hai fatto venire per farci una bevutina serale? Non capisco. Zac ha avuto una possibilità incredibile ed io rimango al palo. Non capisco che devo fare. Ci sono figli e figliastri, evidentemente. Se sono pronto? Questo lo stabilisci tu, ovvio, però ho diritto ad una spiegazione se non ti dispiace.”
Il maestro mi guardò nelle 'palle degli occhi', come soleva fare e dire, poi si umettò le labbra e si diresse in direzione del fosso. Lo seguii un po' crucciato e una punta di vergogna incominciò a salirmi da dentro. Con mia sorpresa, davanti al fosso, sostava una macchina di grossa cilindrata. Scandurra si avvicinò al finestrino e bussò. Due uomini, uno sulla cinquantina e l'altro che non aveva più di venti anni, si tirarono su da una posizione supina, seminudi. Il più grande abbassò il finestrino e impacciatissimo salutò Scandurra.
“Ciao carissimo, sai, stavo facendo vedere questo lotto ad un mio cliente... ehm, è intenzionato a comprarlo per costruirci.”
“Dottor Federici, il posto è proprio bello, specialmente di notte. Spero che il suo cliente non se lo lasci sfuggire. Ma vedo che le ha già anticipato un acconto. Bene, è meglio non perdere tempo. Dottore, un saluto alla signora e buonanotte”.
I due 'uomini d'affari', in fretta e furia, si ricomposero e sparirono nella notte alzando un polverone. Scandurra si mise a ridere alla grande. Conoscevo di nome il dottor Federici. Noto proprietario terriero e di diversi negozi al centro, democristiano doc e dirigente dell'azione cattolica provinciale. Insomma, un notabile influente e ascoltato nei salotti che contano. Certo, pur di fare buoni affari, era disposto a tutto. Mi rivenne il buon umore e risi col maestro.
“Copulavano, eh? Senza invidia.” Sentenziò Scandurra. Si accovacciò presso il fosso e come se pensasse ad alta voce pronunciò uno dei suoi teoremi:
“La Materia è così evanescente da diventare un buco, lo Spirito può riempirlo completamente perché è solido”.
La serata era fredda ma bella. Mi sentivo come riconciliato col maestro. Compresi che ero stato infantile. Possedevo dentro di me la sacra fiamma, non avrei potuto far altro che incamminarmi lungo i sentieri della conoscenza. Detto così sembro enfatico, ridondante, ma chi mi conosce sa bene che è la mia natura. Mai ho aspirato ad una vita borghese, ad una mentalità borghese, ad una fede borghese. La religione cattolica mi stava stretta, almeno quella che ho conosciuto sin da bambinetto. La liturgia, la preghiera, il rapporto col prete, mi apparivano esperienze fiacche. Non volevo sentir parlare di Dio e del Suo Regno, desideravo sperimentare, percepire. Non era orgoglio il mio, ma una sete inattenuata di assoluto, di segrete cose. La sacra fiamma per essere acquietata, pena la distruzione, deve canalizzarsi. Ringrazio il Padre Celeste che mi ha condotto il maestro a tempo debito. Non tutto quel che vidi, compresi. Non tutto quel che feci, imparai. Di tentativi ne feci tanti e di sbagli, altrettanti.

Dapprima l'odore proveniente dal fossato era insopportabile, poi cambiò. Diventava sapore, lo sentivo in bocca. Sapeva di metallo.
“Ti senti pronto?”, mi chiese di nuovo Scandurra.
“Credo di sì, però tu conosci meglio di chiunque altro, cosa sono in grado di fare.”
All'improvviso sentivo le gambe molli, la pancia mi bruciava... Mi rendevo conto in quel momento di quanto fosse difficile, incognito entrare lì dentro.
“Si fa presto a dire: esiste solo ciò che vedo. Si fa presto a dire: vedo solo ciò che esiste. Ma pochi dicono: proviamo. Vedi, Angelo, da giovinetto facevo parte di un'anonima talenti, una gilda. Gente con poteri non comuni. Il principe ci addestrò a rendere questi poteri utili, chiavi per accedere ad altre dimensioni. Ci indicò come trovare le botole che si affacciano su altri mondi. Alcuni di noi, forse per superbia o perché smisuratamente sciocchi, pensarono bene di modificare addirittura gli altri universi. Sembrava tutto pazzesco, ma anche drammatico. Un compagno sparì. Un altrò ritornò svalvolato e non si riprese più. Per me, da principio, il potere era una enorme scocciatura; vedere il destino ultimo delle persone, cambiare le cose, manipolare la materia, mi faceva alla lunga soffrire. Poi imparai ad usarlo per accedere e compresi il fine. Essere cittadino dei due mondi, pendolare senza scalo fisso, oltrepassatore di ponti, saltafossi: questi i compiti. Zac è tosto ma non è questo il suo lavoro, tu, invece, potresti ricevere la stessa consegna. Si fa sul serio, maledettamente. Dovrai rinunciare a molto, forse a troppo. Però, c'è sempre un impiego in banca che ti aspetta.”

venerdì 14 maggio 2010

IUS 14


Zac mi guardò e di fronte alla richiesta del maestro di scendere in quella pozza, siccome non poteva rifiutarsi, pena la supposta declassazione a discepolo inaffidabile, con una vocina flebile flebile, gli chiese:
“Come mi accorgo dell'avvenuta consegna del pacchetto? Immagino che il fondo sia torbido...”
“Zacco, è un gioco da ragazzi – interruppe Scandurra – lì sotto c'è un nodo dell'ipersfera [baratro senza fondo] e ogni effetto è relativo soltanto a se stesso. Il nodo è una stazione di transito tipo la stazione di Orte Scalo, con la differenza che anziché dall'energia elettrica, è alimentato da una Nova [È un'enorme esplosione nucleare causata dall'accumulo di idrogeno sulla superficie di una nana bianca, che fa sì che la stella diventi, per qualche giorno, molto più luminosa del solito. La parola nova può indicare sia la causa del fenomeno sia la stella stessa al momento dell'esplosione. Va da sé che Scandurra poteva benissimo usarla come simbolo ]. Così la chiamano ed è una parola che mi piace. Non temere, non può succedere nessuno scambio di energia tra te e la Nova, qui nel nodo, a meno che tu non sia un anomalo e allora saresti cotto come un supplì. Eh eh eh, pensa, 130kg di frittura”.
Zac riuscì persino a sorridere e mi fissò come se fossi l'ultima persona che avrebbe visto sulla terra.
Si levò il giubbotto di pelle e le scarpe, poi si sedette ai bordi del fosso e con circospezione vi si immerse. L'acqua era gelida e limacciosa, se le smorfie di Zac non ingannavano, ma ciò non gli impedì di accennarmi alla sua ex, circa alcune pratiche che erano in mano al suo avvocato. Scandurra sorrise e chiese a Zac se gli lasciava quel suo bel giubbotto, aveva sempre desiderato averne uno ma non se lo poteva permettere. Per un attimo pensai ad una sua burla, uno scherzo da prete insomma. Che ci facevamo al freddo ed in procinto di gettarci in una fossa?
L'amico architetto prese un bel respiro e si inabissò, già, questo è il termine giusto. Le onde che provocò sembravano quelle californiane. Mi guardai istintivamente intorno. Non c'era anima viva. Dopo qualche secondo la superficie del fosso cominciò a... friggere. Mi spaventai ricordandomi dell'osservazione del maestro sui supplì, stavo per buttarmi pure io per salvare Zac, che però fece capolino lentamente e sbuffò per qualche secondo e ci sorrise.
“Siete qui ad aspettarmi? Grazie amici, ma io stavo una favola. Gagliardissimo. Mi hanno cercato allo studio? Che gli avete detto? Ma che mi frega. È meglio di un romanzo d'avventura. Grazie, grazie, Scandurra, ti sono debitore per sempre. Posso ritornarci? ah, dimenticavo, tutto a posto, il pacco è in buone mani. Mamma mia, è fantastico. In confronto sto' mondo è un lungo incubo. Non immaginavo che fosse così facile l'accesso e da qui, in una pozzaccia di acqua salmastra.”
Uscì dal fosso. Corsi a prendergli un plaid nella sua auto. Lo ritrovai che parlottava col maestro. Lo avvolsi tutto sebbene una parte rimaneva fuori, vista la sua mole.
“Ma quanti giorni sono passati? Sei, sette? Certo, dopo una settimana lì, ritornare a studio... a Viterbo... che pal...”
In pratica, non erano passati più di dieci secondi. Ah, dimenticavo: tempo terrestre.

sabato 8 maggio 2010

IUS 13

Dovete sapere che da quando ho incontrato il maestro nel lontano 1971, ho tenuto un diario giornaliero su tutto quello che facevamo. Cronache, aneddoti, dottrina, insegnamenti, esperienze singole e comunitarie. Migliaia di pagine. Quindi, obbedendo ad una sua richiesta, sto gradualmente facendo conoscere al mondo Scandurra, o meglio, le 'materie oscure' come le chiamava lui. In verità, forse pochi di voi leggeranno questi post, ma chi lo farà avrà l'occasione di avvicinarsi a cose mirabili, meravigliose, accadute negli anni settanta ma ancora operanti, oltre i confini dei mondi.
Ho già accennato altrove che Viterbo riveste un ruolo di eccellenza sul piano sottile che va ben al di là di quanto si ritenga in certi ambienti occultistici rinomati. Perché questo? La natura specialissima, oserei dire quasi unica, che Viterbo possiede rispetto a città notoriamente magiche come Praga, Parigi, Londra, Lione, Torino. Viterbo è innanzitutto uno dei pochi scali atlantidei presenti in Europa. Tale asserto riguarda non l'idea di un posto scelto per necessità dai superstiti dell'inabissamento del mitico continente; anche perché noi sosteniamo la tesi che Atlantide è sparita, cambiando posizione rispetto al continuum spazio-tempo, incastrata nell'intersezione di due universi. Si sono in realtà stabiliti nell'alta Tuscia per scelta, perché tale territorio rispondeva a precipui parametri al fine di realizzare un portale che consentisse l'accesso tra i due mondi-universo, in pratica hanno deviato sullo svincolo della tangenziale che passa sul confine dimensionale. Se avrete pazienza vi darò la mappa con relativa legenda, dei portali atlantidei.
Il bello è che non provo alcun imbarazzo a sostenere come sto facendo da tempo, storie oltre ogni logica e fuori dall'ordinario. Conducevo programmi radio e poi televisivi sui misteri prima che Giacobbo mettesse i denti da latte. Quindi sono recidivo e senza speranza che rientri tra le categorie degli integrati. Mi auguro sinceramente che queste mie asserzioni siano sbertucciate e considerate fesserie da quegli scettici in servizio permanente effettivo, e siano invece prese seriamente dai pochi lettori in sintonia. Questo perché se mi espongo così - non avendo intenti lucrosi o di propaganda ideologica - vorrei evitare che intrusi e profani (Il Gruppo) si mettessero in testa strane idee di sfruttamento su informazioni di rilevanza eccezionale (almeno per chi sa di cosa parlo). Nel momento in cui diffondo le materie oscure, so bene di andare incontro a pericoli di ogni genere, tuttavia se viviamo l'ultimo spezzone di tempo prima del grande cambiamento, chi è animato da buone intenzioni deve avere il sacrosanto diritto di poter accedere alla conoscenza, senza intralci e persecuzioni ulteriori, dopo secoli di dominio politico-religioso, lucifugo e liberticida. Oggi ci troviamo tutti di fronte ad una situazione, volenti e nolenti, credenti e scettici, di epocale stupidità e pure di invisibile profondità: questa situazione è creata ad arte da un consorzio di interessi globali. Di fronte a tale momento, ritengo utile indicare una via di fuga a quanti la vorranno percorrere, a quanti avranno il coraggio di scegliere. Io la trovai già negli anni settanta con Scandurra e nemmeno me ne accorsi, credendo di non essere testimone del grande salto dell'umanità. Oggi, esclusi noi folli apocalittici, chi parla di fine del mondo in Occidente. La Chiesa cattolica? Ma per favore, hanno ben più prosaici problemi di sesso e di bancomat. I governi politici? Non esistono, in quanto il mondialismo ha azzerato la libertà, manipolato l'informazione, asservito la scienza e costretto i popoli a pensare poco e soffrire di più. Siamo solo noi a cercare la verità a qualunque costo.

Zac col suo sigaro perennemente acceso, attendeva in macchina l'arrivo di Scandurra. Io invece, per non sopportare il fumo, ero uscito e passeggiavo nervosamente sullo sterrato, a pochi metri dalla famigerata fontana. La temperatura era bassa, indossavo un loden, un berretto e una sciarpa che mi avvolgeva tutto; tuttavia il freddo si faceva sentire. L'architetto mi chiamò per sapere come stavo. Aveva notato la mia contrarietà.
Dovete sapere che all'inizio dell'apprendistato con Scandurra, tutti noi temevamo di essere poco considerati da lui. Quasi si sgomitava per entrare nei suoi favori. Dinamiche usuali in certi ambienti, evidentemente. Non avevamo ancora compreso che per ricevere il dono, non contava l'intelligenza, la simpatia, la presenza, ma la conquista del rispetto e della dignità. Voleva da noi il segno della predestinazione: colui che è degno, regna.
Zac, benché separato dalla moglie con tutti gli strascichi del caso, conservava il suo stile di sempre, le abitudini di sempre, le voglie di sempre e proprio per questo Scandurra gli disse all'indomani della separazione:
“Zacco mio, sei destinato a separarti da tutte le donne del mondo, perché continui a non separarti dalle tue cose di sempre”.
La 500 del maestro si avvicinava alla sua consueta andatura, piano andante. Accostò dietro Zac. Gli andai incontro e gli chiesi se dovevamo aspettare pure gli altri.
“Angiolè, stasera voglio solo voi, i migliori”. E rise soddisfatto. Io trattenni un moto di rabbia. Zac uscì anche lui e fece cenno al maestro se voleva un sigaro. Era quasi una pantomima, perché Scandurra fumava solo Nazionali senza filtro, le più tremende, puzzolenti, sigarette sul mercato. Però le accettava se gliele offrivano, per poi regalarle. Così fece per il sigaro.
In fila longobarda seguimmo il maestro mentre si inoltrava in un campo incolto, pieno di erbacce e sassi.
Dopo alcuni minuti, egli si fermò presso un fosso puzzolente e dall'acqua sporca e stagnante, per quanto ci fosse consentito vedere. Scandurra si guardò intorno come era solito fare, poi depositò delicatamente nella buca il pacco marrone che aveva destato il mio interesse a bottega.
Zac ed io ci guardammo attoniti e smarriti. Che cosa c'era dentro il fagotto? Perché lo gettava? Il maestro si girò verso di noi:
“Questo fosso è la finestra sulla voragine senza fondo da cui si creano gli universi. L'acqua notturna è il punto di transito, il conduttore. Vi chiederete che cosa ci ho immerso?”
Zac con garbata ironia, disse che non ci aveva nemmeno pensato a chiederselo. Io rimasi in uno stato indefinito, fatto di sconcerto, voglia di sapere, capire cosa fosse il baratro senza fondo dietro ogni cosa.
“Ebbene, amici cari, dovete sapere che da quando divennero abituali le mie sortite tra i mondi, vi sono certe commissioni da fare e alcuni compiti da adempiere. Stasera non sbaglio nemmeno la grammatica, ma mi rifarò”.
Scandurra ci teneva sulle spine, aumentava il mistero e poi, non ci aveva ancora spiegato cosa fosse quella cosa. Questo suo atteggiamento credevamo, inizialmente, che fosse un pretesto o un gioco per catturare la nostra attenzione, procurandoci indignazione. Imparammo col tempo che voleva indurci ad entrare in una sorta di sintonia d'onda, in uno stato speciale seppur tenue di coscienza.
“Ora Zac, vorresti aiutarmi? Tuffati nel fosso e verifica se il pacco è arrivato a destinazione”.

domenica 2 maggio 2010

IUS 12

Come il miele attira l'orso, così Scandurra attirava una tipologia di persona ben nota negli ambienti spiritualistici ed esoterici. Provo a disegnarne il profilo e credo che voi, amici del blog, riconoscerete i tratti tipici di quel personaggio che compare ogniqualvolta si vuole formare un cenacolo spirituale. Non credo di esagerare, ma lo aggiungerei tra i tipi psicologici junghiani. Innanzitutto battezzerei così il tipo: il sinistro. Proprio perché tale, il sinistro non vuole essere catalogato sotto etichette semplificatorie. L'uomo sinistro è uno specialista di dubbi e sottigliezze, un cacaminuzzoli, un formulatore di obiezioni e di distinguo, e talvolta anche un azzeccagarbugli. Il sinistro, come gli è connaturato, deve arrivare alla scelta finale – appartenere o non appartenere a quella comunità? - attraverso un complicato processo mentale e psicologico, che affronta incertezze ontologiche, logistiche, e alla fine non scioglierà comunque i suoi dubbi, le sue riserve, rimanendo sospeso perennemente tra essere battitore libero e coscienza superiore, oppure infiltrarsi con tutte le cautele del caso. Di solito il sinistro è uomo di cultura forte ma di mente debole.
Di sinistri ne abbiamo incontrati diversi all'epoca della nostra avventura, a me davano un fastidio insopportabile, ma anche per i miei amici non era facile convivere con tali rompicoglioni specializzati. Scandurra non amava chi si adoperava solo per il gusto di veder distrutto ogni tentativo di amicizia e di crescita; lui era aperto ad ascoltare, ma fino ad un certo punto. Affermava di non essere depositario della verità, ma di una potenza ancestrale, da millenni trasmessa selettivamente maestro/allievo e poneva una condizione: non doveva essere interrotta. Respingeva quelle intrusioni di perdigiorno e spie. Ci avvertiva che quando un domani avremmo dovuto ritrasmettere il dono, non dovevamo indugiare con i potenziali candidati: o dentro o fuori. Le dispute accademiche, i tentennamenti amletici, erano banditi dal nostro lavoro. Le cose serie erano per le persone serie. Non dobbiamo dimostrare niente a nessuno, non dobbiamo fondare né una chiesa né una scuola, ma soltanto esser degni di ricevere il dono, e basta. Filosofie, esoterismi, seghismi, se non strumentali alla comprensione, non erano di casa nella bottega magica.

Ammusato, altro nomignolo del gatto, era entrato come una furia in bottega. Due clienti si spaventarono e Scandurra fece loro cenno di star tranquilli.
“Avrà combinato qualche casino e lo stanno inseguendo col lansagnolo. Se lo beccano lo spellicciano tutto e gli starebbe pure bene a quel faciolone”.
Il gatto si imboscò dietro a delle cassette accatastate. Mi venne da ridere visto il muso del felino. Era quasi ora di chiusura serale e il tempo non era certo clemente. Tramontanina targata Viterbo. Del resto era inverno. Il maestro dopo aver servito i clienti, indossò il cappottone da profugo, prese dal bancone sigarette fiammiferi chiavi e un pacco marrone che aveva destato la mia curiosità. Uscimmo dal negozio e gli chiusi, come ero solito fare, la saracinesca. Chiesi del gatto.
“Quando incontri il tuo nemico, senti il sangue scorrere e cantare in un ritmo inebriante, perdi così ogni pesantezza terrena. Non ti importa della vittoria, non temi morte né dolore delle ferite. Zampilla dentro una droga che impregna il tuo sangue, la mente e l'anima. Diventi un freddo testimone e questo è il primo passo in battaglia, è il senso del combattimento. Se possiedi l'inizio, il resto è inevitabile. Il gatto, in questo momento, attende questo primo passo, il suo sangue si sta trasformando per andare incontro al nemico. Oppure si sta cacando sotto... ehhhhhhh”.
Sì, vabbé.
Ci salutammo per quella sera. Me ne tornai un po' deluso dal pomeriggio. Mi creavo sempre delle forti aspettative dal maestro. Ero animato da una fretta, da un desiderio profondo di concludere, di sapere, di fare. Volevo pure io il dono. Ecco, questo volevo.

Scandurra aveva una logica da mago, la prova concreta della possibilità di un principio ordinatore del cosmo, che tutto il reale – soprattutto la parte ignota – è razionale, che ci sono sintesi a priori del tutto incommensurabili. Un oggetto malefico/negativo, secondo una sua definizione, va distrutto ritualmente così le circostanze dietro di esso si calmano e ogni volta che applicherai il principio, il problema si risolverà. Un principio organizzatore degli eventi del mondo è quello di aggregazione e disgregazione della materia. Neutralizza una cosa attraverso il fuoco e il suo potere si disgregherà. Cambio di stato. Sciogli una sostanza in acqua corrente e il complesso egoico si semplifica, come un algoritmo.

Il portato dell'insegnamento scandurriano, sembrava in buona parte nuovo e comunque fuori dai canoni occultistici dell'Ottocento e del Novecento. Nuovo non solo nel linguaggio, ma nei contenuti: filosofia naturale+scienza eretica+alchimia pratica+etnobotanica+metapsichica, il tutto miscelato con un potere personale incredibile. Chiamatelo pure carismatico, io lo chiamerei magico, semplicemente. Ma di un realismo magico, se mi consentite l'accostamento, che ti consente di leggere le cose di questo mondo in una chiave incantata, ma che ti risuona dentro, mostrandosi vera, schietta, sperimentale; un realismo magico dove la vita è rappresentata da un mondo di segni, simboli, incontri fatidici. È la sapienza di Atlantide di cui Scandurra era l'erede, quel mitico continente scomparso e non sommerso. Il mio maestro, riuscendo ad insediare a Viterbo una piccola roccaforte atlantidea, aveva compiuto un'opera grandiosa nascosta però a tutti, o quasi. Una continuità illuminante con il lontano passato dell'umanità, avvolta in una necessaria nuvola di imponderabilità, utilissima per meglio operare indisturbati. Aveva stabilito un ponte-radio con lo spaziotempo, creata una nuova linea temporale nella matrice cosmica, e tutto questo in una bottega di frutta e verdura, situata in un quartiere popolare di una cittadina dell'Alta Tuscia, poco nota in Italia. Così, semplicemente. Letteratura, immaginazione, mitologia? Come no!

La sera cenai insieme ai miei, poi scartabellai il diario sui compitiscolastici fatti o da farsi. Ero spompato, come quando attendi qualcosa che ritieni importante e poi la delusione, niente. Uno squillo improvviso al citofono e mi fiondai a rispondere. Mia madre sbuffava. Era Zac, un sodale della gilda di Scandurra, che mi invitava ad un incontro notturno presso la Fontana del Boia, poco fuori la città. In tutta fretta mi preparai e scesi. Zac era di 12anni più grande di me, lavorava presso uno studio di architetti, etruscologo e metapsichico di vaglia, amante della buona cucina – 130kg di buon umore e ciccia – e delle comodità, ma per Scandurra avrebbe fatto qualsiasi cosa, pure buttarsi in un fosso melmoso e puteolente, se fosse stato necessario. Quella sera fu necessario.